Per investire in sanità è necessaria trasparenza

A chi chiede scenari futuri sulla pandemia, Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive «Lazzaro Spallanzani» di Roma, risponde: «Vedremo giorno per giorno». Allo Spallanzani di Roma la pandemia è stata vissuta proprio così, come si fa in prima linea. Il centro di ricerca italiano più avanzato sulle malattie infettive però è anche un ottimo punto di vedetta sull’intero sistema sanitario italiano e sulle sue carenze. E i soldi in arrivo dall’Europa richiedono una ricognizione onesta e programmi precisi.

La sanità italiana è lodata perché costa poco: è efficiente o ha pochi soldi?

Costa poco se consideriamo le cifre ufficiali. Ma il rapporto Aifa sull’utilizzo dei farmaci mostra le dimensioni della quota di spesa sostenuta direttamente dai pazienti e quella delle assicurazioni. Queste voci andrebbero analizzate insieme. Per fermare la spesa privata serve una valutazione di appropriatezza delle cure. Secondo un’indagine della regione Piemonte, tra il 20 e il 40% degli esami prescritti non hanno utilità per il paziente. La «medicina difensiva» (gli esami prescritti dai medici allo scopo di prevenire controversie legali, ndr) è uno dei meccanismi che alimentano questo fenomeno.

La sanità convenzionata drena risorse dal settore pubblico a quello privato. Rischiano di finire così anche i soldi dell’Ue?

Non siamo in Francia, dove il pubblico è pubblico e il privato è privato. Anche perché noi permettiamo agli operatori sanitari pubblici di lavorare a mezzo servizio nel privato, dove vigono regole diverse dal pubblico. La sanità privata è entrata nel sistema sanitario dalla porta sul retro ma oggi si prende la fetta più ricca.

Quindi non basta chiedere soldi per la sanità.

I soldi per la sanità sono già tanti. Anche senza il Mes, ci saranno fondi per la ristrutturazione della rete ospedaliera, per le tecnologie, 11 miliardi di euro solo per la medicina territoriale. Questi soldi andranno gestiti innanzitutto in maniera trasparente, con indicatori chiari dei bisogni e di come possano essere soddisfatti.

Molte risorse economiche serviranno ad acquistare i vaccini?

È un falso problema. L’Oms ha già annunciato un programma di distribuzione. Ma non sappiamo ancora quale vaccino funzionerà, in quali situazioni e secondo quali criteri sarà distribuito. Per ora si tratta di una questione più politica che scientifica. I produttori dei vaccini hanno scritto una lettera aperta contro i test frettolosi e anche in Russia si pensa di rallentare la corsa. L’immunologo Anthony Fauci proprio ieri invitava a prepararsi a passare il 2021 in compagnia del virus. E se lo dice lui c’è da credergli.

Cosa bisogna fare per dotare la sanità italiana di una capacità di risposta per la prossima pandemia?

Non solo aumentare i posti di terapia intensiva. Serve un piano per la distribuzione di antibiotici, per la disponibilità di dispositivi di protezione, per la gestione della comunicazione. La comunicazione è il più grande investimento che bisogna fare in questa situazione.

E per rafforzare la medicina territoriale?

Bisogna definire qual è la funzione dei medici di base, portandoli dentro il servizio sanitario nazionale. Il medico di base interagirebbe con altri medici e diminuirebbero le spese necessarie per gli studi. In altri paesi, come la Spagna, ci sono i «centri di assistenza primaria» in cui si possono anche effettuare esami diagnostici. Il medico di base, soprattutto nei piccoli comuni, rappresenta il collante del sistema sanitario. Senza i medici di base e i pediatri il sistema non può funzionare. Abbiamo bisogno di queste figure di prossimità.

Il federalismo sanitario è un problema o una risorsa?

Penso che le epidemie si gestiscano con la «catena corta», cioè con una catena di decisione chiara. Il sistema tedesco ha dei «land» potentissimi, ma un sistema centrale con grandi competenze, grande visibilità e quando dà indicazioni queste vengono applicate sul territorio. Per esempio, da noi servirebbe un criterio unitario per un accesso ai tamponi. Come ha detto l’infettivologo Pierluigi Lopalco pochi giorni fa, è sbagliato affidarsi alla «dittatura del tampone»: serve una linea condivisa che liberi i medici e i pediatri dalla pressione a prescrivere tamponi che rischiano di ingolfare il sistema. Le regioni hanno fatto il possibile per calmierare i prezzi, ma la corsa al tampone fa fiorire anche un notevole mercato privato dei test.

di Andrea Capocci

da il Manifesto del 22 settembre 2020

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