Le accuse propagandistiche di Erdogan dopo l’attentato di Istanbul

Il governo turco punta nuovamente il dito contro il PKK e ne afferma pubblicamente la colpevolezza.
Ne parliamo con Hazal K., esponente della comunità curda di Milano.

Il PKK non fa attentati di questo tipo, non ne ha mai fatti nella storia e non li farà. A Istanbul vivono milioni di curdi, quale sarebbe l’interesse del PKK nell’attuare una strategia così violenta e autodistruttiva? Siamo noi quelli sotto attacco da mesi da parte della Turchia nella zona del Kurdistan iracheno, in Bashur. Gli attacchi chimici continuano. La Turchia calpesta ogni regolamento internazionale rispetto la guerra e utilizza armi chimiche, e non solo nel Kurdistan iracheno: l’ultimo attacco è stato fatto negli scorsi giorni in Rojava.

Per quale motivo il governo turco prende di mira il PKK?
Abbiamo ben presente quel che è successo nelle elezioni del 2015 e 2017, e quanti attacchi ed esplosioni sono stati attribuiti allo Stato Islamico e ai curdi (messi sullo stesso piano) anche in quel periodo pur di creare uno stato di terrore in avvicinamento alle elezioni. Io credo che da qui a giugno cominceremo a sentir parlare sempre più della Turchia, e di altri attacchi. Questo è solo l’inizio di una lunga serie di attacchi che ci saranno da parte del governo di Erdogan nei confronti dei propri cittadini. Pur di vincere, Erdogan è disposto a uccidere i propri cittadini, e le persone che uccidono i propri cittadini sono chiamate dittatori.

Quali sono i rischi per i curdi con le elezioni a giugno prossimo?
L’aspettativa per le elezioni è che il governo turco proverà a chiudere definitivamente l’HDP, il Partito Democratico dei Popoli di cui molti rappresentanti sono in carcere. Da quando Erdogan è al potere, sono stati arrestati oltre 10mila membri del partito.
La Turchia vive un momento economico molto negativo. Giorno dopo giorno, la gente non arriva più alla seconda settimana del mese con quel che guadagna. L’inflazione è alle stelle, c’è malessere comune e i diritti di tutti sono calpestati: non puoi esprimerti liberamente e non puoi scegliere per la tua vita personale. La Turchia è uscita dalla convenzione di Istanbul (la convenzione internazionale per la prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica) di cui era stata primo firmatario, i sindaci eletti democraticamente sono stati arrestati e sostituiti da rappresentanti delle pubbliche amministrazioni scelti dal ministero degli interni. I rettori delle università più prestigiose non vengono più scelti dai docenti, ma nominati direttamente da Erdogan: l’università è un luogo dove i movimenti studenteschi, specialmente quelli di sinistra e di opposizione politica, hanno più forza. Dentro questo quadro di caos la Turchia decide di usare volontariamente il PKK come capro espiatorio, per creare la politica del terrore e dell’odio che va a consolidare il proprio elettorato.

Come si schiera la comunità curda sull’attentato di ieri?
Noi crediamo che la vita sia un diritto universale e che non debba essere tolta a nessuno. Sono morte 8 persone e ci sono, ad ora 81 altre persone rimaste ferite. Come già detto, il PKK non fa attentati di questo tipo.
I gruppi armati nelle montagne del Kurdistan e nelle altre zone colpite si difendono di fronte alla violenza di un dittatore, perché l’autodifesa è obbligatoria. Erdogan non ha nessuna voglia di parlare di pace, perché è ben consapevole del fatto che queste elezioni le può perdere. Qualora dovesse accadere, è chiaro che si ritroverebbe a essere portato in tribunale per crimini di guerra e per tutte le atrocità commesse negli ultimi 20 anni in Turchia.

Non vi sentite traditi dalla comunità internazionale dopo aver combattuto in prima linea contro l’Isis? Erdogan ha sempre usato il pugno di ferro con i curdi, ed ha ottenuto sostegno dalla Nato dopo aver inizialmente posto il veto sugli aiuti a Svezia e Finlandia per la questione russa. Quali sono i rischi della vostra comunità a livello europeo?
Rispetto alla situazione internazionale, il ricatto della Turchia è palese. I dittatori fanno queste cose e l’Europa, purtroppo, gli ha dato spazio. Chiunque abbia ottenuto protezione internazionale nell’UE ha diritto a permanere e ad essere difeso. Per i curdi, in particolare, la situazione in Turchia è rischiosissima, non ci vengono riconosciuti i diritti. In molti fuggono dalla penisola perché chi viene portato in tribunale, spesso senza ragione, è sottoposto a un giudizio non equo, anti-democratico, religioso e fazioso. La stessa Europa ha dichiarato che la condanna di Abdullah Öcalan, fondatore del PKK, è stata eseguita da un tribunale fazioso. La sentenza è dunque riconosciuta come illegale. Di fatto però, se l’Europa e la comunità internazionale decidono di rimettere queste persone nelle mani di un dittatore, consegnano una parte della propria democrazia a un uomo senza scrupoli. Soprattutto, girano le spalle a un popolo amico, che si è battuto per la libertà di tutti i popoli. Chi chiede protezioni per ragione politica, sociale e/o culturale deve essere protetto. È inaccettabile quel che è successo con Svezia e Finlandia.

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