[DallaRete] Le fragilità dell’accordo di Minsk per la tregua nell’Ucraina dell’Est
Dopo una notte di negoziati, a Minsk (Bielorussia) il presidente russo Vladimir Putin, il suo omologo ucraino Petro Poroshenko, quello francese Francois Hollande e la cancelliere tedesca Angela Merkel hanno concordato un nuovo cessate il fuoco nel Donbas (Ucraina dell’Est) a partire da domenica 15 Febbraio. Nell’ex repubblica sovietica, le ostilità tra separatisti russofili ed esercito di Kiev cominciate lo scorso aprile hanno provocato la morte di oltre 5 mila persone.
L’accordo, approvato anche dai ribelli, pare molto simile a quello raggiunto nel Settembre scorso sempre a Minsk ma mai rispettato. Tra i suoi punti principali rientrano: il ritiro di tutte le armi pesanti da entrambe le parti per creare una zona di sicurezza di 50 chilometri per i sistemi di artiglieria del calibro di 100 mm, una da 70 chilometri per i lanciarazzi multipli, mentre i razzi e i sistemi missilistici più potenti dovranno essere schierati a 140 chilometri dal fronte; il monitoraggio del cessate-il-fuoco da parte dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce); il rilascio di tutti prigionieri; la fornitura sicura degli aiuti umanitari; il ritiro di tutte le forze straniere impegnate nel conflitto; l’adozione entro la fine del 2015 di una nuova costituzione da parte di Kiev per introdurre la decentralizzazione e uno statuto speciale per le regioni di Donetsk e Lugansk; dal momento del ritiro delle armi pesanti, l’inizio di un dialogo riguardo le elezioni locali; il pieno controllo dei confini nazionali da parte del governo ucraino da completare entro la fine dell’anno.
Il grado di autonomia delle regioni di Donetsk e Lugansk potrebbe essere la questione più spinosa. Per ottenere maggiore indipendenza, i separatisti (e Putin) hanno sempre sostenuto la necessità della federalizzazione dell’Ucraina, mentre Kiev era favorevole solo a una maggiore decentralizzazione. Inoltre, non è chiaro quale sarà il destino di Debaltseve, dove soldati ucraini sono attualmente circondati da milizie separatiste.
Merkel ha mostrato il suo scetticismo riguardo l’accordo di Minsk, sottolineando che “c’è ancora molto, molto da lavorare”, anche se ora vi è “un barlume di speranza”.
In questi mesi i separatisti hanno guadagnato terreno e attualmente si combatte a Kramatorsk, dove vi è un’importante base militare, a Mariupol e a Debaltseve, snodo ferroviario vicino a Donetsk. Dall’inizio del conflitto, secondo l’Occidente, Mosca avrebbe ripetutamente inviato truppe sul territorio dell’ex repubblica sovietica, accusa che Putin ha sempre respinto. Secondo il portavoce militare di Kiev Andriy Lysenko, durante la notte del negoziato cinquanta carri armati russi avrebbero varcato il confine con l’Ucraina.
Per l’ex repubblica sovietica arriva un salvagente sul fronte economico. Nei prossimi quattro anni, il paese dovrebbe ricevere un pacchetto di aiuti da 40 miliardi di dollari da parte di creditori occidentali, di cui 17.5 miliardi proverrebbero dal Fondo monetario internazionale (Fmi), come ha confermato il suo direttore generale Christine Lagarde. La manovra, che dovrà essere approvata dal board dell’Fmi, serve a salvare il paese dalla bancarotta ed è legata all’adozione da parte del governo locale di ampie riforme economiche.
Se la tregua fallisse?
Il presidente Usa Barack Obama aveva detto che se il negoziato avesse avuto esito negativo avrebbe valutato nuove opzioni, tra cui l’invio di armi “difensive” all’esercito regolare ucraino per contrastare le milizie russofile. L’inquilino della Casa Bianca aveva precisato di non aver preso ancora nessuna decisione. Ad ogni modo, l’11 Febbraio gli Usa hanno confermato che addestreranno l’esercito di Kiev a cominciare da Marzo. Qualora la tregua fallisse, il presidente Usa potrebbe anche riprendere in considerazione l’invio delle armi.
Questa mossa renderebbe più dispendioso il coinvolgimento della Russia nella crisi ucraina, ma non inciderebbe in maniera decisiva sul conflitto. L’esercito di Kiev è demoralizzato, non adeguatamente armato e male addestrato. L’invio di armi alimenterebbe l’escalation del conflitto, non solo danneggiando le relazioni economiche tra Ue e Russia (suo principale fornitore energetico), ma rischiando di trasformare il Vecchio Continente nel terreno di scontro tra Nato e Russia. Ragion per cui Francia, Germania e Regno Unito si sono opposte all’ipotesi di Obama.
Qualora il conflitto nel Donbas prosegua e con esso l’intervento russo in territorio ucraino, l’Ue preferirebbe adottare nuove sanzioni economiche (una tranche era stata rimandata in attesa del vertice di Minsk) per indebolire la Russia.
Questi provvedimenti, approvati per la prima volta dopo l’annessione della Crimea da parte di Mosca nel Marzo scorso, hanno contribuito al forte rallentamento della sua economia. Questa risente anche del crollo del prezzo del petrolio, del deprezzamento del rublo e dei costi extra dovuti proprio all’annessione della penisola donata nel 1954 dal presidente dell’Unione Sovietica Nikita Kruscev (che era ucraino) al governo di Kiev.
L’adozione delle sanzioni potrebbe incontrare l’opposizione della Grecia del neo eletto Alexis Tsipras, impegnata nella rinegoziazione del debito con Bruxelles. Due settimane fa, a inizio mandato, il governo di Atene si era già pronunciato in tal senso e Mosca non ha escluso di inviare aiuti economici alla Repubblica ellenica, il paese più colpito dalla crisi finanziaria cominciata nel 2008.
Il procedimento previsto dall’accordo di Minsk è pieno di insidie. La cautela da parte di Germania e Francia nel commentare l’accordo, la forte tensione sul campo di battaglia e l’inaffidabilità di Russia e Ucraina nel rispettare simili accordi lasciano molti dubbi sul regolare sviluppo del processo di pace.
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