[DallaRete] «Bassi salari e alte competenze»: così il Governo invita a investire in Italia.
Che dovessero essere proprio le campagne pubblicitarie e comunicative inventate dal governo a gettare luce sui disastri del nostro paese è al contempo grottesco e illuminante. Un tempo la propaganda veniva utilizzata per nascondere e camuffare fallimenti, dati economicamente preoccupanti, malefatte e storture di cui il governo poteva essere accusato: oggi accade esattamente il contrario!
Dopo il capolavoro targato Beatrice Lorenzin sul Fertility Day , il suo carico di bigotto razzismo e la distanza siderale dalla vita quotidiana delle milioni di donne e di uomini a cui quella pubblicità ambiva a rivolgersi, ecco che arriva la brillante campagna del MISE che, nell’ambito del lancio in pompa magna del programma attorno all’industria 4.0 presentata dal premier Matteo Renzi qualche giorno fa a Milano, tenta di ingolosire potenziali investitori stranieri a scegliere l’Italia per casa dei loro capitali.
Il talentuoso boy-scout non ha lesinato colpi di retorica e battute degne della tradizione comica nostrana, e avrebbe ottenuto sicuramente il risultato senza bisogno di strafare: invece il ministero ha deciso di mettere sul tavolo tutte le carte e giocare i colpi migliori.
Nell’opuscolo consegnato durante l’incontro (consultabile anche qui) possiamo trovare l’arma segreta in mano al nostro Governo, quell’informazione che convincerà senza dubbio anche gli investitori più titubanti, i capitalisti di ventura meno malleabili, quelli che se portassero i propri soldi nel bel paese sarebbero un’ennesima medaglietta sul petto per il presidente del consiglio: il capitale umano!
L’opuscolo infatti non si limita a mettere in bella mostra i livelli di formazione che i lavoratori italiani raggiungono, la loro preparazione, i percorsi formativi all’interno dei quali sviluppano skills e capacità, ma ne sottolinea il bassissimo costo, i livelli salariali irrisori rispetto agli altri lavoratori in Europa. Non si tratta di uno scherzo: il governo italiano diffonde un opuscolo nel quale si vanta dei bassissimi salari dei suoi lavoratori più qualificati, nel tentativo di attrarre investimenti.
A pagina 32 possiamo leggere che «L’Italia offre un livello dei salari competitivo che cresce meno rispetto alla Ue e una manodopera altamente qualificata dei profili specializzati: un ingegnere in Italia guadagna mediamente in un anno 38.500euro, mentre in altri Paesi lo stesso profilo ha una retribuzione media di 48.500 euro l’anno (…) i costi del lavoro in Italia sono ben al di sotto dei competitor come Francia e Germania. Inoltre, la crescita del costo del lavoro nell’ultimo triennio (2012-14) è la più bassa rispetto a quelle registrate nell’Eurozona (+1,2% contro +1,7%)».
Non parliamo di articoli scritti da giornali “dell’opposizione” o di critiche feroci portate avanti da qualche economista “di parte”: parliamo del governo italiano e del Ministero dello Sviluppo Economico.
Bisogna riconoscere che per una volta il ministero e il presidente del consiglio scelgono la via della verità: tutto quello che viene sostenuto dalla campagna è vero, finalmente rispondente alla realtà che i lavoratori vivono quotidianamente, una realtà di miseria, sotto-retribuzione e crescita del costo del lavoro pari a zero. Non importa se nella vetrina bisogna esporre la sofferenza e lo sfruttamento di migliaia di giovani iper-formati, di lavoratori che dopo moltissimi anni vedono azzerate le possibilità di crescita o stabilizzazione, l’importante è far venire l’acquolina a chi può portare denaro in Italia e cacciare la forza lavoro che non accetta silenziosa questa situazione.
Una volta la propaganda serviva per nascondere le malefatte, oggi le mette a nudo: forse bisognerebbe porsi qualche domanda rispetto all’arroganza e la serenità con la quale vengono sbattuti in faccia questi dati senza che nulla accada.
Mentre la realtà viene a galla una generazione intera si trova impegnata nella corsa folle alla costruzione del curriculum, nella collezione di stage e tirocini gratuiti, nella composizione della propria figura professionale, nella corsa all’«occupabilità» per essere meritevole all’interno dell’economia della promessa: promessa di un salario, promessa di stabilità, promessa di un futuro.
Alla fine, probabilmente, queste pubblicità progresso possano realmente servire a qualcosa: potrebbero aiutare a comprendere, finalmente, che non c’è niente da meritare, che la promessa è un ricatto e il tentativo di raggiungere quella promessa, inesistente, è l’unico modo di governare una forza lavoro iper-formata e sfruttata come in nessun altro paese d’Europa.
Forse la “fuga” che stiamo vedendo non è la strada giusta, forse bisognerebbe imparare a fuggire senza muoverci da qui: fuggire dalla folle corsa al curriculum, dagli stage gratuiti, dai «4 mesi di esperienza, non sai quanto ho imparato e poi questi c’hanno un nome», dal lavoro gratuito perché «tanto ho accumulato moltissimi contatti e strutturato relazioni», fuggire dalla carriera.
E se rimane un velo di diffidenza, se sembra il solito discorso catastrofico, lasciatevi convincere: aprite pagina 32 dell’opuscolo del MISE e specchiatevi.
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