Dopo i pogrom razzisti l’Inghilterra antifascista reagisce e si riprende le strade

Dopo giorni segnati dalle azioni squadriste e le mobilitazioni islamofobe in tutto il Regno Unito, gli/le attivistx antirazzistx organizzatx sotto lo slogan Stand Up to Racism hanno marciato in oltre 30 città.

Alcune di queste: Liverpool, Oxford, Newcastle, Brighton, Southampton, North Finchley, Nottingham, Cheadle.

A Londra una folla oceanica è partita da Totthenam per riversarsi verso Walthamstow.

Quest’ondata di razzismo travolge il paese a meno di un mese dall’insediamento del nuovo governo Labour guidato da Keir Starmer.

La sconfitta dei Tories dopo 14 anni di scellerate politiche neoliberiste sembravano dare a tutta Europa un segnale di speranza in tempi cupi. Il primo ministro uscente Rishi Sunak aveva portato i conservatori a un’impopolarità senza precedenti. Come tutte le destre aveva fatto delle politiche razziste un proprio tratto identitario.

Lo scorso anno nel mare di Portland era comparsa una chiatta galleggiante trasformata in centro di accoglienza per richiedenti asilo. E nonostante le molte polemiche era stata recentemente approvata la legge che prevede la deportazione in Rwanda dei migranti irregolari (poi immediatamente abrogata dai neo eletti Labour).

Ma purtroppo oggi a fare da testa di ponte contro questi ignobili provvedimento spesso non sono i valori solidali dell’apertura, dei ponti contro i muri, ma il cinico razionalismo che considera simili piani inadeguati perché dispendiosi e inattuabili.

E infatti nei giorni scorsi si è sentito tutto il gelo di questa doccia fredda. La rapida diffusione di dimostrazioni xenofobe ha evidenziato che c’era una parte di Inghilterra che covava un risentimento di stampo supermatista profondo, una tensione che è stata finora latente, ma era pronto a scoppiare.

Sarebbe quindi un errore ricondurre quest’esplosione di odio unicamente a una diretta conseguenza dei tragici eventi di Southport, quando questo 29 luglio, un 17enne ha ucciso 3 bambine e causato 10 feriti ad un concerto. Dato che la legge inglese non permette la diffusione di informazioni riguardo l’accusato in quanto minorenne, sono ancora tante le domande senza risposta. Ma a quell’orrore era seguita la circolazione online della fake news che l’assassino fosse un richiedente asilo giunto in UK illegalmente in barca nel 2023 e che si trattasse di un attacco terroristico di matrice islamica. Si è invece verificato in seguito che si tratta di un ragazzo nato a Cardiff (Galles).

Così mentre parte della comunità di questa piccola cittadella si raccoglieva in lutto, a pochi chilometri di distanza circa 300 maschi bianchi, prevalentemente affiliati con quel che rimane del network di English Defence League hanno tentato di assaltare una moschea, scontrandosi infine con la polizia che si è limitata al contenimento, subendo diversi feriti. Anche se si tratta del primo episodio violento di questi giorni, che ha fatto da innesto per i numerosi attacchi a seguire, va inserito in una cornice più ampia. Sono state prese di mira persone razzializzate per la strada, strutture per l’accoglienza, uffici, case.

I raduni organizzati sui social avevano come slogan “Enough is Enough” (parafrasando: quel che è troppo è troppo).

Tra i responsabili di questo climax non può essere dimenticato il sensazionalismo di quei media complici con la retorica acchiappavoti del populismo

Solo pochi giorni prima, il 27 luglio, a Londra aveva luogo la manifestazione promossa dal leader fascista Tommy Robinson più partecipata da sempre. Radunando per “una dimostrazione di forza patriottica” 20mila persone al seguito dello striscione “Uniting the Kingdom” (unificare il regno).

Tommy Robinson è il fondatore nel 2009 dell’English Defence League, gruppo ultranazionalista con base militante prevalentemente proveniente dagli ambienti hooligans. Dopo una rapida crescita viene travolto da alcuni scaldali per il coinvolgimento di alcuni membri nella pianificazione di attentati dinamitardi contro delle moschee. Così Tommy Robinson decide di intraprendere la strada dell’istituzionalizzazione e di allontanarsi dal movimento che presto si sgretola, rimanendo un frammentato network informale. Dopo un breve e infruttuoso tentativo di fondare il British Freedom Party, che raccoglieva dei fuoriusciti dal British National Party, prova a fondare Pegida-UK, prendendo spunto dai camerati islamofobici tedeschi. Anche questa prova sembra essere andata male. Ma attorno alla sua figura ruota ormai una quota significativa dell’alt-right, con una capacità di raccogliere capitale, anche dall’estero, stimata tra gli 1 e 2 milioni di pound. Attualmente si trova a Cipro, per evitare il secondo mandato d’arresto ricevuto di recente. Al primo, per diffusione di false informazioni, era scampato su cauzione. Poi ha vinto il secondo per non essersi presentato in aula ad un processo per oltraggio alla corte.

Il governo Starmer ha promesso di proteggere le minoranze del paese, reclutando ulteriori 6.000 poliziotti e creando 500 posti in carcere.

I cittadini di Nigeria, Malaysia, Australia, Indonesia, Emirati Arabi che si trovano in UK hanno ricevuto un’allerta ufficiale, con l’invito a monitorare la situazione e fare cautela.

Le comunità sotto minaccia si raccolgono e cercano di organizzarsi come possibile in base alle necessità, in un crescendo di paura. La tipicità multietnica di Londra offre dei buoni anticorpi. La campagna Stand up to Racism nasce come iniziativa del Unite Against Fascism, nato dalla fusione di alcune reti di movimento con il supporto del sindacato (Trades Union Congress). Dal 2003 si batte nelle strade, confrontandosi con la British Defeance League fin dalle sue prime incursioni.

La tradizione antifa inglese è simboleggiata nella celebre battle of Cable Street, quando nel 1936 il British Union Fascist se la vide brutta.

“La storia dimostra che i fascisti non sono fermati dalla polizia o dallo Stato, ma dal coraggio di persone ordinarie, che scendono in strada e prendono posizione”.

Davide Viganò

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