Piazza Leo, nuova acampada per il diritto all’abitare dopo l’incendio in via Fracastoro
Abbiamo parlato qualche giorno fa del drammatico incendio che, all’alba del 19 settembre ha distrutto e reso inagibile l’occupazione abitativa di via Fracastoro, in zona via Padova. Quell’incendio ha tolto un tetto dalla testa a decine di persone delle fasce più deboli della popolazione milanese per cui le istituzioni cittadine non hanno ancora ritenuto di muovere mezzo dito. Da qualche giorno è dunque sorta un’acampada in piazza Leonadro Da Vinci che sta diventando un vero e proprio palcoscenico dove diversi gruppi sociali (per primi gli studenti) evidenziano la drammatica assenza di riposte sul tema del diritto all’abitare per i più deboli in questa metropoli.
Qui il testo della rete solidale Ci Siamo.
Mobilitiamoci tutti!
SETTANTA PERSONE SENZA CASA DOPO UN INCENDIO.
La notte del 19 settembre c’è stato un incendio in una palazzina di via Fracastoro 8 dove abitavano circa settanta persone, lavoratori immigrati singoli e famiglie con minori. Gli abitanti sono usciti dallo stabile prima che le fiamme si propagassero completamente al suo interno e per alcune ore sono stati tutti per strada con le poche cose che erano riusciti a portare con loro. La Protezione civile del comune di Milano, intervenuta per coordinare e assistere gli sfollati, ha comunicato agli abitanti che i nuclei familiari sarebbero stati accolti nella struttura comunale di viale Ortles e gli adulti singoli si sarebbero dovuti rivolgersi al Centro Sammartini, dove li ha accompagnati con i propri mezzi. Al Centro di via Sammartini 120, di fronte alla richiesta di affrontare collettivamente l’emergenza e trovare soluzioni per tutti gli abitanti, la funzionaria ha fatto presente che il servizio prevede prima incontri individuali e poi, sulla base di questi, delle soluzioni temporanee solo per le persone con particolari fragilità.
Dopo una prima serie di colloqui conclusasi con la consegna di un elenco di strutture a pagamento a cui si sarebbero potuti rivolgere gli abitanti, questi sostenuti dalla Rete solidale Ci Siamo hanno deciso di non muoversi dalla sala d’aspetto, fino a quando non avrebbero ottenuto almeno una soluzione per la notte. La funzionaria invece di adoperarsi per rispondere all’emergenza, ha dichiarato che non c’erano più le condizioni per continuare il servizio, ha chiuso anticipatamente tutti gli uffici e ha fatto uscire gli operatori, lasciando aperta solo la sala d’aspetto. Con questa scelta l’emergenza si è trasformata in un problema di ordine pubblico gestito dalla Digos, che nel frattempo aveva raggiunto il Centro e svolto un ruolo di intermediario con la Protezione Civile, la quale in tarda serata ha proposto come soluzione per la notte la palestra di via Cambini da loro allestita.
La mattinata seguente gli abitanti sono stati riportati dalla Protezione Civile al Centro Sammartini 120 e, nonostante la continua richiesta di interlocuzione con l’Assessorato al Welfare e Salute, la funzionaria del Centro Sammartini, ha ribadito l’indisponibilità a un incontro per affrontare collettivamente l’emergenza. Le soluzioni prospettate sono state quindi i colloqui individuali e dieci posti in due dormitori differenti più altri da verificare in Casa Jannacci. Soluzioni che, oltre a non risolvere il problema per tutti gli abitanti, erano solo per pochi giorni. Inoltre non era certa la possibilità che fossero garantite le esigenze di chi ha orari lavorativi notturni come rider, addetti alla sicurezza, e alle pulizie e ancora meno certa la probabilità di una futura e stabile sistemazione abitativa.
Di fronte al muro di gomma da parte delle istituzioni, gli abitanti sfollati e gli attivisti della Rete solidale Ci Siamo, hanno deciso di spostarsi in piazza Leonardo da Vinci, luogo simbolico di protesta e di lotta. Qui hanno piantato delle tende per dormire e vivere, per rendere visibile e denunciare alla cittadinanza l’assenza di politiche abitative e l’indisponibilità a trovare soluzioni che non siano aleatorie e temporanee. Ma anche per rafforzare le relazioni solidali e la partecipazione di tutte le realtà cittadine attive nella lotta a difesa degli interessi delle classi subalterne.
LA CASA É UN BISOGNO – RETE SOLIDALE CI SIAMO
La storia della nostra comunità di lotta è una storia lunga otto anni iniziata con l’occupazione di uno stabile in via Fortezza a cui sono seguiti sgomberi e nuove occupazioni fino all’ultima di via Fracastoro dove siamo confluiti dopo gli sgomberi delle ultime tre occupazioni (via Iglesias, via Siusi e via Esterle). In via Fracastoro abitavamo in una settantina di persone, nuclei familiari e singoli, provenienti dal Mali, Gambia, Marocco, Brasile, Perù, Costa D’Avorio, Palestina, Algeria, Tunisia, Nigeria, Togo, Liberia, Guinea Conacry. Lavoriamo come rider, assistenti domiciliari, nella logistica, nella sicurezza, nei servizi, in condizioni in cui spesso non vengono rispettate le minime garanzie contrattuali (salariali e normative), ma siamo funzionali ed essenziali per l’economia di questa città.
In questi ultimi anni non siamo riusciti a trovare in affitto nel libero mercato un appartamento o una stanza in condivisione a causa dei costi sempre più elevati e delle garanzie richieste dai proprietari al momento del contratto che molti di noi, lavoratori con contratti brevi e a basso reddito, non riusciamo a dare, oltre a forme sempre più diffuse di razzismo e discriminazione che subiamo. Per noi non è prevista una politica abitativa e sociale che sia in grado di aiutarci ad accedere a un’abitazione dignitosa, come ha evidenziato ciò che sta accadendo in questi giorni dopo l’incendio del 19 settembre, e precedentemente nel caso di via Esterle dove il Comune, dopo un confronto durato diversi mesi, ci aveva consegnato come unica soluzione un elenco di pensionati che, dopo essere stati contattati, sono risultati tutti pieni.
La richiesta di una politica abitativa attenta a noi lavoratori dovrebbe rappresentare oggi una priorità per questa Amministrazione dato che la maggior parte di noi, a causa delle difficoltà di ottenere e rinnovare i documenti, siamo facilmente ricattabili e per questo motivo costretti ad accettare dei lavori sottopagati e con condizioni contrattuali spesso al limite della legalità. É importante ricordare che, in assenza di politiche abitative attente ai bisogni dei proletari, le occupazioni, informali o rivendicate e sostenute dai movimenti cittadini di lotta per la casa, hanno rappresentato la soluzione alla vita in strada. Una necessità vitale che ha fatto sì che ad uno sgombero seguiva una nuova occupazione che garantiva di non perdere tutto quello che avevamo ma di continuare a lavorare, portare i figli minori a scuola, e vivere dignitosamente.
Questa pratica, che rappresenta anche una forma di denuncia nei confronti delle migliaia di immobili privati e pubblici lasciati vuoti e al degrado, oggi è più difficile da realizzare a causa delle nuove norme contro le occupazioni abitative (Direttiva Ministro dell’Interno 10 agosto 2023) che hanno portato a Milano, così come in altre parti d’Italia, allo sgombero di diversi stabili occupati con lo scopo dichiarato di “tutelare la proprietà privata e ripristinare la legalità”. Una legalità sempre più a difesa delle speculazioni immobiliari private che, in accordo con le amministrazioni pubbliche e i soggetti del terzo settore, stanno trasformando le città in base alle proprie esigenze di profitto, accerchiando i quartieri popolari, espellendone gli abitanti, devastando e saccheggiando anche dal punto di vista ambientale interi territori. Una legalità che utilizza in modo ostentato la repressione per il ripristino di una sicurezza aleatoria trasformando un problema sociale in una questione di ordine pubblico. Ancor di più oggi, visto quanto prevede il DDL 1660 (Pacchetto sicurezza), in fase di approvazione definitiva, che mette in campo un armamentario normativo che aggrava le leggi già esistenti e ne prevede di nuove che allargano i reati punendo ogni forma di conflitto sociale, di lotta esistente o futura, anche pacifica.
Le forme più significative su cui agisce il nuovo “pacchetto sicurezza” sono l’ampliamento dei reati associativi (art. 270), l’estensione della possibilità di revoca della cittadinanza per gli immigrati, pene pesanti per chi occupa, sostiene o solidarizza con gli occupanti; l’ aumento dell’utilizzo del Daspo urbano; aggravanti per blocco stradale e ferroviario; la detenzione per le donne madri o in stato di gravidanza; la creazione del nuovo reato di “terrorismo delle parole” contro chi si oppone alla realizzazione delle grandi opere; il reato di rivolta, esteso anche alle forme di protesta pacifiche, nelle carceri e, per i migranti, nei CPR e nei CAS. L’obiettivo è chiaramente attaccare le lotte che si sono espresse nei luoghi di lavoro, così come nei territori, in risposta ad una crisi che produce inflazione galoppante, erode sempre più i salari, precarizza le condizioni di lavoro, aumenta la speculazione e la privatizzazione, crea disuguaglianze e discriminazioni e che produrrà sempre più miseria per le classi subalterne. Ma anche, colpendo le singole istanze di lotta, mina la possibilità di ricomposizione di queste su obiettivi più complessivi quali l’opposizione alle politiche guerrafondaie degli USA/NATO e la solidarietà alle espressioni più avanzate di lotta anticoloniale con in testa la resistenza palestinese.
Rete solidale Ci Siamo
23 settembre 2024
* Foto di Gianfranco Candida
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