Cucchi fu omicidio. Non lo uccise la morte ma le guardie bigotte
12 anni ai due carabinieri per il pestaggio mortale di Stefano Cucchi. Fu omicidio preterintenzionale. 3 anni e mezzo al maresciallo Mandolini.
Omicidio preterintenzionale. Di Bernardo e D’Alessandro colpevoli, responsabili della morte di Stefano Cucchi 12 anni. Colpevoli e interdetti. Il maresciallo Mandolini, il loro comandante di allora, e Francesco Tedesco, imputati per i falsi, condannati a tre anni e otto mesi e 5 di interdizione. Assolto Tedesco per l’omicidio. Sono passate da poco le 18 quando la corte, presieduta dal giudice Vincenzo Capozza, esce dalla camera di consiglio per pronunciare la sentenza del Cucchi-bis, il processo contro cinque carabinieri accusati a vario titolo del pestaggio mortale e dei primi depistaggi. In questi anni c’è stata la fila di politici che si sono messi in fila per un selfie con Ilaria Cucchi. Non si registrano, tuttavia, particolari loro mosse per leggi e comportamenti all’altezza della sfida che il caso Cucchi ha messo in evidenza: una legge non criminogena sulle droghe, un contegno delle forze dell’ordine rispettoso della Costituzione e dei diritti umani, una vera legge contro la tortura.
Erano attese per oggi pomeriggio sia questa sentenza sia quella contro i medici del Pertini che lo avrebbero curato con negligenza. La prima ad uscire è stata quest’ultima: quattro prescritti e una sola assoluzione, quella di Stefania Corbi, dai giudici della Corte d’Assise di Appello di Roma rispetto all’accusa di omicidio colposo.
Ma quella su cui erano puntati i fari di centinaia di telecamere è la sentenza attesa per quasi nove ore, dieci anni, 23 giorni e nove ore, in aula bunker, la stessa location del primo processo, quello farlocco che escluse a priori ogni responsabilità dei militari dell’Arma. Ma il teorema cucito addosso a tre uomini della penitenziaria aveva le gambe corte e ora quegli agenti sono tra le parti civili assieme alla famiglia Cucchi. A dicembre 2017 l’avvio di questo nuovo processo con i carabinieri finalmente nell’occhio del ciclone grazie ad alcuni carabinieri supertestimoni a cui, nell’ottobre 2018, si aggiunse uno dei tre colleghi imputati per il pestaggio. Si tratta di Francesco Tedesco che raccontò sia la scena del pestaggio da teppisti, come lo definirà il pm Musarò, sia le pressioni del suo maresciallo a seguire “la linea dell’Arma”, regista dei primi pestaggi e artefice del clima da far west di quel periodo nel quartiere in cui si verificò l’arresto di Stefano Cucchi. Mandolini, s’è detto, premeva per realizzare il massimo degli arresti per mettersi in buona luce con i suoi superiori. Dalle rivelazioni di Tedesco è partita una indagine parallela che
L’attesa
“Si è fatta sera. Io e Fabio siamo a casa. Aspettiamo che arrivino da Ferrara i suoi collaboratori Silvia e Francesco. Anche loro hanno dato l’anima per questo processo. Poi arriverà anche Gianluca. L’attesa si fa sempre più invadente. Tesa. Cerchiamo di non pensare a domani. Ascoltiamo Bruce Springsteen e cerchiamo di pensare ad altro. Domani ci sarà la sentenza. Domani i Giudici decideranno sul processo per la morte di Stefano. Quello vero. Quello contro i Carabinieri accusati di averlo ucciso». Lo scrive su Facebook, alla vigilia dell’attesa sentenza sul processo Cucchi bis, Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano morto nel 2009 in un reparto penitenziario, al Pertini, dopo essere stato arrestato, picchiato e seppellito in quell’ospdale. «Sono grata a tutti coloro che ci hanno sostenuto in questi lunghissimi dieci anni di battaglie. Sono grata ai pm Pignatone e Musarò. Impossibile liberarsi da questa ansia profonda che ti toglie il respiro. Tantissime persone ci chiamano. Vogliono esserci. Stefano non è solo. Non è stato dimenticato. Io ed i miei genitori siamo allo stremo delle forze. Loro hanno tanta fiducia ed un po’ la rassegnazione di un padre ed una madre cui è stato tolto in modo terribile un figlio. Nulla vi può essere di peggio.”
“Seduta a tavola – conclude – guardo Fabio scrivere. Fa finta che sia una serata normale ma ci riesce proprio male. Dai Stefano! Dacci una mano da lassù!”.
Dieci anni e venti giorni dopo la sua morte, oggi sarà il giorno della verità, quella processuale. Dieci anni viziati dallo sconcerto per una prima indagine che ha occultato le responsabilità dell’Arma protetta da un cono d’ombra proiettato dai settori politici e giudiziari più sensibili alla lobby delle divise. Senza che i parlamenti che si sono succeduti siano stati in grado di varare una vera legge contro la tortura. Ma dieci anni di tenacia da parte di Ilaria e dei suoi genitori, di impegno per Fabio Anselmo in parallelo con altri casi di malapolizia, di solidarietà da parte di pezzi di società civile che quotidianamente lottano contro gli abusi in divisa, le brutalità in carcere, contro una repressione e ogni altra tentazione autoritaria. Come Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa i cui attivisti hanno seguito ogni fase del processo e della campagna di solidarietà. Bisogna ricordarlo: questa storia è un mix di proibizionismo, malasanità e malapolizia. E’ figlia di un’emergenza sicurezza inventata ad arte per deteriorare il senso comune dei quartieri popolari mentre i processi sociali del neoliberismo li impoverivano e ne disgregavano il tessuto. E’ figlia, probabilmente, della subcultura fascistoide, razzista e machista che alberga in settori piuttosto vasti di forze dell’ordine e corpi militari.
Due collegi di giudici scriveranno agli atti la loro idea su questa storia, definendo con sentenza due dei processi al momento ancora in dibattimento: quello che vede sul banco degli imputati cinque carabinieri, tre dei quali accusati di omicidio preterintenzionale, e quello che ancora una volta vede sul banco degli imputati cinque medici del reparto di detenzione dell’Ospedale Pertini di Roma dove Cucchi morì. Un terzo processo, istruito nei confronti di otto alti ufficiali dell’Arma per i depistaggi che secondo l’accusa sarebbero stati compiuti nel 2009 e nel 2015, ancora non è ufficialmente avviato nella sua fase istruttoria dibattimentale. Con ordine. La prima Corte d’assise, presieduta da Vincenzo Capozza, nell’aula bunker del carcere romano di Rebibbia, pronuncerà la sentenza nei confronti di cinque carabinieri per i quali il pm Giovanni Musarò ha chiesto, per l’accusa di omicidio preterintenzionale e abuso d’autorità, la condanna dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro a 18 anni di reclusione ciascuno; per il carabiniere Francesco Tedesco, imputato-accusatore, ha chiesto l’assoluzione dall’omicidio preterintenzionale e tre anni e mezzo di reclusione per l’accusa di falso; 8 anni di reclusione per falso sono stati richiesti per il maresciallo Roberto Mandolini; mentre per l’ulteriore imputazione di calunnia, contestata al carabiniere Vincenzo Nicolardi e ai colleghi Tedesco e Mandolini, il pm ha sollecitato una sentenza di non procedibilità per prescrizione del reato. In sostanza questo processo riguarda il pestaggio che Stefano Cucchi avrebbe subito la notte del suo arresto, tanto violento da portarlo una settimana dopo alla morte. Cosa diversa per il processo ai medici del Pertini, che ha avuto un iter tortuoso. L’attività giudiziaria ha interessato il primario del Reparto di medicina protetta dell’Ospedale Pertini, Aldo Fierro, e altri quattro medici, Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis Preite e Silvia Di Carlo. Tutti furono portati a processo inizialmente per l’accusa di abbandono d’incapace (nello stesso processo c’erano imputati anche tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria, assolti in via definitiva): condannati nel giugno 2013 per il reato di omicidio colposo, gli stessi medici furono successivamente assolti in appello. E da lì iniziò una nuova vita processuale fatta di un primo intervento della Cassazione che rimandò indietro il processo, i nuovi giudici confermarono quell’assoluzione, e la Cassazione rinviò per una nuova attività dibattimentale affidata alla Corte d’assise d’appello presieduta da Tommaso Picazio. Il pg Mario Remus ha chiesto una dichiarazione di prescrizione, i difensori, l’assoluzione; domani anche per loro ci sarà la sentenza.
Sette processi, tre inchieste, due pronunciamenti della Cassazione. Cucchi è una delle tante vittime di abusi di polizia come Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Dino Budroni, Carlo Giuliano, Massimo Casalnuovo e Federico Aldrovandi. La complessità della sua vicenda lo renderà anche simbolo della battaglia per i diritti umani dei carcerati e contro ogni sopruso del potere sugli ultimi.
Le tappe della vicenda
– 15 ottobre 2009: Stefano Cucchi viene fermato dai carabinieri al Parco degli Acquedotti a Roma perché trovato in possesso alcuni grammi di droga. Cucchi viene portato nelle celle di sicurezza di una caserma dei carabinieri.
– 16 ottobre 2009: Stefano appare all’udienza di convalida del fermo con ematomi e difficoltà a camminare. Parla a stento: una registrazione diffusa successivamente testimonierà dello stato di Cucchi all’udienza. L’arresto è convalidato e Cucchi viene portato a Regina Coeli.
– 22 ottobre 2009: Cucchi, dopo una settimana di detenzione, muore nel reparto protetto dell’ospedale Sandro Pertini. Inizia la battaglia giudiziaria della famiglia che una settimana dopo diffonde alcune foto choc del cadavere in obitorio che mostrano ematomi e segni “sospetti”.
– 25 gennaio 2011: vanno a processo sei medici e tre infermieri del Sandro Pertini e tre guardie carcerarie.
– 5 giugno 2013: Vengono condannati quattro medici del Pertini. Assolti gli infermieri e le guardie carcerarie. – 31 ottobre 2014: In appello tutti i medici vengono assolti.
– gennaio 2015: viene aperta l’inchiesta bis dopo che la Corte d’appello trasmette gli atti in procura per nuove indagini.
– settembre 2015: i carabinieri entrano per la prima volta nell’inchiesta: 5 vengono indagati.
– dicembre 2015 La Cassazione annulla con rinvio l’assoluzione dei 5 medici del Pertini. Vengono nuovamente assolti nel 2016 ma la Procura ricorre in Cassazione che dispone un nuovo processo d’Appello.
– gennaio 2017: la Procura di Roma chiude l’inchiesta bis quella per la quale sono ora a processo 5 carabinieri. Nel luglio 2017 vengono rinviati a giudizio: Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco, accusati di omicidio preterintenzionale e di abuso di autorità. Tedesco è accusato anche di falso e calunnia insieme con il maresciallo Roberto Mandolini, mentre della sola calunnia risponde il militare Vincenzo Nicolardi.
– 11 ottobre 2018: il pm Giovanni Musarò rivela che l’imputato Francesco Tedesco per la prima volta parla di un pestaggio subito da Cucchi da parte dei colleghi Di Berardo e D’Alessandro. Le indagini sul pestaggio erano state riaperte grazie alle parole di un altro carabiniere, Riccardo Casamassima. Nel corso del processo emergono anche presunti depistaggi con la sparizione o l’alterazione di documenti di servizio. Si apre l’inchiesta.
– 16 luglio 2019: Nell’ambito dell’inchiesta sui depistaggi vengono rinviati a giudizio il generale Alessandro Casarsa e altri 7 carabinieri tra cui Lorenzo Sabatino, all’epoca dei fatti comandante del reparto operativo di Roma. Il processo inizierà a novembre.
– 3 ottobre 2019: il pm chiede la condanna a 18 anni per i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro accusati del pestaggio che viene, per la prima volta, associato alla morte di Cucchi.
– 14 novembre 2019: prevista una doppia sentenza: quella sui 5 carabinieri a processo per il pestaggio e quella del secondo processo d’Appello ai medici che ebbero in cura Cucchi. Sui sanitari incombe la prescrizione.
di Checchino Antonini
da Popoff del 14 novembre 2019
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