[DallaRete] Hanno fatto il caos e lo chiameranno «buona scuola»

meritoDdl Scuola. La riforma della scuola trasformerà i nostri istituti in luoghi del contezioso giuridico non della trasmissione dei saperi e della scoperta.

Dopo il voto di fidu­cia dei 159 sena­tori di gio­vedì 25 giu­gno, oggi abbiamo vis­suto ancora un altro Black Thur­sday della nostra sto­ria repub­bli­cana: alla Camera, 277 depu­tati hanno votato a favore della riforma della scuola pro­po­sta dal governo, tra­sfor­man­dola in legge.È dav­vero sor­pren­dente che il pre­mier, per­plesso circa il fatto che in Gre­cia «3 milioni di cit­ta­dini abbiano espresso una deci­sione che riguarda 300 milioni di euro­pei», non si pre­oc­cupi del fatto che poche cen­ti­naia di par­la­men­tari ita­liani — nomi­nati con una legge elet­to­rale inco­sti­tu­zio­nale — hanno ema­nato una riforma che riguarda non solo milioni di stu­denti ma il destino del nostro scia­gu­rato Paese.

È una riforma che fa strame dei prin­cipi costi­tu­zio­nali e declassa defi­ni­ti­va­mente la scuola pub­blica ita­liana da isti­tu­zione a ser­vi­zio. A nulla è valsa la mobi­li­ta­zione costante di inse­gnanti e stu­denti che, nell’ultimo anno, fin dalle prime slide mostrate da Renzi in tv a set­tem­bre, hanno espresso ogni giorno e in ogni occa­sione il loro argo­men­tato e arti­co­lato dis­senso cri­tico. Che hanno cer­cato, invano, un’interlocuzione reale con il governo, il par­la­mento e tutte le più alte cari­che dello Stato per denun­ciare i rischi della deriva cul­tu­rale e poli­tica di una riforma della scuola che con­se­gna tutti i poteri in mano ai pre­sidi: dalla defi­ni­zione del pro­getto for­ma­tivo con vin­colo trien­nale, alla ricerca dei finan­zia­menti pri­vati sul mer­cato, fino alla chia­mata diretta dei docenti.

Una riforma che lede uno dei prin­cìpi fon­da­men­tali di uno stato demo­cra­tico e civile: la libertà della scienza, delle arti e del loro inse­gna­mento, ovvero la libertà del pen­siero, la libertà attra­verso la quale, nel per­corso di istru­zione e for­ma­zione intra­preso tra i ban­chi di scuola, i nostri stu­denti diven­tano, gra­tui­ta­mente e a buon diritto, con­sa­pe­voli cit­ta­dini del mondo. Come reci­tano gli arti­coli 3, 33 e 34 della Costi­tu­zione, nel defi­nire in modo chiaro e ine­qui­vo­ca­bile il man­dato della scuola nel nostro Paese.

Da set­tem­bre non sarà più così. Se il Pre­si­dente della Repub­blica fir­merà que­sta legge, sordo ai rilievi di inco­sti­tu­zio­na­lità for­mali e sostan­ziali che da tante parti si levano in que­sti giorni tri­sti, in cui la tenuta della demo­cra­zia sta vacil­lando sotto i colpi degli emen­da­menti sop­pressi, dei pareri delle oppo­si­zioni ina­scol­tati, delle posi­zioni legit­ti­ma­mente espresse da sin­da­cati, asso­cia­zioni e movi­menti pro­ter­va­mente cal­pe­state, dello spet­ta­colo inde­cente dei par­la­men­tari intenti a com­pul­sare tablet e cel­lu­lari men­tre appro­va­vano distrat­ta­mente que­sto o quell’articolo del ddl — se anche il Pre­si­dente, garante supremo dei prin­cipi costi­tu­zio­nali, non com­pren­derà i gravi peri­coli di cui que­sta riforma è impre­gnata e non imporrà una pro­fonda rifles­sione, allora da set­tem­bre ci sarà il Far West.

E non per­ché noi inse­gnanti la sabo­te­remo o boi­cot­te­remo, peral­tro legit­ti­ma­mente ove sarà neces­sa­rio pre­ser­vare i diritti degli stu­denti e dei lavo­ra­tori dal mer­ci­mo­nio degli inte­ressi pri­vati. Ma per­ché le scuole implo­de­ranno in una con­di­zione di con­ten­zioso e con­flitto perenne. Una con­di­zione che ne deter­mi­nerà la para­lisi. Ogni deci­sione del diri­gente sco­la­stico sarà discre­zio­nale e irri­ce­vi­bile dai col­legi dei docenti, con­si­gli di classe, rap­pre­sen­tanze sin­da­cali, con­si­gli d’istituto e da tutti gli organi col­le­giali che saranno stati in grado di man­te­nere intatte le pre­ro­ga­tive deci­sio­nali. Da set­tem­bre, ogni pre­side potrà pescare dal gran cal­de­rone della legge (un unico arti­colo con 212 commi e 8 dele­ghe, irre­spon­sa­bil­mente lasciata in que­sta forma fles­si­bile e lar­ga­mente inter­pre­ta­bile) tutto e il con­tra­rio di tutto, per una scuola on demand che cor­ri­sponda ai biso­gni del ter­ri­to­rio ma soprat­tutto alle esi­genze del mercato.

Sarà il caos. Hanno fatto un disa­stro e lo chia­me­ranno «buona scuola».

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