Riflessioni su amnistia e carcere

Riflessioni su amnistia e carcere

Qualche riflessione in tema e sul conto di questa benedetta amnistia, con una divagazioni in tema di carcere e distanze e due domande non concluse in chiusura.

Con l’occasione della serata che si occuperà di amnistia e di amnistia sociale a Zam, che si terrà il 14 Novembre, mi è stato calorosamente suggerito di mettere per iscritto e condividere qualche pensiero articolato sul tema. La complessità della questione però, ancor prima della sua delicatezza (trovo molto delicato e doloroso quello che ha a che fare con la normazione fisica dei corpi e credo che poche situazioni siano così estreme nel praticare quel tipo di costrizione come il carcere) non mi rendono scorrevole il discorso che, anzi, mi sarebbe più semplice provare a sviluppare per via di mappe concettuali.
Pare che invece mi debba concentrare e svolgere i miei ragionamenti in un formato un po’ più tradizionale e allora ci provo ma mettendoli in forma di spunti. Ci sarà uno spunto/base iniziale, che potremmo definire “la galera non è la soluzione”, dal quale gli altri pensieri sorgono/partono/al quale tornano. Vediamo poi di riassumere perché ora e adesso in questo paese è diventato interessante e “trendtopic” parlare di amnistia, cosa si sta dicendo, cosa si sta facendo e perché e passiamo ad una particolare frangia di amnistie e potenziali amnistiati, quell* che si riconoscono, ragionano e lavorano per un’amnistia di tipo sociale.
Va da sé che le opinioni sono mie, che quel che c’è scritto lo penso io e che non è la verità di niente e di nessuno, ma una forma di discussione che va avanti solo se ognun*, con le sue pratiche e le sue parole, decide di contribuire.
(Ah, è lungo, ve lo dico).

Quindi, spunti.

0. “La galera non è la soluzione”. Ed è così banale il concetto che non c’è bisogno di argomentare citando bibliografie, pensatori e pensatrici eminenti e opinionist* contemporane*, anche se qualche volta ne siamo convinti. Non serve a chi entra, e fin qui, tutto bene…e non serve a chi sta fuori. Ci sarebbero pagine di spiegazioni possibili, una su tutte mi convince, ed è la doppia categoria di “istituzione totale” e “panottico” (inteso nel suo senso di struttura di paura e di autoproduzione di normativa e censura che produce verso chi “non ci vuole entrare”) che però sviluppa ben meglio di me Foucault in “Sorvegliare e punire”. E’ un punto di partenza (la cui lettura a me, ad esempio, è bastata, prima delle fotografie e delle interviste ai familiari dei detenuti) per approfondire quella che, come dire, è innanzitutto una questione di logica.
Poi, siccome viviamo nel paese della farsa e della tragedia, è anche una questione di segregazione, di crudeltà, di affetti distrutti, di perdita, di omicidio e di dolore.
Ma innanzitutto è una questione di logica; si badi bene, io, personalmente, non credo (ma lo svilupperemo) che QUESTA galera non vada bene, credo che il carcere in generale non sia uno strumento interessante per l’organizzazione di un qualsiasi tipo di società.

1. “Cosa succede a Gennaio con la sentenza Torreggiani alla CEDU”. Facile. L’Italia viene condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo perché si accerta che abbiamo violato l’articolo 3 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo. Nello specifico: “I ricorrenti, detenuti negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza, lamentavano in sostanza di essere stati confinati in celle di 9 metri quadrati, ciascuno assieme ad altri due detenuti, e di avere potuto usufruire in quantità insufficiente di acqua calda ed illuminazione. Secondo l’ormai costante giurisprudenza della Corte, che considera automaticamente integrato un trattamento inumano e degradante allorché ciascun detenuto disponga di uno spazio personale pari o inferiore a 3 metri quadri (a fronte degli almeno quattro metri raccomandati dal Comitato per la Prevenzione della Tortura del Consiglio d’Europa), la prima doglianza era di per sé assorbente: ed in effetti, rigettata la difesa del Governo italiano che contestava in fatto – ma senza addurre prove concrete – l’allegazione dei ricorrenti, la Corte accerta la violazione dell’articolo 3 rispetto ai sette ricorrenti, condannando lo Stato italiano a corrispondere, a titolo di equa soddisfazione per il danno morale subito, somme di entità variabile da 10.600 a 23.500 euro, in relazione in particolare alla durata della rispettiva detenzione in condizioni di sovraffollamento” (parentesi numero 2 per chi è più attent*…sì, ha detto “trattamenti inumani e degradanti”, è la stessa dicitura che si utilizza per qualificare la tortura, ma questo è un capitolo connesso e ulteriormente complesso che qui per comodità lasciamo da parte).
La CEDU condanna inoltre lo Stato ad inventarsi uno strumento (articolato in misure individuali e generali) volto ad interrompere la situazione inumana sopra descritta.
Un commento chiaro, comprensibile anche a chi non è addett* ai lavori, e decisamente preciso si trova qui: http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/1990-sentenza_pilota_della_corte_edu_sul_sovraffollamento_delle_carceri_italiane__il_nostro_paese_chiamato_all_adozione_di_rimedi_strutturali_entro_il_termine_di_un_anno/
Leggerlo è importante per capire quel che segue, non me ne vogliate ma l’ho detto prima, questa è una collezione di spunti (non perché bisogna per forza essere d’accordo, ma perché bisogna sapere. Va da sé).

2. “Cosa fa l’Italia”. Ad Agosto entra in vigore una legge che introduce disposizioni volte, passatemi il termine, a tappare qualche buco. Di nuovo, un commento preciso ed una spiegazione tecnica puntuale, ci vengono fornite da questo articolo http://www.penalecontemporaneo.it/materia/-/-/-/2471-convertito_in_legge_il____decreto_carceri____78_2013___un_primo_timido_passo_per_sconfiggere_il_sovraffollamento/
Due le linee che decide di seguire il Parlamento: “la riduzione del flusso di soggetti in ingresso negli istituti penitenziari (si vedano in questo senso la restrizione dell’ambito di operatività della custodia cautelare in carcere e l’ampliamento dell’operatività del meccanismo di sospensione dell’ordine di esecuzione delle condanne a pena detentiva di cui all’art. 656 co. 5 c.p.p.)” e “l’eliminazione (o meglio una prima parziale eliminazione) degli automatismi che impediscono o rendono più difficile l’accesso ai benefici penitenziari a categorie di condannati sulla base di presunzioni assolute di pericolosità (in particolare, ai ‘recidivi reiterati’)”.
Non una parola, non una nota, non un’allusione al tema della depenalizzazione. Eppure…se ci si pensa…quale sistema più semplice, in un territorio quale quello dell’abnorme produzione di normative penali che permea il nostro sistema giuridico, che provare…tentare…abbozzare un discorso sulla depenalizzazione? E perché? C’è un…

3. “Perché”. Perché il pensiero culturale, e quindi quello giuridico, non discutono l’assunto di cui sopra, e cioè non discutono che la galera sia uno strumento necessario della nostra organizzazione sociale. Discutono, semmai, che QUESTA galera non sia adatta/degna/sostenibile/economicamente accettabile (in specie a livello di accountability, nazionale talvolta, internazionale perlopiù). Per capirci, un’istituzione carceraria (che sempre galera è) che preveda l’ingresso di cooperative rieducative, associazioni (e ci sarebbe da discutere dell’insieme complesso del sociale privato che supplisce ma innova, proprio perché privato forse, all’interno di queste istituzioni che sono quanto di più statale esista, non a caso essendo il carcere la più immediata delle istituzioni TOTALI, con quel carattere di totalità che è la prerogativa generativa dello stato novecentesco), ecco una galera umana, con corsi di yoga e di cucina, con un ampliamento delle ore d’aria ed un’architettura se non domotica perlomeno UMANA, ecco, una galera così sì. Sì. Sì!!
Civiltà.
Civiltà della detenzione perché allontanamento civile dell’umano che non segue le regole dettate da…dalla società. Dalla società? Ah. E chi di voi, per fare un esempio altrettanto “trendtopic” in questi giorni ha deciso che il fatto della migrazione non accompagnata da permessi di tipo amministrativo fosse reato?
Ecco perché, sempre per semplificare e cercare di ammorbarvi poco, non si parla di depenalizzazione.
Da un lato perché la galera più umana si ritiene sia IL risultato accettabile; dall’altra perché ammettere che la questione in discussione riguarda il SE la galera sia opportuna significa scoperchiare un vaso fatto di accettazione della legislazione, di legittimazione delle figure di reato e, quindi, di quelle istituzioni che determinano e scelgono le classi di fatti che sono categorizzabili come “fatti-reato”.
Ecco perché non si parla di depenalizzazione.
Ma finché non si parla di depenalizzazione, davvero, con tutta la complessità che richiama e con tutta la corporea aderenza alla vita reale che questa scelta permetterebbe, davvero, ma di cosa stiamo parlando?

4. “Lati peculiari dell’amnistia sociale”. Aprire la porta della depenalizzazione è una strategia che mi pare fondamentalmente connessa con quella che era la questione di partenza. Per gli/le impavid* che sono arrivat* fin qui, provo a lanciare altre due suggestioni.
L’amnistia cosiddetta sociale potrebbe essere riassunta in un processo che prevede due fasi:
1. Identificazione e catalogazione di una serie di situazioni-reato che riferiscono, nel momento della loro realizzazione, ad azioni volte ad affermare bisogni e diritti primari (come potrebbe essere l’occupazione di un edificio a scopo abitativo) che si scontrano con un limite legale che decidono, consapevolmente, di attraversare per concretizzarsi. Di nuovo, so bene che prendere un edificio in 10 e trasformarlo in una casa dello studente non è legale, ma lo faccio perché gli studenti hanno bisogno di una casa e non esiste una soluzione di tipo istituzionale a questo problema che ritengo soddisfacente.
2. Presentazione del materiale (dopo un lavoro gigantesco e oltremodo meritorio) per, con le parole di chi se ne sta facendo carico, ovvero l‘”Osservatorio sulla repressione” (www.osservatoriorepressione.org) “Aprire un percorso di lotta e una vertenza per l’amnistia sociale – che copra reati, denunce e condanne utilizzati per reprimere lotte sociali, manifestazioni, battaglie sui territori, scontri di piazza – e per un indulto che incida anche su altre tipologie di reato, associativi per esempio, può contribuire a mettere in discussione la legittimità dell’arsenale emergenziale e fungere da vettore per un percorso verso una amnistia generale slegata da quegli atteggiamenti compassionevoli e paternalisti che muovono le campagne delegate agli specialisti dell’assistenzialismo carcerario, all’associazionismo di settore, agli imprenditori della politica. Riportando l’attenzione dei movimenti verso l’esercizio di una critica radicale della società penale che preveda anche l’abolizione dell’ergastolo e della tortura dell’art. 41 bis.”.

Ed eccolo qui, altro problema grosso: aprire un percorso di lotta che, auspicabilmente, porta a riconoscere l’illegalità e la legittimità, contestualmente, di pratiche agite con l’obiettivo di scardinare i meccanismi che organizzano, danno uno tra gli ordini possibili, a questo consesso sociale. Scardinano UNO degli ordini possibili, con l’idea, il desiderio, l’utopia (ecco, la voglia di raggiungere un luogo ALTRO da quello che c’è) , di inventarne un altro giusto, equo, queer e chi più ne ha più ne metta.
Libero, fondamentalmente, o, almeno, a me piace riassumerlo così.
Ma perché l’ordine dovrebbe recepire?

Per nessun motivo, o forse solo con l’idea di lasciar sfiatare la pentola a pressione ma, in fondo, se accettiamo questa ipotetica via d’uscita, non torniamo al discorso fatto poco sopra…? non ricadiamo nello scegliere un tipo di galera più umana, ma pur sempre una galera?
(Che però, continuo a pensare, non è la soluzione).

Ecco, l’avevo detto, si chiude con una domanda inevasa, per restare in tema.

 

Due link due, ultimi, di appunti.
a. dati e altri spunti, ma soprattutto dati (che si spera siano veritieri) li mettono in rete quest* tip* dell’Università dell’Essex (http://www.prisonstudies.org/) e li mettono on line riferiti a tutto il mondo, poiché questo è un problema globale

b. so per certo che c’è un bel articolo su Doppiozero, scritto da Valeria Verdolini che trovate qui: http://www.doppiozero.com/materiali/parallelo/lamnistia-e-la-formica-argentina

c. Girolamo De Michele scrive su Carmillaonline questo: http://www.carmillaonline.com/2013/10/29/il-provvedimento-indultoamnistia-il-divenire-zombie-della-politica/

E poi girate, cliccate, parliamo di codice penale e scoperchiamo il buco nero che cala ripetutamente su quell’abominio che è il “finepenamai”, sulle torture praticate nei Cie e sui rimpatri forzati, poiché è sempre movimento e libertà quel che manca.

Liberetutti.

 

 

 

 

 

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