Recovery fund, mediterranei e nordici ai ferri corti

“La linea rossa italiana è che la risposta sia adeguata ed effettiva, cioè concretamente perseguibile”. Appena arrivato a Bruxelles, Giuseppe Conte ribadisce che dal Consiglio Europeo devono arrivare delle risposte chiare. Non è tempo di meline e men che meno di uno stop al Recovery Fund, fa capire il Presidente del Consiglio italiano. Un Conte che ha in testa le parole di Sergio Mattarella (“è un vertice decisivo per il futuro dell’Unione”), e che poche ore prima ha incontrato Emmanuel Macron, per rinnovare un’intesa legata alla necessità di dare una risposta “ambiziosa e immediata” agli effetti tellurici, in tutto il mondo, di una pandemia ancora lontana dall’essere sconfitta.
Per questo il Presidente del Consiglio puntualizza: “Vorrei chiarire che non è solo una questione di flussi finanziari. Stiamo elaborando una risposta economica e sociale per tutti i cittadini europei, nel comune interesse, per i valori che condividiamo, e per rendere l’Europa più resiliente, più competitiva nel contesto globale”. E anche se il vertice parte in salita, per le resistenze dei cosiddetti “paesi frugali”, Olanda in testa, al piano anticrisi elaborato dalla Commissione Ue, Conte non può permettersi molti passi indietro. Non dopo che il governo italiano ha finanziato, con manovre costate 80 miliardi di deficit, la comunque difficile ripresa dopo il lockdown, in uno scenario rivoluzionato dal coronavirus in gran parte del pianeta.

Il “compromesso necessario” di cui parla Angela Merkel prima dell’apertura dei lavori è una ipotesi più che probabile. “Faremo di tutto per arrivare a un accordo – conferma Macron – e occorre trovare un compromesso, perché servirà a costruire una nuova sovranità europea”. Ma certo l’Italia, con Spagna, Portogallo, anche la Francia e altri paesi, voglioni difendere il piano di partenza dell’Ue. Soprattutto per la parte dei trasferimenti, gli 81,8 miliardi di sussidi che le ha assegnato la Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen. Insomma è possibile trattare su alcuni singoli programmi del pacchetto da 750 miliardi. Ma non sui Piani di rilancio da 310 miliardi di trasferimenti complessivi, e 250 di prestiti agevolati.

“Ho piena consapevolezza delle divergenze esistenti – osserva in proposito Conte guardando anche al bilancio pluriennale 2021-27 dell’Unione che i “frugali”, al solito, vorrebbero tagliare per avere maggiori sconti sul loro contributo – ma dobbiamo superarle. Non solo nell’interesse dei cittadini italiani, che hanno sofferto e stanno soffrendo molto, ma di tutti i cittadini europei”. Gli fa eco il Presidente dell’Europarlamento, David Sassoli: “Il Parlamento non darà il via libera al pacchetto se non saranno accolte le priorità indicate dalla maggioranza degli eurodeputati, a cominciare da un bilancio comune europeo all’altezza della sfida. Serve una risposta ambiziosa, è in gioco il futuro dell’Unione”.

Al premier olandese Mark Rutte, e alla sua pretesa di avere la possibilità di porre il veto sui piani di riforme dei singoli paesi, da Conte arriva una risposta secca: “È fuori dalle regole, e si tratta di una proposta politicamente impraticabile”. Il vertice dà ragione al premier italiano, si andrà avanti a maggioranza qualificata. Ma Rutte, che dà meno del 50% di possibilità al buon esito del Consiglio Europeo, non demorde: “Se i paesi del Sud Europa come Italia, Spagna, Portogallo e Francia hanno bisogno dell’aiuto di altri paesi, è ragionevole che chiediamo un impegno chiaro sulle riforme. Se vogliono prestiti e anche trasferimenti, i paesi rimasti indietro sulle riforme del lavoro e delle pensioni devono accelerare”. Il contrario di quanto affermato dal premier italiano (e non solo da lui), che aveva ribadito la necessità di non fare una partita contabile, ma una sfida politica con una visione generale dell’Europa.

In confronto a Rutte, l’austriaco Sebastian Kurz, che pure fa parte dell’ala dura dei “frugali”, appare più attento al nuovo scenario disegnato dal coronavirus: “I fondi per la ripresa devono andare a coloro che sono stati maggiormente colpiti dalla crisi provocata dalla pandemia di Covid-19. Certo dobbiamo assicurarci che i soldi siano investiti correttamente, per esempio per rendere l’economia più ecologica, per la digitalizzazione e per sostenere le riforme. Ci vuole anche una tassa sulle emissioni”. Peraltro questo deve restare un unicum: “Non daremo il nostro assenso ad alcuna misura che porti ad un’Unione permanente di trasferimenti”.

di Riccardo Chiari

da il Manifesto del 18 luglio 2020

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