Un nuovo vestito

Ormai non si parla d’altro “questa è la fine”, dicono molti con il sorriso sulle labbra.

Ma è davvero la fine? La fine di cosa?

Certamente è la fine del governo Berlusconi, ma termina qui un’epoca?

E che cosa viene dopo?

La caduta del Governo-Silvio lascia uno scenario a dir poco confusionario in cui tutte le forze parlamentari e istituzionali stanno cercando di mettere toppe, nessuno tenta di rifare il vestito.

Berlusconi non ha più la maggioranza.

Non è nostro compito dire che cosa dovrebbe fare o non fare ora.

Una cosa è però chiara: Berlusconi ha promesso le dimissioni in vista di un’approvazione del cosiddetto patto di stabilità. Ancora non ci è stata data la possibilità di sapere che cosa conterrà tale patto, anche se non è difficile immaginarlo.

Nelle ultime ore stanno uscendo sui vari media indiscrezioni relative al maxi – emandamento. Parole d’ordine: pagare il debito pubblico, liberalizzazione e privatizzazione.

Per cominciare, gli enti locali si accolleranno non solo il debito pubblico, che verrà ripartito pro – capite, ma saranno costretti a dichiarare i loro debiti come “certi, liquidi ed esigibili”, in modo da facilitare la cessione dello stesso credito a banche o intermediari finanziari. Se questo non avverrà, il tesoro potrà nominare un commissario ad acta.

Privatizzazione e liberalizzazione di servizi pubblici, in quanto saranno sempre di più i servizi pubblici affidati a terzi attraverso una gara. Ma questo non era un segreto, perché, facendo un po’ d’attenzione, non solo nulla ancora è stato attuato in favore della pubblicizzazione dell’acqua, bene che alcuni enti locali continuano a gestire attraverso società per azioni, ma nella manovra estiva è stato addirittura riproposto il decreto Ronchi, abolito dai referendum.

Liberalizzazione sul lavoro, di cui l’introduzione dell’art. 8 è solo un triste preludio del progressivo smantellamento di diritti a cui stiamo assistendo.

E ancora, ci attendono una serie di manovre e manovrine, non da ultima quella che prevede di rendere “area di interesse strategico nazionale” la Torino – Lione ( per  la quale chi si introdurrà nella zona adibita a cantiere verrà arrestato), che diminuiranno il nostro spazio di azione comune e limiteranno il nostro agire democratico nel vero senso della parola, e non di quello che è la democrazia oggi.

E quindi? Cosa sarà costretto a votare un impreparato centro sinistra pur di mandare a casa il Cavaliere? Accetterà tutto? E cosa accadrà dopo?

Dopo accadrà che le misure di Austerity ricadranno soprattutto sui redditi medio – bassi, ricadranno sulle aziende artigianali a conduzione familiare, già strozzate dai costi e dalle tasse varate nell’ultima manovra finanziaria, sugli impiegati statali, sulle scuole pubbliche, sempre più povere e quindi sempre meno adatte all’istruzione ed all’educazione dei ragazzi e delle ragazze, sugli studenti universitari fuori sede…

Non crediamo che la nascita di un governo tecnico risolva la situazione. Non pensiamo che un Monti o chicchessia possa farci stare meglio. Un governo tecnico avrà come unico mandato quello di assecondare i dettami di FMI e BCE, svendere quindi il welfare e rendere l’austerità la norma. Non crediamo che un governo di unità nazionale risollevi l’Italia nel segno di una pacificazione fatta di “dai facciamo tutti insieme un sacrificio nel nome dell’Italia, paese ricco che può stare a testa alta tra le altre potenze occidentali”. Un governo di Unità Nazionale, infatti, sarà chiamato a risolvere tutte quelle questioni scomode che un governo eletto non può affrontare.Dalle questioni economiche (pensioni. aliquote iva, tasse)  a quelle sociali. Le elezioni non cambierebbero il nostro esistente, non l’hanno mai fatto, non lo faranno in un momento in cui non c’è nessun partito capace di essere e portare un’alternativa strutturale alla situazione economica.

No. Per noi queste soluzioni sono inaccettabili perché ci chiedono un sacrificio che non siamo tenuti a fare. Anni di malgoverno, peggiorati da 15 anni di Berlusconi, hanno portato il debito pubblico dell’Italia alle stelle, per non parlare del fatto che la politica condotta da questo governo ha reso l’Italia uno dei paesi meno affidabili e più ridicolizzati del mondo.

Non ci interessa risalire “sul podio delle potenze mondiali” come invece diceva ieri Letta a Ballarò. Non ci interessano le toppe. Noi vogliamo un nuovo vestito.

Il nostro vestito ha il colore del benessere. E per noi il benessere si può raggiungere se si mette al primo posto la politica, come gestione del bene comune e l’interesse delle persone.

Ripartiamo da noi. Ripartiamo dalla scuola e dall’università pubblica, costrette a subire una riforma quanto mai impopolare contestata da tre anni di mobilitazioni che proseguono tuttora. Ripartiamo dal lavoro e dai diritti che ormai non hanno più nemmeno quei pochi che potevano contare su contratti a tempo indeterminato, ripartiamo dalla nostra esistenza, sempre più precaria e senza certezze. Ripartiamo dalla voce che si è sollevata attraverso i referundum e ricompattiamoci, perché noi abbiamo delle certezze, noi sappiamo che cosa vogliamo e di cosa ha bisogno questo paese e non ci interessa salvare un sistema che ha evidentemente fallito.

Vale, Milano in Movimento

 

 

 

 

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