Aumento degli affitti a Milano – Che fare?

Uno spettro si aggira per Milano, quello dell’aumento degli affitti! Sì, perché quello del caro-affitti è uno dei temi scottanti nella metropoli con tutte le carte in regola per diventare uno dei punti della campagna elettorale del 2021. Se ne parla molto nelle chiacchiere tra amici o a latere delle questioni amministrative ritenute più urgenti, ma va riconosciuto che, al momento, non è presente in città (a differenza di metropoli come Berlino o Barcellona) una massa critica dai numeri e dalla forza sufficienti a costringere la politica a prendere iniziative potenti per bloccare questa vera e propria escalation. Anche in questo settore si soffre l’atomizzazione tipica delle metropoli occidentali dove ognuno tenta di sfangarsela individualmente (magari con l’aiuto dei risparmi di nonni e genitori) senza mai pensare al fatto che una battaglia collettiva potrebbe risolvere, oltre al proprio problema, quello di tanti altri. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che, a differenza dei paesi del Nord Europa, vivere in una casa in affitto viene considerato ancora un “momento di passaggio” in vista dell’obiettivo finale di avere una casa di proprietà. Obiettivo che, il più delle volte, viene raggiunto con il supporto fondamentale delle famiglie. La proprietà immobiliare e l’investimento sul mattone rimangono una delle architravi su cui si basa la società italiana. Il grande problema connesso a questa scelta è che, di fatto, la nostra società è lentamente diventata una società della rendita. La storia, però, insegna che le società basate sulla rendita improduttiva sono prima o dopo destinate al collasso. Ma qui ci si addentrerebbe in un argomento troppo vasto.

Milano e la sua autonarrazione

Abbiamo già più volte affermato che la Milano post-Expo è una metropoli abbastanza autocompiaciuta della narrazione che di lei si fa in giro per l’Italia e l’Europa. E la riscoperta dell’orgoglio meneghino, dopo gli anni asfittici del governo delle destre, può anche essere una buona cosa, basterebbe non cercare di nascondere i problemi come si fa con la polvere, sotto i tappeti. E quello della casa è uno dei problemi di Milano, se non IL problema.

In questo articolo non parleremo, come già fatto in diversi altri, del gigantesco bubbone dell’edilizia popolare. Basti ricordare il disastro nei bilanci di ALER, il fatto che migliaia di appartamenti vengono lasciati sfitti, il fatto che MM – da ormai diversi anni in mano al Comune – non faccia un granché per differenziarsi da ALER e, in ultimo, il fatto che non si costruiscono più case popolari da moltissimi anni.

Un eloquente articolo uscito sul Corriere della Sera di settimana scorsa sulla situazione disastrosa dell’edilizia popolare in città

Parleremo invece, come da apertura, dell’aumento sfrenato degli affitti. Milano, i cui canoni d’affitto sono sempre stati più alti della media italiana, si è ormai uniformata all’andamento delle maggiori metropoli europee. Il che, in una città dove di lavoro ce n’è molto ma moltissimo è precario o sottopagato , non dovrebbe far dormire sonni tranquilli agli amministratori.

Le motivazioni

Le motivazioni di questa corsa sfrenata sono diverse.

Senza dubbio l’immaginario di Milano negli ultimi anni ha attratto fette consistenti di nuovi abitanti impiegati – o in cerca di impiego – nel mondo delle nuove professioni legate alla comunicazione, al marketing e alla cultura (un campo, quest’ultimo, che attrae moltissimi “creativi” da ogni parte d’Italia, fatto di cui l’amministrazione si fa vanto, organizzando praticamente una cultural-week alla settimana, senza però rendersi conto che i lavoratori culturali sono tra le fasce al contempo più professionalizzate e meno retribuite).

C’è poi il fattore Airbnb che, va ricordato, non è l’unica piattaforma che gestisce il mercato degli affitti brevi. Alcune ricerche affermano che più della metà degli immobili milanesi in affitto è destinato alle locazioni brevi! Il cui target, ovviamente, sono persone – perlopiù turisti e professionisti in viaggio di lavoro – con un portafoglio abbastanza ben fornito. Se come dicevamo in altre città, di fronte al dilagare delle piattaforme, oltre a tentativi di regolazione degli affitti da parte delle amministrazioni si sono sviluppati forti movimenti di massa che contestano i profitti stratosferici e il Far-West normativo in cui prosperano le multinazionali, a Milano non si vede ancora nulla di tutto ciò.

Alcune analisi, come una recente di Radio Popolare, motivano lo spostamento degli immobili dagli affitti lunghi a quelli brevi con le maggiori garanzie offerte da questi ultimi nei confronti dei proprietari, qualora questi volessero tornare in possesso del loro immobile. Secondo il recente articolo: “Si preferisce spesso, e non soltanto per motivi economici, mettere in affitto un appartamento per brevi periodi, così da approfittare del turismo e dei lavoratori o studenti temporanei e avere la certezza, per i proprietari, di poter tornare in possesso dell’appartamento in tempi rapidi”.

È evidente, quindi, che non c’è un solo motivo che porta alla continua crescita degli affitti, ma un insieme di fattori l’uno molto diverso dall’altro.

Le crescite maggiori si registrano nell’area Isola-Garibaldi-Repubblica, centro di una gigantesca opera di gentrificazione negli ultimi 15 anni, ma anche nel quartiere Maggiolina. Aumenti nulli o anzi, dal segno negativo, in zone periferiche come Chiesa Rossa e Ponte Lambro.

Quali soluzioni?

Qualcuno direbbe che il miglior intervento per calmierare gli affitti è il non intervento. Molti, nonostante le pessime prove fornite negli ultimi 10 anni, sono ancora convinti della favoletta del “mercato che si autoregola”. Peccato che il mercato, per sua stessa indole, sia feroce e assolutamente disinteressato alle necessità di grandi fasce della popolazione (non solo quelle poverissime).

Molti potrebbero pensare che lo strumento migliore per abbattere il costo degli affitti potrebbe essere un forte intervento politico a livello centrale (nazionale o regionale poco importa) A parte che per un forte intervento politico sarebbe necessaria un’altrettanto forte volontà politica che, al momento, sembra mancare completamente. La storia però, ci ha dimostrato, che di fronte a scelte centralizzate, spesso e volentieri si creano deviazioni ancora peggiori della situazione pregressa. Prendiamo per esempio il celebre equo canone introdotto per legge nel 1978. Il provvedimento stabiliva che il canone di locazione fosse stabilito per legge e non fosse lasciato alla contrattazione tra le parti. La quasi immediata reazione dei proprietari immobiliari fu “rifugiarsi” in massa nello sfitto o nel nero.

È vero che la legge prevede una serie di detrazioni per chi vive in affitto e dimostra di avere un reddito sotto la soglia di povertà, ma queste detrazioni coprono una parte assai parziale dei canoni pagati e arrivano sempre DOPO la stipula del contratto e il pagamento. Questo vuol dire che se lo stipendio medio di un lavoratore affittuario (che come abbiamo detto, in Italia ha il profilo dello studente e del lavoratore precario che non può permettersi l’acquisto) non è sufficiente a coprire il canone mensile d’affitto, questo lavoratore dovrà obbligatoriamente spostarsi sempre più in periferia e, infine, scegliere l’affitto in nero.

A fronte dell’impennata degli affitti il Comune si è mosso con timidezza iniziando, con grande ritardo, a mettere in campo alcuni progetti tra cui un agenzia per gli affitti economici chiamata “Milano Abitare” che si occupa di sottoscrivere contratti a canone concordato inferiori rispetto ai prezzi di mercato. Il tutto attraverso agevolazioni nei confronti dei proprietari di immobili. Per rendere efficace questo progetto servirebbe, come dicevamo prima, una forte volontà politica che necessiterebbe probabilmente di essere stimolata da movimenti dal basso e, come si direbbe a Milano, di danee. È evidente come la battaglia contro il caro-affitti abbia bisogno di grandi investimenti che non possono limitarsi a qualche milione di euro.

Un’altra via per fronteggiare l’impennata potrebbe essere l’assegnazione di un vero e proprio “voucher casa” modulato a seconda delle condizioni di reddito e capace di andare ben oltre i contributi alle famiglie in difficoltà economica e diventate loro malgrado morose. Ma, anche in questo caso, sarebbe necessaria una volontà politica al momento totalmente assente.

Conclusioni

E’ evidente che la situazione è complessa e non esistono bacchette o formule magiche che possano risolverla.

Si sconta il sommarsi di vecchie problematicità con le nuove.

Partendo dalla considerazione che “ognuno dovrebbe fare il suo” il ruolo che i movimenti potrebbero giocare nella battaglia sarebbe molto importante, a condizione però di fare uno scatto in avanti nella comprensibilità dei linguaggi parlati e nella riproducibilità delle pratiche messe in campo.

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