Verso uno stato di agitazione permanente

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Ieri, giovedì 13 Aprile, migranti di diverse strutture di accoglienza hanno organizzato un corteo che dopo aver attraversato le vie della movida milanese, corso Como e corso Garibaldi, è terminato con ”l’assedio di Largo Treves”, sotto all’assessorato al welfare del Comune di Milano.
Le ragioni principali di questa mobilitazione sono di chiedere un miglioramento concreto delle condizioni di vita delle persone ospitate nel sistema di accoglienza milanese. A Milano infatti più del 75% dei richiedenti asilo vive in Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS). Luoghi ”di emergenza”, che dovrebbero essere istituiti solo nel caso la rete SPRAR sia piena. I CAS infatti dovrebbero esistere solo per il tempo necessario all’apertura e quindi alla loro sostituzione con una rete SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati), centri più piccoli e diffusi sul territorio, in grado di garantire diversi servizi per l’inclusione sociale dei migranti. A Milano però questa conversione non è mai avvenuta, solo una piccola minoranza dei centri fa parte della rete SPRAR e quindi i CAS diventano di fatto un’altra tipologia di centro, giustificata da un abuso del concetto di emergenzialità sul quale ad ora non esiste alcuna pianificazione seria per il loro superamento. Questo non significa che gli SPRAR siano il bene assoluto e l’obiettivo ultimo di questa mobilitazione. Il punto è che la partecipazione ai bandi SPRAR del ministero degli interni, e un sistema di accoglienza diffuso sul territorio, che possa garantire condizioni di vita più decenti rispetto a quelle attuali, rientra nelle responsabilità del comune di Milano, se uno deve vivere due anni in quel limbo che è l’attesa dell’esito della propria richiesta d’asilo, è meglio che lo faccia in un luogo decente piuttosto che in una tenda senza acqua calda. Il problema sta alla radice, lottare per chiedere che a tutte e tutti venga concesso il permesso di soggiorno a prescindere dalle ragioni che hanno spinto una persona a migrare, questo non significa però escludere lotte che possano reclamare un immediato miglioramento delle condizioni di vita ai diretti responsabili dell’amministrazione cittadina, specialmente se assessori come Majorino predicano bene, lanciando manifestazioni antirazziste come quella del 20 Maggio, e razzolano male, anzi malissimo.

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La questione dei centri di accoglienza è solo una delle tematiche che verranno affrontate in futuro, dopo l’approvazione dei decreti Minniti, l’annunciata riapertura dei CIE ribattezzati CPR, i trattati internazionali con la Libia, e una legislazione discriminatoria che affonda le proprie radici qualche decennio fa con l’approvazione della legge Martelli prima e la Turco-Napolitano dopo, ciò che ora occorre fare è creare un vero e proprio stato di agitazione permanente. Non saranno le singole manifestazioni, magari anche molto partecipate, a poter cambiare realmente la situazione. Solo con una continua pressione quotidiana che possa reclamare un cambiamento radicale dello stato di cose presente si può auspicare a un superamento della condizione di ingiustizia che lede le condizioni di vita di centinaia di migliaia di persone in Italia.
Il punto di partenza sono, come sempre, quei luoghi in cui le ingiustizie si manifestano nella forma più esplicita, come i C.A.R.A. e i C.A.S. E sarà proprio di fronte a questi luoghi che si svolgeranno le prossime iniziative. In futuro sono previste anche diverse manifestazioni molto partecipate in cui i migranti avranno il loro più che meritato protagonismo. Tra queste il festival antirazzista del 22 Aprile a Pontida, il corteo del 25 Aprile e la Mayday del primo Maggio. Come recita uno degli slogan principali: ”United we are strong, divided we fall”. Uniti siamo forti, divisi cadiamo.

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