Le terapie intensive sono sature ma mancano gli anestesisti per aprirne di nuove
Alessandro Vergallo, anestesista rianimatore agli Spedali Civili di Brescia, è il presidente dell’Aaroi-Emac, il principale sindacato dei medici ospedalieri dei reparti di terapia intensiva. Da giorni mette in guardia sul rischio che le terapie intensive collassino sotto l’ondata dei malati di Covid. Un rischio confermato anche in un rapporto dell’Agenas. «Ho visto quella mappatura, ma i criteri con cui sono stabilite quelle soglie di allerta non sono chiari. Mi pare più interessante osservare i dati in prospettiva».
Facciamolo.
Per capire l’impatto dei dati del giorno relativi ai contagi sulle terapie intensive bisogna tener conto di due ritardi. Il primo: passano mediamente circa venti giorni tra il contagio e l’insorgenza di sintomi gravi. In secondo luogo, la durata media di un ricovero è intorno ai venti giorni. Dunque l’impatto dei contagi attuali sulle terapie intensive dura quasi un mese e mezzo. Nelle ultime due settimane i posti letto occupati in terapia intensiva sono raddoppiati ogni 10 giorni circa. I provvedimenti del governo avranno effetto fra 20 giorni. Se già oggi abbiamo duemila pazienti ricoverati, in 20 giorni i casi possono dunque raddoppiare dunque quadruplicare. Significherebbe arrivare a 8 mila posti di terapia intensiva alla fine di novembre. Non è una previsione ma una stima del rischio da affrontare.
Il commissario Arcuri parla di diecimila posti in terapia intensiva.
I posti di cui parla Arcuri sono forse la somma dei 5.100 posti letto nella situazione precedente al Covid, dei 1.500 nuovi posti letto allestiti in questi mesi, più i posti letto di nuova costruzione che però esistono ancora solo sulla carta e dei posti letto in terapia subintensiva che possono essere trasformati. Il problema però è la mancanza di personale. Pur con tutta la riorganizzazione che stiamo adottando, come il blocco delle ferie, l’aumento degli straordinari, l’utilizzo degli specializzandi, la riduzione delle attività chirurgiche arriviamo a gestire al massimo settemila posti letto. La norma organizzativa prevede un rapporto di un rianimatore ogni otto pazienti. Oggi, a Milano siamo arrivati a un rapporto di un rianimatore ogni quattordici pazienti. Lo stadio successivo è utilizzare le sale operatorie come reparti di terapia intensiva. Ma è una soluzione da medicina delle catastrofi, richiederebbe di sospendere gli interventi chirurgici.
Come si rimedia alla mancanza del personale?
Si possono assumere gli specializzandi che frequentano le scuole di specializzazione in anestesia e rianimazione. Già si fa, perché era una procedura già prevista dal decreto del 9 marzo. Ma la norma ha lati positivi e negativi. In positivo: ha permesso di reclutare giovani colleghi che sono sicuramente più competenti di specialisti di altre discipline riconvertiti. Ma il decreto ha creato due canali di reclutamento. Gli specializzandi potevano essere assunti a tempo determinato, oppure con contratti atipici, che costano di più allo stato e sono più difficili da organizzare. Per questo chiediamo che il reclutamento avvenga con assunzioni con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato.
In ogni caso, gli anestesisti mancano all’origine: le borse di studio per le scuole di specializzazione non vengono assegnate per mancanza di richieste.
È un fenomeno reale. Il grosso non avviene all’inizio della scuola di specializzazione ma in un momento successivo. Alle scuole di specializzazione si accede con un concorso unico, e chi ottiene il punteggio più alto sceglie la disciplina. I posti che rimangono per chi arriva indietro spesso sono in rianimazione e in medicina di urgenza. Spesso, l’anno dopo gli specializzandi in rianimazione riprovano il concorso con successo e lasciano la borsa se possono accedere a una disciplina più attraente.
Perché la rianimazione attrae un numero minore di aspiranti medici?
Vari fattori. Il primo è economico: rispetto ad altre discipline la rianimazione non consente attività ambulatoriale privata ma al massimo l’attività intramoenia. È un fattore di cui risente anche la medicina d’emergenza e urgenza, quella dei pronto soccorsi. In secondo luogo, la qualità della vita: anestesisti e medici di emergenza-urgenza sono quelli che hanno il maggior numero di turni di guardia, di reperibilità o sotto le feste. Fanno circa il doppio delle guardie notturne rispetto ai colleghi. Richiede un sacrificio della vita individuale maggiore e difficile da conciliare con la vita individuale e familiare, un fattore importante anche perché cresce la componente femminile nella professione medica. Infine, c’è un livello di responsabilità superiore rispetto ad altre discipline. Si tratta di uno stress emotivo notevole, perché i nostri errori possono avere conseguenze ben più pesanti rispetto ad altri settori. Eppure garantiamo standard di sicurezza più elevati grazie a procedure come le checklist, che non a caso sono state mutuate dalle procedure utilizzate in aeronautica civile. Oggi le borse di studio sono anche aumentate di numero, da 900 a 1.600. Ma servono incentivi per riempire tutti i posti.
di Andrea Capocci
da il Manifesto del 4 novembre 2020
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