Liberate Hajar! Giornalista marocchina arrestata per aborto clandestino
Siamo in Marocco questa volta, a fine agosto.
Hajar Raissouni è una donna di 28 anni, una delle firme di punta del quotidiano arabo Akhbar Al Yaoum, divenuta nota per le sue battaglie vicine al movimento Hirak Rif. Prima di raccontare come stanno provando a fermare Hajar, è necessario spendere delle parole su questo movimento.
L’Hirak Rif è un movimento popolare di protesta di massa che ha avuto luogo nella regione berbera a Nord del Marocco. Tutto è nato tra l’ottobre 2016 e il giugno 2017 a seguito della morte di Mohcine Fikri, un pescivendolo rimasto schiacciato dentro un camion della spazzatura mentre provava a recuperare la sua merce confiscata dalle autorità locali. Le piazze si sono infiammate ma le proteste di massa hanno incontrato la repressione violenta del regime marocchino, con scontri tra polizia e manifestanti in varie città come Al Hoceima, Eddriwesh e nelle province di Enador.
Il leader delle proteste di massa dell’Hirak Rif, Nasser Zefzafi, è stato arrestato dalle forze dell’ordine marocchine e agenti dell’intelligence che hanno localizzato il suo telefono il 29 maggio 2017. Trasportato nel carcere di Oukacha a Casablanca, Nasser e altri 49 attivisti e giornalisti sono stati condannati a 20 anni di prigione per “compromissione della sicurezza dello Stato”.
Gli attivisti dell’Hirak hanno avviato diversi scioperi della fame per denunciare la loro condanna e le condizioni della loro detenzione. Nasser in particolare è stato tenuto in isolamento per più di un anno dopo il suo arresto.
Anche di questo scrive Hajar, riportando i dati sull’aumento dei processi giudiziari a carico di chi dissente all’interno di questa monarchia parlamentare. Una monarchia – quella del Marocco – che è riuscita a fermare agli albori le proteste per la democrazia scoppiate nel 2011 in tutto il Nord Africa, emanando leggi a favore della scuola, della sanità, del lavoro e della condizione della donna.
A favore delle donne sono stati aperti centri anti-violenza, è stata modificata la legge sul divorzio (per una donna era impossibile separarsi senza incorrere nel ripudio familiare), sono state avviate diverse campagne di sensibilizzazione maschile.
Nel 2016 si è anche arrivati a legalizzare in parte l’aborto, accettando le interruzioni di gravidanza in caso di stupro, incesto, situazioni in cui la madre ha gravi problemi fisici o mentali e quando il feto ha una grave malformazione. Tuttavia, questi cambiamenti non sono mai stati implementati.
Succede che sabato 31 agosto Hajar e il suo ragazzo escono dall’ufficio di un ginecologo ad Agdal, a Rabat. Inaspettatamente i due si trovano circondati da sei agenti di polizia sotto copertura che con la forza riportano la coppia dentro lo studio del medico.
Le dicono che è accusata di aver abortito illegalmente e che per questo motivo è in arresto.
Ma non solo lei, anche il suo ragazzo – uno studente universitario sudanese con il quale è previsto il matrimonio il 14 settembre – il medico e l’infermiera, sospettati di aver compiuto l’atto, e il segretario del dottore. Hajar prova a negare inutilmente, tanto hanno già deciso per lei.
È accusata di “rapporti sessuali illegali che hanno causato la gravidanza” e “aborto illegale”. Troppo pericolosa nel suo corpo di donna, attivista e giornalista in un Paese che ancora ha paura della parola libertà.
Dal giorno del suo arresto il Marocco si divide nuovamente in due quando si parla di autodeterminazione del corpo femminile: da una parte abbiamo l’animo conservatore, tradizionalista e vecchio che parla e scrive che Hajar non ha abortito una volta, ma tre (!) e che per questo deve marcire in galera; dall’altra abbiamo chi crede che si tratti di un affare personale che non sarebbe dovuto essere reso pubblico in primo luogo.
Ma la questione è una. Hajar è scomoda per il lavoro che fa e vogliono usare il suo corpo come un’arma da rivoltargli contro con l’aiuto di leggi ingiuste. La sua penna, la sua arguzia e le sue prese di posizione affianco al movimento Hirak non sono dati che in questa storia devono passare in secondo piano.
A quanto pare ci sono nuove prove sulla sua “colpevolezza”. Il dottor Samir Bargash dell’ospedale Ibn-Sina di Rabat presenterà in Tribunale referti medici in cui confermerà che Hajar è colpevole di aver abortito più di una volta anche se “non vi è alcuna traccia di un tenacolo utilizzato sull’utero di Hajar”.
Prove che, senza rispetto, saranno presentate nella prossima udienza il 9 settembre. Fino ad allora Hajar, insieme agli altri imputati nel caso, rimarrà in carcere.
Quello di Hajar è un arresto politico mascherato da arresto morale e questa è una situazione gravissima portata avanti dal regime repressivo marocchino. Hajar deve immediatamente essere liberata in nome della libertà di opinione, espressione, autodeterminazione!
Nassi LaRage
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