Coronavirus: oltre 4,5 milioni di persone continuano a lavorare in settori non fondamentali

Una ricerca della Fondazione Sabattini stima che oltre 4,5 milioni  di lavoratori e lavoratrici, per l’ambiguità e l’estensione dei codici Ateco (sulle attività) continuino a lavorare in settori non fondamentali. Questo accade per le pressioni esercitate dalla Confindustria  sul governo che ha ceduto alle richieste padronali.

Nelle parti finali del documento possiamo leggere “anche nei codici Ateco fondamentali esistono attività che non lo sono, poiché includono un gran numero di sotto-codici. Il Governo quindi bene farebbe a individuare le imprese che producono beni e servizi fondamentali, e pianificarne centralmente le catene di fornitura, magari attraverso Invitalia, e riconvertendo le produzioni esistenti al loro servizio. In altre parole i numeri da noi forniti, già impressionanti, sono in realtà ancor più pesanti”. E infine “se non si fosse affermato il modello nefasto del just-in-time, che per ridurre i costi delle imprese ha cancellato scorte e magazzini, forse ci sarebbe una necessità inferiore di tenere aperti stabilimenti produttivi. Mutuando un infelice slogan, per Confindustria e il Governo #litalianonsiferma: profits must go on, sempre e comunque. A fronte della spietata logica di classe di Confindustria fanno bene, quindi, i lavoratori a scioperare con l’appoggio del Sindacato”.

Illustra il risultato della ricerca Matteo Gaddi della Fondazione.

Intanto oggi per chiedere il blocco delle attività produttive non essenziali per l’emergenza sanitaria e per la filiera agro-alimentare sono stati proclamati scioperi, generale e a livello nazionale da parte dell’Unione sindacale di Base – USB, mentre a livello regionale lombardo per le categorie dei metalmeccanici e del settore tessile-chimico-gomma-plastica dei sindacati CGIL-CISL e UIL.

Guido Lutrario dell’esecutivo nazionale USB.

Patrizia Moneghini, segretaria generale della Filctem CGIL di Brescia.

da Radio Onda d’Urto

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