«Recovery planet» la protesta verde torna nelle strade

Nonostante la pandemia i Fridays For Future (Fff) hanno colorato nuovamente di verde le piazze italiane. Negli altri paesi il sesto sciopero per il clima è stato il 25 settembre, da noi ieri. Il motivo è l’avvio ritardato delle lezioni nelle scuole. I numeri non sono stati certo gli stessi delle mobilitazioni precedenti al Covid-19, ma in fondo cosa è rimasto uguale a prima nel mondo? «Non è facile organizzarsi con il virus in giro – dice Marianna Panzarino, attivista FFF – non è facile scendere in piazza garantendo la sicurezza di tutte le persone. Essere nati sui social ed essere connessi con internet, però, ci ha aiutato».

A Torino cinque attivisti si sono incatenati di fronte al palazzo della regione e poi si è tenuta un’assemblea. A Pisa e Bologna i manifestanti si sono stesi a terra fingendo di essere morti e affermando: «Non vogliamo un futuro così». Presidi stanziali a Napoli, Palermo, Genova. A Milano in piazza Duomo è stato esposto lo striscione: «Recovery fund for climate justice». La preoccupazione principale dei giovani ambientalisti è che la montagna di denaro che dovrebbe arrivare dall’Europa sia davvero utilizzata per la transizione ecologica. «È l’ultima possibilità che abbiamo per lanciare una visione ecologica, investire in energie rinnovabili e riconversione delle industrie, arrivare a zero emissioni – dice Luca Sardo, di Fff Torino – L’uscita dalla crisi sanitaria è un’opportunità per risolvere la crisi climatica». I timori dei Fridays sono ben motivati: come denuncia un rapporto pubblicato sabato scorso dall’organizzazione Re:Common le lobby del fossile sono a lavoro per trasformare la nuova crisi in un’altra opportunità di profitto. Alla faccia dell’ambiente.

Una manifestante per il clima in piazza del Popolo, foto di Stella Levantesi

Il tema è stato al centro anche della piazza romana, la più grande a livello nazionale. Intorno alle 10 una biciclettata partita dal quartiere di Garbatella ha raggiunto piazza del Popolo, dove convergevano gli studenti di numerose scuole superiori. Da un lato dell’Obelisco Flaminio il palco della Cgil già pronto per la manifestazione di oggi con la scritta: «Sanità pubblica e per tutti». Dall’altro gli studenti, seduti per terra o in piedi a intervenire. Sui sampietrini le X servivano a garantire il distanziamento sociale. Non sempre è stato rispettato, ma tutti hanno indossato la mascherina: una vera lezione di responsabilità collettiva. Soprattutto ripensando agli assembramenti senza alcuna protezione inscenati in questa stessa piazza dai leader di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia il 2 giugno scorso.

«Ci avevano detto che eravamo spariti, invece siamo ancora qui a dire che il nostro futuro ci interessa e vogliamo riprendercelo», dice al microfono l’attivista che interviene per prima. Alle sue spalle due grandi striscioni verdi: «Recovery Planet» e «Giustizia climatica». Ragazze e ragazzi citano studi scientifici per descrivere una situazione che nonostante le promesse dei politici compiacenti non cambia: il 64% dell’energia prodotta in Italia viene dal fossile; tra sette anni e 85 giorni il budget di carbonio del pianeta sarà terminato; è necessario abbattere le emissioni del 12% l’anno.

I Fridays for future a Roma, foto di Stella Levantesi

Dall’altro lato della capitale, intanto, gli attivisti di Extinction Rebellion (Xr) hanno trasformato il presidio ai cancelli della sede Eni dell’Eur in un accampamento. Durante il giorno ci sono 150 persone, la notte dormono in 60, 10 sono incatenati e uno appeso a una struttura tetraedrica montata all’improvviso. Distribuiscono il cibo e fanno la raccolta differenziata. Vogliono che lo Stato smetta di sovvenzionare le aziende che traggono profitto dalle attività di estrazione dei combustibili fossili. Chiedono di essere incontrati da rappresentanti del governo e promettono di non andare via fino a quel momento. Domani le presenze dovrebbero raddoppiare: sono attesi attivisti da tutta Italia.

Le tattiche di mobilitazione di Xr hanno fatto innervosire le Forze dell’Ordine che non riescono a interpretarle. I manifestanti parlano con la Digos e hanno addirittura un referente, ma con gentilezza e determinazione ripetono la stessa frase: «Non ce ne andiamo». Intanto fanno blitz in città. In loro c’è una spinta quasi mistica che li porta a interrompere la quotidianità, il business as usual, prendere giorni di ferie e assumere coscientemente il rischio di essere portati via dalla polizia. «Siamo qui da due giorni, dal governo non ci hanno risposto, ma non ce ne andremo: bisogna agire subito per fermare la catastrofe climatica», dice Dafne Sangalli. Ha 45 anni, una società di sviluppo software e una catena allacciata intorno al corpo.

Il presidio di Extinction Rebellion, foto di Giansandro Merli

di Giansandro Merli

da il Manfesto del 10 ottobre 2020

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