Fontana, sequestrati 25mila camici mai consegnati

Mancavano 25 mila camici all’appello nel computo della fornitura-donazione che Dama spa, società di proprietà del cognato di Attilio Fontana, Andrea Dini, aveva ottenuto con procedura semplificata e in assegnazione diretta (senza gara d’appalto) da Aria spa, centrale responsabile per gli acquisti di Regione Lombardia.

Le Fiamme Gialle li hanno ritrovati nella notte tra martedì e mercoledì perquisendo proprio i locali dell’azienda tessile di Varese che detiene il marchio Paul & Shark. I dispositivi sanitari sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza che li ha aggiunti agli altri 49 mila – che erano stati consegnati alla Regione e confiscati nella prima perquisizione – per un totale di 75 mila camici che avrebbero fatto guadagnare alla Dama spa circa 500 mila euro.

I 25 mila pezzi recuperati dalle Forze dell’Ordine sono proprio il «corpo del reato»: è sulla base di questo lotto mai consegnato – e che Dini aveva cercato di rivendere a prezzo maggiorato alla Rsa di Varese, Le Terrazze, dopo che la trattativa negoziale con il Pirellone era andata in fumo – che i magistrati di Milano hanno formulato le accuse per Fontana, Dini e Filippo Bongiovanni, ex-direttore generale di Aria, di frode in pubblica fornitura.

La magistratura fa comunque sapere che «visto il perdurare dell’emergenza Covid» potrebbe essere concesso il nulla osta per il dissequestro dei dispositivi sanitari. Il ritrovamento – insieme a documenti contabili, corrispondenza tra azienda e Aria che le Fiamme Gialle hanno sequestrato nel corso della perquisizione – è un ulteriore elemento a disposizione dei pm milanesi che lavorano per rimettere insieme i pezzi della vicenda.

Soprattutto alla luce delle discrepanze tra la versione di Fontana, inizialmente dichiaratosi all’oscuro della fornitura, e quelle di alcune persone già ascoltate. Era infatti emerso che fosse stata Aria stessa, su suggerimento del proprio ufficio legale, ad aver intravisto profili di conflitto di interessi, a rigettare la fornitura pattuita il 16 aprile e non, come spiegato da Fontana, una sua idea consigliare al cognato di «rinunciare al pagamento per non scatenare polemiche».

Polemiche che sono montate anche dopo la scoperta del conto in Svizzera e dei trust alle Bahamas di cui nessuno era a conoscenza. È infatti da quel conto che il 19 maggio Fontana aveva provato a trasferire 250 mila euro per risarcire il cognato della mancata vendita dei camici. In un filone dell’inchiesta, la Procura indaga infatti sui movimenti bancari e, come rivelano fonti giudiziarie, sarebbero stati già avviati colloqui informali con le autorità elvetiche per ricostruire il giro di denaro.

«Risparmi ereditati dal lavoro di una vita dei miei genitori», ha cercato di spiegare il governatore, sostenendo che fosse un conto «inattivo dagli anni ’80». Ma all’Agenzia delle Entrate risultano movimenti che avrebbero fatto crescere la somma di 129 mila euro tra il 2009 e il 2010, decrescere di mezzo milione nel 2011, aumentare ancora di 440 mila nel 2012, e di 100 mila nel 2013. Per un totale di 4.734.000 euro. Soldi gestiti, fino al 2015, dai due trust caraibici e poi fatti rientrare in Svizzera godendo della voluntary disclosure.

Dopo le bandiere camune sventolate nell’aula del Pirellone a sostegno di Fontana, sono comparse quella della Svizzera e quella delle Bahamas: «Queste sono quelle giuste da sventolare qui dentro», ha detto il consigliere Pd Pietro Bussolati, protagonista della colorita protesta di martedì. «Un’altra bugia: Fontana si dimetta per rispetto dei lombardi e degli italiani e dica a tutti qual è la verità su questi milioni di euro», scrivono su Facebook i 5S, promotori della mozione di sfiducia in consiglio regionale che, però, non vedrà la luce prima di settembre.

di Francesca Del Vecchio

da il Manifesto del 30 luglio 2020

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