Deisha, Palestina – L’ennesimo morto di cui nessuno parlerà

27 marzo 2019 Deisha camp, Betlemme, Palestina.

Non una, ma ben due volte tra le 2 di notte e le 6 del mattino, mercoledì 27 marzo, i soldati israeliani hanno fatto incursione nel campo profughi di Deisha, situato a sud di Betlemme.

Questa mattina (ieri) hanno usato lo stratagemma di nascondersi dentro a due furgoncini con targa palestinese per entrare indisturbati nelle vie del campo.

Entrambe le volte hanno portato via due ragazzi, anche se uno dei due non era il loro obiettivo, ma il fratello.

Purtroppo però durante questi attacchi capita spesso che qualcosa vada storto, e di solito a discapito degli abitanti del campo. Oggi, infatti, Deisha si sveglia con un nuovo martire da aggiungere alla sua già ben lunga lista: Sajid Abed al-Hakim Mizher, di soli 17 anni.

Era presente al momento degli scontri fra abitanti del campo e soldati (i ragazzi si lanciano all’inseguimento della truppa per impedire l’arresto o comunque renderlo difficoltoso) in qualità di paramedico, e come tale indossava la pettorina di riconoscimento del primo soccorso; si stava infatti occupando di medicare un ragazzo ferito. Invece i soldati hanno sparato anche lui, mentre soccorreva un altro giovane.

Sajid non è morto sul colpo, ma dopo essere arrivato in ospedale. I medici si sono scontrati con la triste verità che l’addome di Sajid era stato ferito non dai dei semplici proiettili, ma da quelli che qui chiamano “dum dum”. Si tratta di proiettili che una volta venuti a contatto con il corpo esplodono al suo interno. Così sono stati irrimediabilmente danneggiati i suoi organi.

E non è nemmeno la prima volta per la sua famiglia di avere un martire o un ferito fra i propri cari : suo cugino, anche lui appena adolescente è morto circa 5 mesi dopo essere stato ferito dai soldati israeliani, e ancora un’altro cugino di appena 13 anni, nel gennaio 2018, in seguito a delle ferite alla spina dorsale, è rimasto paralizzato.

L’intera comunità di Deisha, in segno di rispetto e vicinanza alla famiglia di Sajid, chiude tutte le attività commerciali e così anche Betlemme.

Il corpo del giovane viene portato in corteo funebre prima fino alla casa della famiglia, e poi dopo un momento di preghiera collettiva, fino al cimitero dei martiri situato proprio dietro il campo.

Le persone accorse sono tantissime, a migliaia, si rimane davvero impigliati nella folla.

Ed è in questi momenti che ci si rende conto della forza della resistenza palestinese, dell’unione della sua comunità, della potenza di ogni singolo individuo di pensare e sentire collettivamente. Allo stesso tempo però lo sconforto è inspiegabile: gli abitanti di Deisha vivono con la costante domanda di “chi sarà il prossimo?”, lo scrivono sui muri delle case (miglior social media per la propaganda politica), interrogandosi sul significato della propria quotidianità, sulla finalità delle loro azioni, a dove li stanno portando e a cosa servono.

É sconfortante assistere a tutto questo e non avere la possibilità materiale di poter fare qualcosa, se non quella minima di parlare il più possibile di quanto accade in West Bank, essere divulgatori del messaggio di resistenza palestinese, per fare in modo che risuoni più lontano possibile, nella coscienza di ogni individuo affinché qualcosa anche a livello internazionale possa cambiare. A cominciare dal fatto che non ci debbano più essere dei martiri, che al contrario di quanto vuole farci credere il governo israeliano, non scelgono mai la morte: sanno perfettamente che questo destino incombe sulle loro teste come una spada di Damocle, ma loro scelgono sempre e comunque la vita, lottando sempre per il loro diritto al ritorno, per la loro Palestina Libera.

G_M

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