Catalunya – «Seduta sospesa», la Consulta ora blocca il Parlamento

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Catalogna. Accolto il ricorso dei socialisti, la dichiarazione d’indipendenza aspetta ancora. Il partito di Puigdemont è spaccato tra chi vuole accelerare e chi rallenta. Il presidente prende tempo.

La mossa di mercoledì del Partito socialista catalano ha ottenuto il suo effetto: il Tribunale Costituzionale (Tc) spagnolo ha sospeso, con tutto l’ormai abituale corollario di minacce legali ai membri della Presidenza del Parlament catalano, la seduta prevista per lunedì. Si tratta della plenaria del parlamento in cui i deputati catalani avrebbero dovuto ascoltare il president Puigdemont sul risultato del referendum dell’1 ottobre, e in cui tutto faceva pensare che sarebbe arrivata l’attesissima Dichiarazione unilaterale d’indipendenza, che in Catalogna ormai tutti chiamano solo Dui.

CON I TEMPI SUPERSONICI che caratterizzano in questo periodo le decisioni relative alla Catalogna, e solo quelle, la Corte ha accettato il ricorso, ancora prima che la seduta venisse formalmente convocata, e l’ha sospesa cautelarmente perché «causerebbe un precedente di impossibile o molto difficile riparazione». Secondo l’alto tribunale, quella di lunedì sarebbe di «speciale trascendenza costituzionale» e il ricorso del Psc è di «rilevante e generale ripercussione sociale ed economica». La risoluzione del tribunale considera «radicalmente nullo e senza valore né effetto alcuno qualsiasi atto, accordo o via di fatto che non rispetti la sospensione».

I giudici costituzionali avvertono la presidente Carme Forcadell e tutti i membri della presidenza che hanno il dovere di «impedire o paralizzare qualsiasi iniziativa che presupponga ignorare o eludire la sospensione» se non vogliono incorrere in responsabilità penali. La decisione del Tribunale è stata presa, ancora una volta, all’unanimità.

Anche se formalmente le associazioni indipendentiste come Òmnium cultural e Associazione nazionale catalana ribadiscono alle proprie basi che lunedì il Parlament si riunirà e dichiarerà l’indipendenza, chiedendo per questo la «massima mobilitazione» (che otterranno senza problemi), la decisione del Tc per una volta potrebbe venire in contro anche al Govern catalan. Puigdemont cerca da giorni disperatamente di trovare una via d’uscita da quello che tutti sanno essere un vicolo cieco: le richieste di mediazione, il prendere tempo (non è ancora stato formalmente annunciato il risultato del referendum), i toni più sommessi dei ministri, confermano che allo stato attuale il Govern accetterebbe qualsiasi pur minima offerta da parte del governo spagnolo che dia loro una scusa credibile per rimandare il momento del redde rationem. Magari anche solo d’immagine, come il ritiro delle «forze d’occupazione», che stanno generando tante proteste in tutta la Catalogna. Il PdCat, il partito di Puigdemont, il più conservatore dell’esecutivo catalano, è spaccato fra chi crede inevitabile la Dui e chi invece vorrebbe posticiparla, si parla di sei mesi. Ma come è ovvio, in assenza di qualsiasi contropartita, la posticipazione sarebbe una mossa politicamente insostenibile per Puigdemont. E soprattutto per la Cup, che accetta malvolentieri la cautela dei suoi soci di battaglia indipendentista.

LA CHIESA CATTOLICA ha fatto sapere che né l’arcivescovo di Madrid né quello di Barcellona saranno mediatori, ma non hanno smentito il loro ruolo «facilitatore». Intanto si moltiplicano le iniziative e gli appelli che supplicano i due governi di dialogare. Come dall’inizio di questa crisi, il ruolo che sta giocando la sindaca di Barcellona Ada Colau, a Barcellona, e Podemos a Madrid, è chiave. Ieri in un post di Facebook Colau ha insistito che pur non essendo indipendentista, e pur non appoggiando il governo catalano, «c’è una cosa che sta sopra quello che pensiamo gli uni o gli altri e che dovrebbe unire tutti quelli che credono e difendono i diritti, le libertà e la democrazia: l’uso della forza di stato contro la popolazione pacifica è inammissibile». Ed è per questo che chiede, in nome dei nostri padri e madri che hanno lottato per la democrazia, «di unirsi per salvarla» e di trovare «una soluzione politica e pacifica»: «Chi ha responsabilità di stato deve ascoltare e rispettare la popolazione, fare proposte in positivo e offrire alternative».

MA IL GOVERNO RAJOY è irremovibile e continua a esigere la resa incondizionata di Puigdemont. «La migliore soluzione è il ritorno alla legalità». E aggiunge minaccioso: «Solo questo può evitare che si producano mali maggiori per il futuro». «Non ci sono mediazioni per l’unità di Spagna», ha concluso.

di Luca Tancredi Barone

dal Manifesto

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