Uno squarcio di Nirvana

 

Kurts-mood-swingsCi sono tanti modi per celebrare una ricorrenza, specie quando si tratta di decadi. Sono passati vent’anni dal ritrovamento del corpo senza vita di Kurt Cobain, frontman dei Nirvana ma soprattutto interprete di quella generazione cresciuta vedendo sfilare in televisione Ronald Regan e Bettino Craxi. Anni in cui il neo-liberismo si preparava ad espandersi in tutto il pianeta grazie alla globalizzazione del mercato, preparando il terreno per ciò che ora è realtà concreta, dal precariato alla de-industrializzazione occidentale.

Cosa c’entra il suicidio di Cobain in tutto questo? Per capirlo partiamo dagli ultimi giorni. Nostri, non di Cobain. L’ultima notizia sulla sua morte riguarda il ritrovamento di alcune foto inedite, scattate dalla Polizia sul luogo del suicidio. Nulla di eclatante, specificano gli agenti. Fa riflettere però che le foto siano state rese pubbliche in occasione del ventennale della morte; perché non l’anno scorso? Perché non due, tre, dieci anni fa? O l’anno prossimo? Sono state ritrovate e sviluppate solo ora, si legge. Ottimo tempismo e coincidenza perfetta. “Loro non credono alle coincidenze. Ne hanno sentito parlare, ma non ne hanno mai vista una” dice Brad Pitt nel film The Counselor; forse ha ragione. E’ più probabile che dietro la pubblicazione ci sia per l’ennesima volta la volontà di cannibalizzare una figura generazionale prima che artistica. Non è tanto importante il discorso economico (quanto mai varranno queste fotografie che non aggiungono nulla alla storia conosciuta?) quanto quello “esistenziale”: perché questa necessità morbosa di spingersi così all’interno, fino a voler mostrare al mondo le ultime cose viste dagli occhi vivi di Cobain? Si tratta dell’ennesima dimostrazione che le dinamiche totalitarie dello Show Business sopravvivono ai singoli perché alienano gli individui trasformandoli da soggetti in oggetti di mercato. Il gesto di Cobain può essere letto, dentro questa dinamica, come una rivendicazione della soggettività contro questa oggettivazione; un moto estremo di rivolta, la negazione di un sé ormai appaltato alle dinamiche della domanda e dell’offerta, con cui non si vuole stare, non ci si può adattare e da cui risulta impossibile separarsi. L’industria dello spettacolo non è diversa dagli altri luoghi della produzione capitalista e, come loro, miete le sue vittime.

Ci sono tanti modi per celebrare una ricorrenza. Il modo migliore per ricordare il ventennale della morte di Cobain potrebbe essere interrogarsi su cosa abbia significato per la musica (e per la cultura in generale) vivere sotto il giogo del mercato e chiedersi quali risultati abbia prodotto questa colonizzazione. Farsi questa domanda, a distanza di vent’anni e dentro un mondo che fatica sempre di più a pensarsi fuori dai rapporti di mercificazione, svecchierebbe i rituali piatti della celebrazione fine a se stessa. Sarebbe già un buon risultato.

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