Gabriel Boric presidente, sfida di una generazione. Il Cile approva

«Spero che faremo meglio» è stata la frase con cui Gabriel Boric, prossimo presidente del Cile, ha chiuso la comunicazione virtuale con Sebastián Piñera, che dovrà consegnargli la fascia presidenziale l’11 marzo. Boric, nato 35 anni fa sotto la dittatura di Augusto Pinochet, da militante delle proteste studentesche del 2011 è riuscito a proiettarsi verso la candidatura nell’alleanza Apruebo Dignidad (Frente Amplio e Partito comunista cileno) e infine a essere consacrato come il presidente più votato e il più giovane della storia del paese.

«Irrecuperabile» è stato il termine usato dalla sede della campagna del candidato del Frente Social Cristiano (Partito repubblicano e cristiano-conservatori) José Antonio Kast, per definire la distanza tra gli sfidanti. Una parola che ha scatenato i festeggiamenti quando era passata appena un’ora dalla chiusura dei seggi e il conteggio dei voti si aggirava intorno al 30%. Gonzalo de la Carrera, uno dei 15 deputati eletti dal partito di Kast, veniva incaricato di riconoscere la sconfitta. E nel quartier generale di Boric la festa è iniziata quando hanno sentito de la Carrera.

Il risultato del primo turno, in cui Kast aveva ottenuto il 27,9% dei voti e Boric il 25,83%, è un ricordo del passato. La misura della vittoria di Boric sta anche qui: la tendenza storica, più promettente per il candidato repubblicano e la sua alleanza, indicava che i risultati del primo turno non erano mai stati sovvertiti al ballottaggio.

Poco dopo le 19, Kast ha annunciato la sua sconfitta sui social: «Ho appena parlato con Gabriel Boric e mi sono congratulato con lui per la sua grande vittoria. Da oggi è il presidente eletto del Cile e merita tutto il nostro rispetto e la nostra collaborazione costruttiva». La stessa linea, ma con un tono più emotivo, è risuonata più tardi nel suo bunker elettorale. «Siamo servitori di una causa più grande: il Cile», ha detto Kast dal podio, incitato dai pochi sostenitori. I suoi occhi si sono riempiti di lacrime mentre parlava della sua famiglia, dopodiché, guardando al futuro politico ha affermato che avrebbe cercato un «equilibrio» nel Congresso. Il candidato pinochetista, lo stesso che aveva proposto di costruire un fossato per impedire l’ingresso dei migranti, ha aggiunto: «Tutti insieme, dobbiamo unire nuovamente i cileni».

I clacson e la carovana celebrativa di Boric che hanno inondato la città di Santiago hanno fatto anche da sfondo al trasferimento di Kast dal ricco quartiere di Las Condes al centro, dove il candidato sconfitto si è recato per salutare di persona il futuro presidente. Dopo le formalità, Boric ha raggiunto in auto il palco allestito davanti alla Biblioteca Nazionale, a 500 metri dal Palacio de la Moneda. L’ingorgo che si è creato ha fatto sì che la gente, appena riconosciuto, si avvicinasse per scattare delle foto. Una volta arrivato Boric ha dovuto attraversare una moltitudine di persone che lo hanno letteralmente sollevato verso il palco. Lì ha fatto il suo discorso, circondato dalla famiglia e da un’unica dirigente, Izquia Siches, che dopo il primo turno si è dimessa da presidentessa della popolare Associazione medica cilena per diventare la manager della campagna del Frente.

Camilla Vallejo, portavoce di Boric, ha scelto di non apparire sul palco durante il discorso, ma la sua campagna nei territori è andata avanti fino alla sera prima delle elezioni, quando è andata a La Pintana, uno dei quartieri popolari del sud di Santiago, formatosi quando la dittatura ha sfollato le famiglie di Las Condes. Lì, la deputata comunista – probabile ministra nel prossimo governo -, che ha svolto per anni un lavoro comunitario, è stata ricevuta nel consiglio degli abitanti del quartiere. Vallejo ha sottolineato al manifesto le sfide della sua generazione, che oggi guida un rinnovamento della dirigenza politica, sostenendo il lavoro nel territorio di cui è rappresentante alla Camera dei deputati, ma anche il lavoro del suo partito, il Pcc, che si differenzia dagli altri – dice Vallejo – perché da anni ha «un’estensione a livello nazionale» e una presenza tra la popolazione che gli ha permesso di «crescere» costantemente. Vallejo ha anche messo in luce le difficoltà incontrate nel rompere con certe «logiche clientelari» promosse da altri partiti, i quali finiscono per prendere «decisioni a porte chiuse».

Fredy Campos, riconosciuto nella squadra di Vallejo come «il migliore dei nostri leader territoriali», da parte sua ha aggiunto che il Partito comunista «ha radici e una base popolare» e questo fa sì che abbia «una crescita in termini di candidati eletti e di rappresentanza negli spazi di potere. Nel Congresso abbiamo ottenuto due senatori, a cui ora sommiamo deputati. Abbiamo aumentato il numero di consiglieri locali. Significa che il lavoro che stiamo facendo da anni sta dando i suoi frutti», ha detto Campos sabato pomeriggio, 24 ore prima di rendersi conto che lo stesso lavoro sarà fondamentale per il prossimo presidente.

 

foto Ap

 

La notte della vittoria, con le strade straripanti di gente, Boric ha pronunciato un discorso finito di scrivere in auto. Parole in linea con la postura assunta durante la seconda parte della campagna. Uno spostamento verso il centro, alla ricerca di un maggiore consenso e in contrasto con posizioni di estrema sinistra in cui si è cercato di collocarlo: «Avanzare richiederà ampie intese, non vogliamo fare passi falsi né mettere a rischio ciò per cui ogni famiglia ha lottato», ha detto, usando la parola «responsabilità» in riferimento ai cambiamenti strutturali, alludendo a una certa moderazione. Contrariamente a quanto dichiarato da Kast, Boric ha poi difeso come previsto il processo della Convenzione Costituzionale e ha sottolineato il ruolo del movimento femminista, nonché la centralità dell’infanzia per il futuro del paese: «Abbiamo guardato negli occhi i bambini del Cile e so che non possiamo fallire», ha detto.

A poche centinaia di metri di distanza, l’atmosfera in Plaza Dignidad, dove diversi artisti popolari hanno cantato per ore, sembrava più underground di quella che circondava il palco di Boric. La carenza di autobus, letta da molti come un boicottaggio nel giorno delle elezioni, non ha fermato gli 8.344.117 voti espressi nelle urne, 1 milione e 200 mila in più rispetto al primo turno. Un fatto chiave per interpretare il voto popolare di domenica è che per la seconda volta – guardando alle sei elezioni avvenute negli ultimi due anni – l’affluenza ha superato il 50%, questa volta di quasi 7 punti. La precedente occasione è stato il referendum di ottobre 2020 con la vittoria dell’ «Approvo» alla proposta di riforma costituzionale per sostituire la Magna Carta di Pinochet. Altro inevitabile riferimento è lo storico plebiscito del 1988 in cui le forze democratiche che dissero “No” alla continuità del dittatore vinsero facendo registrare più del 55% di affluenza. Anche questa volta, le forze democratiche si sono alzate al di sopra dei promotori di un “ordine” che, più che la pace sociale, cercava di fermare la storia.

Le leadership nate nelle piazze un decennio fa, che hanno attinto alla tradizione della generazione sopravvissuta alla dittatura e hanno saputo raccogliere le istanze degli studenti delle scuole secondarie che hanno acceso la miccia della rivolta, sono ora riuscite a raggiungere il palazzo del governo. Da lì, per il futuro democratico del Cile, dovranno rendere conto delle richieste che sono state in grado di istituzionalizzare.

di Ariana Dacil Lanza

traduzione di Gianluigi Gurgigno

da il Manifesto del 21 dicembre 2021

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