Queste donne stanno combattendo l’ISIS. E’ il momento di scoprire chi sono

Shavin Bachouk, 26. Photographed at a YPJ checkpoint-base, on the outskirts of Rabia, Kurdistan, on Aug. 7, 2014.

Shavin Bachouk, 26. Photographed at a YPJ checkpoint-base, on the outskirts of Rabia, Kurdistan, on Aug. 7, 2014.

In queste ore, in questi giorni, assistiamo alla lotta sulle alture di Kobane portata avanti dai combattenti curdi per difendere la loro città e gli sfollati a cui ha dato rifugio. Lo fanno da soli poiché le loro formazioni, legate al PKK, sono guardate con sospetto in occidente (il PKK rimane nelle liste dei gruppi terroristici). Molte di questi combattenti sono donne che conducono una doppia battaglia per la liberazione e per la loro autodeterminazione: fanno parte dei Gruppi di Difesa delle Donne, un nome che ricorda le formazioni di partigiane italiane.
Mentre nei nostri media vengono usate per attrarre l’attenzione del lettore con il binomio bella ragazza con fucile, vengono ridotte a pura estetica decorativa e il loro ruolo viene strumentalizzato in chiave anti-islamica (dimenticando che molti curdi sono musulmani), una fotografa ci restituisce non solo i loro volti, ma anche le loro parole.
Abbiamo tradotto questo articolo da Marie Claire (sì, avete letto bene, Marie Claire).

Esiste un gruppo di 7.500 soldati che da due anni sta combattendo una guerra incredibilmente pericolosa. Combattono nonostante la quotidiana minaccia di essere feriti o uccisi. Combattono con armi che sono più grandi e pesanti di loro contro un nemico implacabile. E continuano a combattere.
Si tratta dell’YPJ (si pronuncia Yuh-Pah-Juh) o Gruppo di Difesa delle Donne, una fazione totalmente composta da donne e volontarie curde in Siria, nata nel 2012 per difendere la popolazione curda dagli attacchi mortali sferrati dal presidente siriano Bashar al-Assad, dal al-Nusra Front (un affiliato di al-Qaeda) e dall’ISIS.
In un recente articolo della BBC, l’YPJ, e la sua omologa maschile, l’YPG, sono stati ritenuti straordinariamente vittoriosi nella loro battaglia per contrastare la crescita della forza militare dell’ISIS, nonostante i loro mezzi limitati. Il Washington Post ha inoltre riconosciuto l’importanza e la forza dell’YPJ, suggerendo che potrebbe essere un valido alleato per l’Occidente. Sia l’YPJ che l’YPG sono stati riconosciuti nel loro ruolo aiutando gli sforzi degli USA di evacuare migliaia di rifugiati yazidi radunati sul monte Sinjar dopo che l’ISIS aveva invaso le loro città.
La fotografa Erin Trieb ha recentemente passato una settimana a documentare le partecipanti all’YPJ in numerosi accampamenti nel nord-est della Siria e lungo la frontiera tra la Siria e il Kurdistan. Lei ci racconta un episodio che è capitato durante la sua permanenza lì: “una mattina ho sentito due forti esplosioni, una di seguito all’altra. Ho chiesto alla mia interprete, Rama, che cosa fossero e lei mi ha risposto ‘sono solo l’YPJ e l’ISIS che si augurano il buongiorno’”.
Quindi, chi sono queste donne che fronteggiano uno dei gruppi più famigerati e letali del mondo e perché abbiamo sentito così poco parlare di loro? Abbiamo chiesto a Trieb di condividere con noi le sue esperienze (e le sue foto) dell’YPJ e le strazianti parole che queste donne combattenti volevano che il mondo sentisse.

“Noi dobbiamo essere libere dal governo siriano” dice una soldatessa dell’YPJ, Evin Ahmed (26 anni). E continua “dobbiamo controllare l’area senza dipendere da loro. Loro non ci possono proteggere dall’ISIS, noi dobbiamo proteggere noi stesse e tutti quanti, non importa di che etnia o religione siano”.
Ahmed, come molte YPJ, è fieramente leale alle sue compagne. Lei insiste “amo essere una soldatessa YPJ, amo le altre combattenti, noi siamo più legate che se fossimo sorelle. Questa è l’unica vita per me. Non riesco a immaginare di vivere in un altro modo”.
Questo sentimento, racconta Trieb, riecheggia in tutte le combattenti dell’YPJ, che vivono seguendo un codice di onestà, etica e giustizia. “Il loro motto è ‘Haval’ o ‘amicizia’” spige Trieb “ed è la cosa più importante per loro. Loro si comportano le une con le altre (e con me) con un senso di solidarietà e sorellanza. Loro si chiamano Haval e quando parlavano con me mi chiamavano Haval Erin. Io ho goduto di un costante senso di appartenenza e di supporto”.
L’età di queste donne è compresa tra i 18 e i 40 anni, ma ci sono anche alcune giovani reclute, come Hevedar Mohammed di 12 anni. Alle reclute sotto i 18 anni non è permesso combattere, ma partecipano agli allenamenti fisici e collaborano alla vita del gruppo svolgendo compiti ‘domestici’. Hevedar, come molte YPJ, è stata spinta a partecipare dalla reputazione del gruppo di avere la capacità di formare donne forti e indipendenti e dalla sua alta considerazione all’interno della comunità.
“A casa” racconta Hevedar “vedevo tutte le mie amiche unirsi all’YPJ. Loro mi dicevano che era fantastico e che avrei dovuto unirmi anch’io. Un giorno sono andata a casa da mia mamma e le ho detto che volevo arruolarmi. All’inizio mi ha detto di no, perché ero troppo piccola. Io glielo ho chiesto di nuovo e finalmente ha detto che potevo. Mio padre è molto fiero di me”.
Molte donne, come il Generale Zelal (33 anni), una delle leader dell’YPJ, si diffonde sull’idea di indipendenza che il gruppo porta alle donne della regione: “io non voglio sposarmi o avere figli o stare a casa tutto il giorno. Io voglio essere libera. Se non avessi potuto essere una combattente YPJ penso che il mio spirito sarebbe morto. Essere una soldatessa YPJ vuol dire essere libera – è quello che veramente vuol dire essere libere”.
“C’è la percezione, in queste donne” dice Trieb “che l’YPJ sia in se stesso un movimento femminista, anche se non è il suo obiettivo principale. Loro vogliono l’’ugualianza’ tra uomini e donne, e uno dei motivi per i quali si sono arruolate è la possibilità di far crescere la considerazione per le donne nella loro cultura – loro possono essere forti ed essere leader”.

Sa-el Morad (20 anni), condivide con Trieb il fatto di essersi arruolata per provare che “noi possiamo fare le stesse cose che fanno gli uomini; che le donne possono fare tutto; che non c’è niente di impossibile per noi. Quando ero a casa” ricorda “gli uomini pensavano che le donne potessero solo pulire la casa. Ma quando mi sono unita all’YPJ tutto è cambiato. Ho mostrato a tutti loro che posso maneggiare un fucile, che posso combattere negli scontri, che posso fare tutto quello che credevano fosse impossibile per le donne. Ora gli uomini a casa hanno cambiato la loro opinione su di me e sulle donne. Ora vedono che siamo uguali, che noi abbiamo le loro stesse capacità, a volte anche maggiori. Loro capiscono che siamo forti e che possiamo fare quello che fanno loro”.
Secondo Trieb, in effetti, le donne sono considerate forti, disciplinate e coinvolte esattamente come gli uomini. Loro sopportano molti mesi di training rigoroso per imparare a usare le armi e a pianificare manovre tattiche prima di andare a combattere. Sono, anche, pienamente celebrate dalla comunità, che gli tributa un inaspettato merito, nota Trieb, in una zona del mondo dove spesso le donne sono considerate inferiori.
Da alcuni, nella regione, sono viste come una seria minaccia ai combattenti maschi dell’ISIS. Come ricorda Tribe “molti curdi siriani sono convinti che i soldati dell’ISIS siano più spaventati di essere uccisi da una donna, perché, se lo fossero, non andrebbero in paradiso”.
Nonostante la durezza dell’YPJ, c’è un altro aspetto che Trieb ha scoperto. “Nonostante mentre si allenano o sono in missione siano molto serie” dice “nei tempi morti sono molto allegre. Le più giovani sono molto simili alle adolescenti americane e il mio periodo con loro al campo di addestramento ricordava un campo estivo – routine quotidiana, molte attività e nuove reclute che imparano a conocersi”.
Trieb rivela che l’YPJ è molto interessato alla percezione dell’Occidente, “siamo preoccupate di poter essere ritenute terroriste”. Le combattenti YPJ hanno chiesto a Trieb “cosa pensano gli Americani di noi?”. “La verità è” dice Trieb “che in occidente non si sa quasi nulla dell’YPJ. È stato molto difficile doverlo dire a loro. Perché per loro, che combattono ogni giorno da almeno tre anni, è stato scioccante scoprire che gli americani non sanno nemmeno che esistono”.
È difficile dire come mai questa formazione sia quasi sconosciuta in America e in molti paesi occidentali, ma in parte può dipendere dal sempre più scarso numero di giornalisti in Siria. Storicamente, spiega Trieb, “l’YPJ è stato poco raccontato in Occidente, anche per la paura di come avrebbe potuto essere dipinto”. L’YPJ (e l’YPG) è molto legato ad un’altra formazione combattente curda, nota come il Partito Curdo dei Lavoratori o PKK, che è stato inserito nelle liste di gruppi terroristici dagli Stati Uniti, dalla NATO e dalla UE, in particolare per la sua lotta (anche violenta) decennale (1984-2013) per l’autonomia dallo Stato Turco (membro della NATO). Nonostante alcuni abbiano fatto notare i successi del PKK nel bloccare l’ISIS, la definizione di terroristi rimane.
Per ora l’YPJ non ha alcun supporto dalle nazioni occidentali, e si basano soprattutto sulla loro comunità per reperire fondi e aiuti.
Nonostante questo le donne rimangono legate all’YPJ e alla sua missione di proteggere le persone. Loro non sono obbligate a rimanere, dice Trieb, e tutte quelle che si arruolano rimangono per senso di lealtà. Infatti nessuna di loro firma un contratto e possono andarsene quando vogliono. Poiché l’YPJ esiste su base volontaria molte delle donne non sono nemmeno pagate e anche quando qualcuno offre loro delle ricompense, “loro le rifiutano e le donano all’YPJ”, nota Trieb.
L’YPJ opera con turni sulla linea del fronte di due settimane. Piccoli gruppi stazionano in vari punti di osservazione lungo il confine di Rabia per garantire la sicurezza dell’area, spiega Trieb. Alcune vivono in edifici militari iracheni abbandonati, che, come si può immmaginare, sono in rovina e privi di qualsiasi comodità. Spesso i cecchini dell’ISIS sono solo a 500 piedi di distanza, pronti a sparare. Trieb, che ha scattato queste fotografie usando i muri diroccati come riparo, ricorda di aver dovuto nascondersi e correre tra gli edifici dell’YPJ per evitare il fuoco nemico. Anche così, in queste difficili condizioni, le YPJ sono sempre “organizzate e pronte per il conflitto”, dice Trieb. E continua “alcune hanno le loro auto personali parcheggiate fuori dagli edifici, in modo da poter guidare verso lo scontro, se esplode. Sono senza paura” dice Trieb “anche se loro direbbero di non esserlo. Loro sentono la paura, ma vanno avanti lo stesso”.

Nota dell’editore: nelle ultime settimane l’YPJ è stato al centro di molti attacchi. Molte delle donne fotografate da Trieb sono state ferite e alcune sono state catturate dall’ISIS.

per approfondire:

un articolo da internazionaleuno sul rapporto tra Obama e Assaduno sull’Isis che è in noi e e uno sul ruolo della Turchia

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Una risposta a “Queste donne stanno combattendo l’ISIS. E’ il momento di scoprire chi sono”

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