Preoccupano i decessi e le terapie intensive

Nella giornata di ieri si sono registrati 5.901 nuovi casi positivi al coronavirus. Sono 1.300 più del giorno prima, ma l’aumento era largamente prevedibile, visto che i tamponi sono risaliti a quota 112 mila. Preoccupa di più la risalita del numero di pazienti in gravi condizioni e dei decessi, 41 in 24 ore. In una sola giornata, si sono aggiunti altri 62 i pazienti nei reparti di terapia intensiva. Il numero è raddoppiato in poco più di due settimane. A questo ritmo di crescita, i pazienti ricoverati in terapia intensiva tornerebbero ai livelli di inizio aprile – quando toccarono un massimo di oltre quattromila ricoveri – entro l’inizio di dicembre.

La Lombardia, con oltre mille nuovi casi, è tornata ad essere la regione più colpita. Record di nuovi casi anche per il Lazio, con 579 positivi di cui 209 solo a Roma. Ma nella regione il vero problema è il numero di pazienti ricoverati: ora sono 896 in area medica e 83 in rianimazione. Significa che i reparti Covid ordinari sono praticamente pieni. Maggiore la disponibilità di posti letto riservati ai pazienti Covid in terapia intensiva: nella regione ora sono circa 200, dopo l’ampliamento denominato “Fase 6” dall’assessore regionale Alessio D’Amato.

Pur tra mille ritardi, la rete diagnostica del Lazio per il momento riesce a tenere basso (3,7%) il rapporto tra casi positivi e tamponi effettuati. Ma non sarà possibile reggere l’ondata di richieste ancora a lungo, secondo il medico Pier Luigi Bartoletti che coordina le Unità Sanitarie di Continuità Assistenziale delle regione (Uscar). «I test non ci sono per tutti. Se facciamo i tamponi con i numeri che stiamo registrando in tutta Italia dall’apertura delle scuole, e prima con i rientri dalle vacanze, entro un mese ci sarà un problema di approvvigionamento», spiega.

«Anche i laboratori privati che si sono resi disponibili stanno avendo problemi a reperire macchine e reagenti. Macchinari nuovi di un mese si rompono ogni giorno per l’eccesso di carico».

Va pure peggio in Veneto, dove il tasso di tamponi positivi è al 12%, in Liguria (9%) e in Campania (8%). Anche la Lombardia, con il 6%, è al di sopra della media nazionale del 5,2%. La difficoltà nell’effettuare tutti i tamponi necessari apre spazio per le scorciatoie offerte dalla malavita. Ieri i Nas dei Carabinieri di Napoli hanno sequestrato diecimila kit diagnostici tra tamponi e test rapidi risultati non regolamentari o scaduti. Servivano ai test pubblicizzati da un’azienda su Internet da parte di personale sanitario ed effettuati con macchinari non certificati.

Secondo gli esperti scontiamo l’inattività delle regioni durante l’estate. «Le attività di testing non sono state potenziate in misura proporzionale all’aumentata circolazione del virus» spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe che ieri ha diffuso un’analisi specifica sul tema dei tamponi. «Siamo molto lontani dai numeri del cosiddetto “Piano Crisanti” elaborato la scorsa estate, che prevedeva 300 mila tamponi al giorno». Che il governo non intenda adeguarsi alle proposte del microbiologo romano (ma di stanza a Padova) è testimoniato dai dati riportati nel documento Prevenzione e risposta a Covid-19: evoluzione della strategia e pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno-invernale, dove si parla di «realizzare fino al 31 dicembre oltre 106 mila test molecolari al giorno», circa gli stessi di oggi.

Il rischio che gli ospedali tornino in sofferenza non è dovuto solo alla mancanza di letti e macchinari, ma anche di medici e infermieri. Lo sottolinea Carlo Palermo, segretario del sindacato dei medici ospedalieri Anaao-Assomed. «A fronte di un aumento dei letti in questi reparti, le risorse di personale sono pressoché invariate rispetto all’era pre-Covid». Si parla di circa novemila posti vacanti rispetto alle dotazioni organiche. «Il governo ha previsto l’assunzione di seimila medici, ma si tratta, per la maggior parte dei casi, di contratti precari. Ma in sanità non si può fare cura e crescita professionale con un rapporto precario».

Si moltiplicano infine le denunce per le condizioni di affollamento del trasporto pubblico soprattutto nelle grandi città. A Roma, il numero di passeggeri su metropolitane e bus è risalito al 50% dei livelli del periodo pre-Covid. Chi può si arrangia a piedi o in bici. Per chi si muove per necessità su lunghe distanze, invece, le ore di punta sono tornate quelle di un tempo.

di Andrea Capocci

da il Manifesto del 14 ottobre 2020

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