Gaza, dove sono le agenzie umanitarie?
Il massacro che si sta svolgendo in queste settimane nella Striscia di Gaza è sotto gli occhi di tutti.
Nonostante l’Italia non riesca ad eguagliare le proteste di paesi come la Francia e il Marocco, ma anche gli Stati Uniti (dove nei giorni scorsi sono scese centinaia di migliaia in piazza contro le stragi israeliane), parte della società civile si sta muovendo, per far circolare le informazioni e per inviare segnali di dissenso.
La scorsa settimana infatti si sono svolte proteste in tutta Italia (a Milano si è svolto un presidio e si svolgerà un altro presidio davanti alla Rai, per protestare contro l’informazione scorretta).
Anche alcuni giornalisti italiani, come Michele Giorgio e gli inviati di Radio Popolare, si stanno distinguendo per una presenza sul campo e la volontà, al contrario di tanti altri media ed operatori, di raccontare la realtà del terreno: fatta di stragi di civili e di incredibili atrocità, portare avanti dal governo israeliano nella solita, totale, impunità. Un lavoro fatto a proprio rischio e pericolo, visto che non esiste tutela per chi si trova in quella zona di guerra e distruzione.
Quello che manca totalmente e sulla quale è il caso di interrogarsi, è l’azione delle agenzia umanitarie, sia italiane che internazionali.
Israele infatti impedisce, da sempre, che effettivi aiuti giungano alla popolazione palestinese. Chi ha lavorato nel settore lo sa bene: negli anni sono stati imposti sempre più limiti all’azione umanitaria che, purtroppo, i governi di provenienza degli aiuti non sono riusciti a contrastare.
Limitazioni di movimento, problemi di visti e permessi, continui controlli, difficoltà di accesso alle popolazioni colpite e sofferenti: l’azione umanitaria in Palestina ha perso, negli anni, moltissima capacità di impattare sulle sempre più dire condizioni di vita delle popolazione civile.
Ma è proprio in questi giorni e, in particolare, con la strage di Sajaya (60 morti accertati solo nella giornata di domenica) che anche l’azione umanitaria di emergenza è stata chiaramente vanificata: infatti sono arrivate numerose testimonianze di civili palestinesi che, nel tentativo di chiamare ambulanze per soccorrere i feriti, intrappolati nel quartiere sotto durissimi bombardamenti, hanno trovato tutti i telefoni e i cellulari spenti.
E’ apparso chiaro come anche la Croce Rossa Internazionale (ICRC), l’organismo di soccorso imparziale per eccellenza, abbia avuto chiare “difficoltà” nell’operare, in una situazione di estrema emergenza, e laddove il bisogno era urgente e primario.
Mentre attendiamo un comunicato ufficiale di ICRC che spieghi l’accaduto, è il caso di interrogarsi chiaramente sul ruolo dell’azione umanitaria in quel contesto: un timido tentativo è stato fatto dalle ONG italiane, che sono uscite la scorsa settimana con questo comunicato (http://nena-news.it/gaza-cooperanti-italiani-basta-con…/), invitando i governi a prendersi la responsabilità di una posizione a difesa dei civili palestinesi.
E’ il caso di chiedersi, in questo momento di urgenza nel fare pressione sulla comunità internazionale, se un comunicato sia sufficiente: emerge quanto mai chiaramente come vada ripensato l’intero sistema di aiuti e di cooperazione (emergenza inclusa), in quanto non più indipendente dalle ingerenze del governo israeliano.
Senza l’efficacia di è presente sul campo, e che possa testimoniare e fare concretamente qualcosa per aiutare la popolazione schiacciata dall’occupazione e dalla guerra, noi società civili che viviamo a chilometri di distanza ci chiediamo sempre di più come far sentire le nostre voci e la nostra vicinanza alla popolazione palestinese. Anche noi subiamo un “blocco”, così come i Gazawi, in quanto non possiamo sfondare l’isolamento prodotto dalla politica israeliana in questi anni, nonostante la disponibilità strumenti, fondi e persone pronte ad operare sul campo.
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