Ammalarsi a Gaza

Mentre viviamo la nostra quarantena isolati nelle nostre case, rinchiusi e con la dispensa piena di cibo, a Gaza inizia la crisi sanitaria. È di oggi la notizia dei primi due casi di Covid-19 nella Striscia di Gaza. In quel fazzoletto di terra, uno dei luoghi più sovraffollati del mondo, il quale conta una popolazione di quasi 2 milioni di abitanti in soli 360 chilometri quadrati, sono risultati positivi due palestinesi tornati giovedì dal Pakistan attraverso l’Egitto. Come possiamo immaginare che si possa in qualche modo rispettare il distanziamento sociale in un territorio sovraffollato dove ancora oggi migliaia di persone vivono in campi profughi spesso a stretto contatto e in situazioni di estremo disagio sociale?

Gaza combatte da 13 anni contro l’isolamento e l’embargo imposto da Israele, isolata anche dal vicino Egitto è un territorio chiuso, invalicabile, più volte denominato come “la più grande prigione a cielo aperto del mondo”. Qui il tasso di disoccupazione raggiunge il 75% e il sistema sanitario è insufficiente ad affrontare una sfida complessa come la battaglia contro la diffusione del virus. Ieri sera è stato annunciato dal ministero della Salute il lockdown della Striscia, nella speranza di poter bloccare l’epidemia. Israele, alla notizia dei due casi confermati a Gaza, ha deciso la chiusura totale del valico di Eretz, la porta di ingresso e di uscita dalla Striscia. Ancora una volta la popolazione gazawa è la principale vittima, già prima della diffusione del Covid-19 le possibilità di entrata e uscita erano misurate con il contagocce, ottenere i permessi di uscita per motivi di salute è sempre stato difficile e oggi con l’esplosione della diffusione del virus, impossibile. L’Organizzazione mondiale della Sanità afferma che Gaza non sarà in grado di affrontare l’emergenza sanitaria, ricevendo una media di 6 ore di elettricità al giorno, così come il sistema sanitario gazawo non è in grado di sostenere e affrontare questa sfida. Oggi la condizione palestinese si aggrava, non solo deve affrontare la violenza sistematica dell’occupazione e tutto ciò che ne consegue, ma deve anche avere a che fare con l’imminente pericolo di un disastro sanitario.

Una domanda sorge spontanea: quale futuro possiamo immaginarci per la Striscia di Gaza? L’assedio via terra, aria e acqua deve terminare, non è possibile relegare un territorio alla chiusura totale e abbandonarlo alla gestione di una di questa portata. La responsabilità della sopravvivenza del popolo palestinese all’interno del confine della Striscia è della comunità internazionale, di Israele e delle istituzioni internazionali. Le sofferenze inflitte al popolo palestinese sono da 72 anni ferite indelebili sui corpi, sulle menti di generazioni che non dimenticano ciò che è stato e nonostante il dolore continuano imperterriti a credere nella possibilità di un futuro degno di essere chiamato tale. È doveroso quindi, in questo momento in cui tutte e tutti noi viviamo in un limbo di sospensione, in cui le nostre vite sono ferme, chiuse nelle mura delle nostre case, rivolgere un pensiero a chi in questo contesto di pandemia vive una condizione di svantaggio economico e sociale. A chi già in condizioni di “normalità” vede la propria vita appesa ad un filo, incerta e precaria. Ai dannati di questa terra, agli ultimi fagocitati da un sistema vorace, egoista. Ai migranti sulle sponde di Lesbo, ai senzatetto nelle nostre città, ai lavoratori ancora in fabbrica, ai riders, ai palestinesi, ai curdi e a tutti quegli uomini e quelle donne che quotidianamente combatto per il diritto a sopravvivere. Forse in questo modo riusciremo ad aprire gli occhi e a renderci conto dell’abissale divario tra la nostra condizione in questo contesto di isolamento e il mondo fuori dalla fortezza Europa. Perché se la scelta più difficile da affrontare oggi, per noi, dalle nostre case, è quale torta cucinare, quale diretta streaming seguire, quale libro leggere, allora forse è giunto il momento di volgere lo sguardo fuori dalle nostre ovattate vite e pretendere giustizia sociale per tutte e tutti.

Laila

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