Esplosione al porto, Beirut in macerie

Come un bombardamento aereo, spaventoso come l’attentato di 15 anni fa in cui rimase ucciso il premier Rafik Hariri. Una vasta area di Beirut ieri appariva un campo di battaglia, con almeno 67 morti e circa tremila feriti – tra i quali tre italiani: due militari dell’Unifil e una cooperante italiana –  dopo l’esplosione devastante avvenuta nel pomeriggio nell’area del porto. Si sono viste scene apocalittiche, corpi sotto le macerie e gli autoveicoli, civili che chiedevano aiuto urlando di dolore. «Come Hiroshima», ha commentato tra le lacrime il governatore di Beirut Marwan Daoud. Il premier Hassan Diab ha dichiarato per oggi una giornata di lutto nazionale e assicurato che i responsabili di questa tragedia saranno trovati e puniti. Il Libano e la sua capitale queste scene le hanno già vissute. Ma la causa dell’esplosione di ieri, almeno stando a quanto si diceva a Beirut in serata, sarebbe legata ad un incidente. Un incendio in un magazzino di fuochi d’artificio o forse «materiali esplosivi confiscati» dalle autorità in passato e colpevolmente abbandonati senza adeguate misure di sicurezza. Il movimento sciita Hezbollah ha smentito che si sia trattato di un attacco israeliano contro un suo deposito di armi.

L’esplosione, innescata da una catena di piccole deflagrazioni come mostrano alcuni filmati, è stata avvertita in tutta la città, fino alcuni chilometri di distanza. Intervistati dalle tv locali, alcuni testimoni, anch’essi feriti, ripresi con alle spalle macerie e incendi, hanno raccontato di cadaveri in strada, di persone insanguinate, di distruzioni immense. Davanti al centro medico di Clemenceau si sono ammassati decine di feriti, inclusi bambini coperti di sangue. Molte delle vetrine dei quartieri di Achrafieh, Hamra, Badaro e Hazmieh, sono state distrutte, così come le finestre di palazzi e autoveicoli abbandonati in strada con gli airbag gonfi. Tra gli edifici danneggiati, anche il quartier generale dell’ex-premier Saad Hariri. Il celebre lungomare di Beirut appariva ricoperta di macerie e frammenti di vetro. Trenta squadre di soccorritori e i vigili del fuoco hanno lavorato tutta la notte per estrarre i corpi dalle macerie. L’esercito è intervenuto per garantire il trasporto dei feriti negli ospedali. Poco dopo l’esplosione, sia la rete telefonica che quella Internet si sono interrotte.

L’esplosione al porto peraltro è giunta mentre il Libano attende, venerdì, il verdetto sul camion-bomba che nel 2005 uccise Rafik Hariri e altre 21 persone proprio nei pressi del porto. Tanti libanesi ieri inevitabilmente hanno pensato ad un nuovo pesante attentato, legato proprio al processo al Tribunale speciale per il Libano (Tsl, nato nel 2007), con sede all’Aja. Alla sbarra ci sono quattro imputati in contumacia, membri di Hezbollah: Salim Ayash, Habib Merhi, Hussein Oneissi e Assad Sabra. C’era anche un quinto imputato, Mustafa Badreddin, ma è morto in Siria nel 2016. Gli imputati sono accusati di «complotto a fini terroristici e omicidio preterintenzionale». Hezbollah ha sempre respinto le accuse, negando il coinvolgimento di suoi membri e accusa cospirazione Usa, Francia e Israele.Un dramma che aggrava il periodo economico e politico  delicato che sta vivendo il Libano, in cui la valuta locale è crollata nei confronti del dollaro con effetti devastanti, le imprese chiudono in massa e la povertà sale allo stesso ritmo allarmante della disoccupazione. Due giorni fa si era dimesso il Ministro degli Esteri Nassif Hitti a causa di forti dissensi col premier Hassan Diab seguiti alle polemiche suscitate dalla recente visita a Beirut del Ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian che ha accusato il Libano di non aver fatto alcuna delle riforme richieste per ottenere gli aiuti internazionali.

di Michele Giorgio

da il Manifesto del 5 agosto 2020

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