La mobilitazione contro il maxi allevamento ad Arborio

Arborio, 28 giugno 2025. Mentre i lavori per la costruzione di un maxi allevamento dell’azienda Bruzzese da 275.000 galline ovaiole procedono a ritmo serrato nel silenzio istituzionale, un gruppo di attiviste antispeciste, dopo una contestazione mediatica, ha deciso di opporsi con un presidio pacifico davanti al cantiere. La risposta è stata durissima: sequestri, identificazioni prolungate, privazione di acqua e ombra sotto il sole cocente, fino a due fermi con trasporto in ospedale e il rilascio di fogli di via (qui il comunicato di Galline in fuga). In questa intervista incontriamo una delle attiviste, Silvia, per capire cosa sta davvero accadendo ad Arborio e perché la battaglia contro gli allevamenti intensivi non è procrastinabile.

La lotta che le collettive antispeciste stanno portando avanti contro il maxi allevamento di Arborio è impressionante, in tanti sensi. Il primo: per la convergenza che sta generando, anche a livello locale. Ci sapresti spiegare come è stata possibile questa convergenza?

Penso che i tempi siano maturi. È tanto tempo che si parla di antispecismo, le sue istanze sono diventate bagaglio condiviso di chi lotta. Per quanto riguarda la criticità degli allevamenti intensivi: c’è ormai consenso trasversale. Nessun* può negare la tortura che gli animali rinchiusi negli allevamenti subiscono, la violenza omicida di cui sono vittime. Senza dimenticare l’impatto che gli allevamenti intensivi hanno sulla produzione globale di CO2, dunque sull’aumento della temperatura globale e sulla crisi climatica. La lotta antispecista è anche lotta per il clima.
Devo dire che nel caso di questa battaglia contro Bruzzese e il suo allevamento ad Arborio il consenso è stato trasversale a tutte le forze progressiste. Non mi fraintendere: in teoria, in astratto questo consenso è da tempo più o meno un fatto. Ma qui c’è la realizzazione del consenso nella prassi: c’è una coalizione concreta, contro un oppressore in carne e ossa, con un nome e il cognome. Persino partiti come il PD – non solo Eleonora Evi che è riconosciuta come antispecista – hanno avuto il coraggio di esporsi in modo chiaro, netto, senza ambiguità. I verdi di Biella e di Vercelli sono stati eccezionali. Anche il Movimento 5 Stelle si è posizionato. Abbiamo organizzazioni come Greenpeace, che noi consideriamo moderate, oppure Isde, l’associazione medici democratici… Tutte e tutti si sono schierati. E si sono schierati i cittadini e le cittadine di Arborio, oltre alle associazioni animaliste e ambientaliste ovviamente. Un fatto storico. Mi ricorda il caso del cane marrone con l’intersezionalità ante litteram. L’apporto delle collettive transfemministe, come NUDM Novara, o dei Centri Sociali non dico che sia scontato: è fondamentale, ma è anche il risultato della condivisione dei temi antispecisti. La lotta non è sempre assunta in toto, ma questi movimenti e questi spazi sono attraversati. Anche Vercelli Antifascista ha supportato le nostre proteste.

L’altro aspetto impressionante è il livello di repressione messo in campo. Non dovremmo stupirci, dopo l’approvazione del Decreto Sicurezza, ma ogni applicazione è diversa. Qui, secondo secondo la vostra analisi, qual è la ragione?

Noi siamo antispeciste e siamo contro ogni allevamento. La repressione è molto dura perché la lotta antispecista colpisce il cuore del capitalismo. L’allevamento Bruzzese è un simbolo di specismo ma anche di boria e arroganza padronale. Che se ne frega completamente sia degli umani sia degli animali: per la costruzione di questo allevamento verranno impiegate, secondo le dichiarazioni dello stesso Bruzzese, al massimo quindici persone. Lo sfruttamento umano va di pari passo con lo sfruttamento animale.

Come rispondi a chi ti dice che questo allevamento creerà posti di lavoro?

La solita storia. Queste aziende offrono spesso condizioni di lavoro pessime, che mettono in pericolo a livello sia psicologico sia fisico la persona. Per questo, viene assunto il più delle volte chi non ha alternativa: persone migranti, regolari ma soprattutto irregolari. La lotta questi grandi industriali è anche un simbolo della lotta contro il capitale. Noi attacchiamo un’idea e un potere materiale. La lotta antispecista è una lotta d’avanguardia proprio perché colpisce i luoghi di maggiore produzione di valore tramite sfruttamento di umani, animali e risorse naturali. La messa in discussione dei confini di genere, razza, classe si conclude con la messa in discussione dei confini di specie. Questa messa in crisi ha un grande impatto sull’economia: come possono esistere allevamenti in una società che non vuole sfruttare tanto gli umani quanto gli animali?
Senza dimenticare che gli allevamenti intensivi, soprattutto in UE, sono tenuti artificialmente in piedi da enormi sovvenzioni. Chiunque abbia visto il documentario Food for Profit ha compreso che in questo settore è l’offerta a creare la domanda, non il contrario.

Come continuerà la lotta?

La lotta continuerà tale e quale. Anzi, oserei dire: si rafforzerà. Più aumenta la repressione più aumenta la rabbia, più si aguzza l’ingegno per trovare nuovi strumenti di protesta. Raccoglieremo nuove forze. Lungi dal demoralizzarci, la repressione ci spinge ad alzare l’asticella della lotta. Significa essere all’altezza del contemporaneo.

di Demetrio Marra

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