La Condanna

Il lavoro sul n. 16 – Primavera 2020 – de L’Almanacco de La Terra Trema è concluso. Ha subito un ritardo dovuto a motivi intuibili facilmente: il blocco delle tipografie, il difficoltoso coordinamento con le Poste, le ordinanze, i divieti, le restrizioni, le difficoltà oggettive delle nostre esistenze e, non ultime, quelle dei nostri cari.

Abbiamo per questo scelto di anticipare in forma digitale editoriale, sommario e copertina del 16° numero per cominciare a condividere con voi queste nostre prime riflessioni e per lanciare l’invito a comunicarci le vostre.
Parole e scrittura possono servire a tessere un nuovo ordito.
L’attuale situazione di crisi, in ognuna delle sue declinazioni, richiede un movimento (cognitivo e attivo) in avanti, richiede di deflagrare i nostri isolamenti.
Cosa e come fare è il punto che vorremmo sviscerare.
L’urgenza e l’occasione – oggi – sono di lavorare insieme a una riflessione sullo stato delle cose per tentare di costruire da qui in poi qualcosa di nuovo utilizzando quello che già abbiamo. Che è moltissimo.
Quindici anni di esperienza, relazioni, progetti e riflessioni. Una rete di competenze e strumenti importanti dislocata sull’intera penisola.
È il momento di provare a costruire e intensificare le filiere produttive, distributive, di aiuto e condivisione nuove. Vogliamo provare a dare delle nuove scosse.
Con qualcuno/a di voi il confronto è già partito.
Sappiamo che tutto sta cambiando nelle reciproche attività oltre che nelle nostre esistenze.
Vogliamo aggredire questa situazione, tornare protagonisti di vite e di scelte.
Sappiamo (da tempo) che il nodo è nelle relazioni, nella cura di queste all’interno dei territori che viviamo e attraversiamo.
Vi invitiamo da qui in poi a partecipare a questa riflessione.
Vi invitiamo alla lettura, alla scrittura, alla proposta,
al contagio.

n.16 Primavera 2020
Editoriale
LA CONDANNA
Questo numero de L’Almanacco è in lavorazione quando, fuori (e dentro) dalle mura domestiche nostre si consuma una crisi sanitaria e sociale con pochi precedenti nella memoria di noi persone viventi d’Europa (non nella memoria del mondo colonizzato, già soggetto di devastazioni di portata diversa).

CoronaVirusDisease19 è il nome che ritorna ovunque, è la sindrome virale insidiosa, fortemente contagiosa, sottovalutata, che prende piede veloce e che, la nazione Italia, la coglie scoperta, devastabile e devastante nel e per il suo sistema sanitario (esangue per i motivi che conosciamo bene, tagli, corruzioni, speculazioni).
La sanità crolla nel giro di poco come un teatro di carta, una scenografia che non regge.
Il covid aggredisce la popolazione nelle sue forme più fragili e non solo, mette a nudo la debolezza delle strutture che avrebbero dovuto essere portanti. Compie il suo sottile massacro umano e sociale, sulle mancanze, sulle inadempienze, sulle mistificazioni e l’abbandono.
L’Italia la prende per il collo, geograficamente, alla carotide. Del propulsivo e produttivo nord con i suoi epicentri logistici. Il piacentino, la bergamasca e il bresciano, Milano. Le braccia armate del capitale finanziario. Da lì si espande.

È la Condanna.
Tenerlo fuori dalle nostre mura domestiche. Chiudetevi dentro. Non accelerate la contaminazione. È l’obbligo goffamente richiesto a tutti.
Ma nelle case invece si insinua. Necessariamente. In forma di virus, alcune volte, in forma di castigo e paura, sempre.
La data del 22 febbraio 2020 fissa nei fatti la promulgazione della condanna dell’intera nazione.
Un concorso di colpa, la compartecipazione a un crimine. Lo Stato invoca e ottiene reclusione e delazione reciproca.
Sei covid, l’unto, sei l’untore, l’appestato, sei il criminale, sei l’eroe, sei il cecchino del tuo vicino. La condizione di reclusione così stordisce, prova a fare che si appassisca nella quiete. Criminale è la malattia? Non l’apparato che ci ha contaminato?

Non posso descrivere io medesimo la confusione de’ miei pensieri allorché mi trovai immerso nell’acqua;
perché se bene io sia abilissimo notatore, non potei liberarmi dalle onde tanto da prender fiato,
finché l’onda che mi avea condotto, o piuttosto trascinato per lungo tratto verso la spiaggia, non fu tornata addietro,
lasciandomi quasi a secco sopra la costa, ma mezzo morto per l’acqua che aveva bevuta.

Daniel De Foe, Avventure di Robinson Crusoe

Nel deserto non vi sono strade,
camminamenti già segnati da percorrere:
è compito di chi l’attraversa orientarsi
e ricavarne una via che lo porti fuori.

Marcello, Lettera agli amici nel deserto

Nella sospensione del tempo del deserto c’è anche il tempo del discernere.
 Sapevamo già tutto ma nel naufragio l’evidenza si fa lampante.
Non solo il cosa hanno detto dal cosa è stato, il cosa dicono dal cosa è.
 Ma che ragione e normalità fossero già perse da tempo.
Sapevamo già tutto ma in ogni modo occorre ritrovarsi. Riscrivere, ritracciare, dimenticare le vecchie carte e tracciare nuove vie, rielaborare relazioni, ricalibrare misure, accorciare le distanze, nonostante i tempi, e provarsi ad essere intracciabili.

In questo ennesimo Stato d’eccezione occorre ripensare a come camminare nel deserto che stiamo attraversando per ritrovarsi meno soli.
 Se in mano abbiamo una mappa serve utilizzarla per costruire nuovi legami, per rafforzare quelli esistenti. Serve per dare forma a nuove possibilità, nuovi piani nei territori che frequentiamo, che abitiamo, quelli in prossimità ma anche quelli più lontani, mettendo a disposizione le risorse di ognuno, aiutando, inventando nuove forme di coproduzione, relazione, condivisione, contaminazione. Se in mano abbiamo una mappa serve per rifiutare e respingere un potere pandemico che ci ha portato fin qui.
Non è la prima volta che esortiamo a (ri)costruire con consapevolezza questo patrimonio ma questa volta lo facciamo nell’imminenza del bivio. Non si rimanga a osservare tutto questo. Non è nello scambio tra dentro e fuori il crocevia, non tra i nostri interni e quelli di altri.

Ai reclusi d’ogni genere, ai loro insegnamenti.
A Darrell Standing, ai vagabondi delle stelle.
À la santé, alla salute, di tutti.

 

 

In questo numero

Editoriale
La condanna

Agricolture
Ombelico piacentino
Attraversato il paesaggio piatto tipico della bassa padana arriviamo da Stefano Malerba dell’azienda agricola Gualdora, in una terra collinare di confine, a ovest del piacentino, dove il vino si fa da due millenni.
di Laura M. Alemagna e Paolo Bellati

Conflitti
Il “Deal” di Trump porterà alla perdita della mia terra
Il piano presentato dal presidente americano e dal primo ministro israeliano avrebbe il proposito di risolvere il conflitto fra israeliani e palestinesi. Ecco cosa significherà per i contadini palestinesi.
di Fareed Taamallah

Cultura materiale
Il Furore dei Villani
Appunti su cibo e mondo rurale

Lo stato d’emergenza evidenzia mancanze e inettitudini dei cosiddetti apparati. È finito il tempo della speranza e della delega, si riprenda in mano la cultura materiale, la facoltà sul proprio sapere, sulla conoscenza e sulle scelte, si riprenda in mano la potenza delle relazioni reali.
di Daniele De Michele, Donpasta

Impressioni
Madre Materno
Se in “Era solo un ragazzo” il figlio rende la gratitudine agli insegnamenti del padre, in “Madre Materno” il figlio chiede un impossibile perdono all’amore della madre.
di Guido Celli

Rapporti di produzione
La rinuncia
Il territorio in cui Elena si è insediata le ha insegnato a guardare all’agricoltura in modo diverso, assecondando, per esempio, quel che chiede la terra e non i precetti disposti da chi, della sua terra, non sente l’odore tutte le mattine.
di Elena Vezzoli

Tumulti
Lettera dalla semilibertà
Liberi dal carcere, libera agricoltura.
di Luca Abbà, Semilibero NO TAV

INFO
per ricevere la versione cartacea e leggere i numeri arretrati qui

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *