I Pm accusano Casapound: «Istigazione all’odio razziale»
Il Giudice per le indagini preliminari ha emesso un provvedimento di sequestro preventivo dello stabile di via Napoleone III, occupato il 26 dicembre 2003 da Casapound Italia (Cpi) nel quartiere romano dell’Esquilino. L’atto era stato richiesto dal Procuratore aggiunto Francesco Caporale e dal sostituto procuratore Eugenio Albamonte nell’ambito di un’inchiesta per associazione a delinquere finalizzata all’istigazione all’odio razziale e all’occupazione abusiva. Le indagini nascono da una denuncia presentata dall’Anpi per ricostituzione del partito fascista, apologia del fascismo e uso della violenza nella lotta politica e da un’altra sporta dall’agenzia del demanio per danno erariale. Secondo le informazioni trapelate ieri, gli indagati sarebbero sedici e della lista farebbero parte i vertici nazionali dei «fascisti del terzo millennio»: Gianluca Iannone (fondatore e presidente), Andrea Antonini (vicepresidente) e Simone Di Stefano (segretario nazionale). Il provvedimento dovrà essere notificato dalla Polizia giudiziaria agli interessati. A quel punto l’ordine di sgombero diventerà esecutivo, ma l’azione dovrà comunque passare per la Prefettura e il Comitato tecnico per l’ordine e la sicurezza.
Al momento non è possibile prevedere i tempi dello sgombero, che oltre a essere legato alla vicenda giudiziaria dipenderà anche da decisioni politiche. In ogni caso il quartier generale di via Napoleone III ha sicuramente un peso simbolico e politico molto grande, ma è ormai solo un pezzo di un’organizzazione che, a 17 anni dalla prima occupazione, è molto più complessa. Cpi è diffusa in diverse città, ha centinaia di militanti, esponenti inseriti in alcune amministrazioni locali (come il municipio di Ostia o il comune di Bolzano). Intorno alla sua galassia ruotano il Primato Nazionale, giornale online e mensile cartaceo, e la casa editrice Altaforte. Oltre alla vicenda specifica dello stabile, quindi, sarà importante capire quale ampiezza e profondità hanno le indagini sull’organizzazione nel suo complesso.
«Grande soddisfazione per il sequestro preventivo, ora sciogliere tutti i gruppi fascisti», ha tagliato corto l’Anpi provinciale di Roma a margine delle celebrazioni per il 76esimo anniversario della Liberazione della capitale. In una nota l’associazione dei partigiani scrive anche di «attendere con fiducia lo sgombero» di via delle Baleniere, recente occupazione di Cpi a Ostia. Una vicenda che presenta un singolare sincronismo con quella di via Napoleone III e potrebbe costituire un tentativo di exit strategy dell’organizzazione. Mercoledì il sottosegretario alla Difesa Giulio Calvisi (Pd) ha risposto a due interrogazioni parlamentari affermando che il ministero ha «assolto tutti gli adempimenti di competenza». La palla dello sgombero è ora tra i piedi di prefettura e comitato tecnico. Quello che ancora non è chiaro, però, è come sia stato possibile che nel mezzo del lockdown, in un territorio battuto a tappeto dai controlli delle forze dell’ordine, sia stata occupata un’area militare e perché la denuncia sia arrivata solo il 28 aprile, diversi giorni dopo l’ingresso degli occupanti (il post Facebook che annuncia pubblicamente la nascita di Area 121 è del 26 aprile).
La notizia del provvedimento di sequestro dello stabile dell’Esquilino ha scatenato un lungo botta e risposta tra M5s e Pd, andato avanti per tutta la giornata. L’oggetto del contendere è il merito dell’operazione, che secondo i grillini sarebbe da ascrivere alla giunta Raggi, la sindaca ha parlato di «momento storico per la città», mentre per il Pd appartiene alla magistratura e alle forze dell’ordine. Intanto a destra nessuno difende esplicitamente Cpi, ma esponenti locali di Fratelli d’Italia e Lega rilanciano sullo sgombero delle occupazioni abitative e dei centri sociali. Tralasciano, però, che l’impianto accusatorio della Procura, oltre al tema dell’abusivismo, segnala quello molto più grave dell’associazione a delinquere finalizzata all’odio razziale. Accusa difficilmente estendibile ai tanti luoghi che in città hanno fatto di inclusione, mutualismo, solidarietà, cultura e rivendicazione di diritti la loro ragion d’essere. C’è un precedente che in qualche modo sembra anticipare questa vicenda: il sequestro disposto dalla procura di Bari della sede di Cpi del capoluogo pugliese e confermato in Cassazione. In quel caso le accuse erano di riorganizzazione del partito fascista e base operativa di raid squadristi. Era una sede affittata.
di Giansandro Merli
da il Manifesto del 5 giugno 2020
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