VAL SUSA: NON È UN PROBLEMA DI ORDINE PUBBLICO

“La legalità è un valore primario per ogni società libera, e per il suo rispetto le forze dell’ordine agiranno con la determinazione, l’equilibrio e la responsabilità di cui hanno dato ampia prova anche in questi mesi”.
In una nota congiunta, a margine del vertice tra il vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti Ciacca, i presidenti di Regione e Provincia, il sindaco di Torino e i vertici di Polizia e Carabinieri, le istituzioni ribadiscono la linea della fermezza, giustificandola come presidio di democraticità. Tutte le forze politiche parlamentari evidenziano, d’altra parte, la necessità del rispetto degli accordi internazionali e delle procedure costituzionali; il dovere della prevalenza dell’interesse generale sopra gli interessi particolari; la strumentalizzazione da parte delle forze eversive anarchiche e movimentiste della protesta. Ma, nel merito, tutto tace.Invece, la quasi totalità dei mezzi d’informazione nazionali fa la voce grossa sulla questione del rispetto delle forme del sistema democratico.
L’idea, evidentemente, è parziale, perché non tiene conto dei criteri di ragionevolezza e proporzionalità dell’azione amministrativa, che legittimano la qualità dei sacrifici che si possono chiedere ai cittadini sui propri diritti; a meno che non si voglia trasformare l’ autoritatività dello Stato in arbitrio puro.
Escludendo la mala fede, se ne deve dedurre che per alcuni osservatori la legalità si limita a questo: sedare il dissenso “pericoloso”; lasciar sfogare quello innocuo, secondo una logica paternalistica da assolutismo illuminato, condita con la salsa dell’assunzione di responsabilità.

A valle, su queste basi politiche, il prefetto ha potuto emanare un provvedimento di necessità e di urgenza del tipo dell’art. 2 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, promulgato durante il fascismo, e inopportunamente ancora in vigore, anche se costituzionalmente emendato. Su queste basi, in altre parole, il prefetto ha potuto trattare la protesta come una semplice questione di ordine pubblico, da arginare con la violenza.

Di conseguenza, l’autorità espropriante ha potuto disporre l’occupazione temporanea delle aree interessate dal cantiere TAV; e non importa, agli osservatori e alla politica, che proprio la procedura prevedesse una notifica ai proprietari dei terreni su cui insistono i lavori, con l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora dell’esecuzione dell’ordinanza (art. 49 D.P.R. 327/2001).
Il rispetto della legalità può essere una formula buona per ogni occasione: zittisce gli ingenui, e giustifica gli interessi della classe al governo.

Ma questa non è legalità. La legalità è esattamente il contrario: è il potere a chi non ha il potere. E’ lo strumento di garanzia del cittadino verso le decisioni arbitrarie dell’autorità. E questa legalità vive del respiro continuo delle idee che le sono connaturate.
Tra le quali, c’è sicuramente il principio, tanto in voga, della prevalenza dell’interesse pubblico sull’interesse privato.
Ma, ai non “ingenui”, tocca in più di indagare su come si arriva all’interesse pubblico; si tratta un controllo di routine, per la verità, niente di eccezionalmente complicato. Ora, come sanno tutti la regola democratica vuole che deputata a definire l’interesse pubblico sia la politica, attraverso le leggi.  Bene. La politica la fanno i cittadini, associandosi in partiti, eleggendo i propri rappresentanti, partecipando ai referendum.
Di fondo, per tutti, c’è il rispetto del principio di maggioranza, per cui se alcuni vincono, altri inevitabilmente perdono, e si torna a casa anche tristi, ma comunque consci che i più, attraverso i loro rappresentanti, hanno deciso così. Se questo è il ragionamento, si è anche generalmente disposti, previo indennizzo, a sacrificare il proprio interesse, per un bene ritenuto ottimo per la collettività, nel suo insieme.
Ancora più in fondo a questa regola c’è il patto: il contratto sociale, che regge tutto il sistema complesso dei pesi e dei contrappesi, con anche la delega dell’uso della forza allo Stato.  E’ chiaro, a questo punto, che se va in crisi il patto, va in crisi il sistema.

La Val di Susa non è il luogo dove una minoranza folle sta tentando di rompere il patto della pacificazione sociale. La Val di Susa è il luogo dove si è espresso, neanche per la prima volta, ciò che esiste da almeno vent’anni: la percezione, esponenziale, da parte del complesso della collettività, di una scissione tra l’interesse pubblico e l’interesse della politica, fomentata tra l’altro da una legge elettorale disastrosa; dal clientelismo; dalla corruzione, per di più questa sanzionata per legge con pene irrisorie.
Ecco perché i giornalisti -filosofi dell’interesse pubblico, prima di invocare un’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini, e la legittimità della violenza delle forze dell’ordine, dovrebbero preoccuparsi di analizzare l’inflazionatissimo problema della sfiducia nelle istituzioni, come pure hanno fatto, con tanta solerzia, negli ultimi quindici anni, evidentemente o da superficiali, o per convenienza.

Il 28 febbraio è stata resa nota l’ultima relazione annuale sulla politica dell’informazione per la sicurezza. In audizione al Copasir (il comitato di controllo sui servizi segreti, presieduto da Massimo D’Alema) c’è andato direttamente Mario Monti, rompendo la prassi dei Presidenti del Consiglio di spedirci un sottosegretario, appositamente nominato.
Nel documento si fa il punto sul pericolo di una nuova convergenza tra movimenti antagonisti, nazionali e internazionali, che, già consumata l’azione violenta durante la manifestazione a Roma del 15 ottobre (“all’insaputa” del capo della Polizia, se questi non fu in grado di arginare prima degli scontri i comportamenti dei black block), troverebbero nella valle il covo perfetto d’addestramento.
Il Presidente del Consiglio dovrebbe, lui sì, assumersi la responsabilità delle proprie affermazioni. L’ equiparazione tra le ragioni della protesta, lecitamente attuata con mezzi di resistenza pacifici, e le ragioni di un presunto tentativo di sovversione dell’ordine democratico, è funzionale alla legittimazione dell’uso sproporzionato, perché necessitato, della violenza da parte dello Stato.
Chi, come anche il segretario del PD Bersani, scomoda in questi giorni il terrorismo degli anni settanta, dovrebbe occuparsi di dibattere più accuratamente sulla faccenda, magari evidenziando una cosa semplice, e cioè che le posizioni violente possono convergere con i disagi sociali quando questi sono ingiustificatamente e lungamente inascoltati, e il dissenso democratico trasformato in questione solo di ordine pubblico.

Chi dice, infatti, che il documento siglato dall’Osservatorio tecnico sulla Lione – Torino fu firmato dalla maggior parte dei sindaci della zona, omette una verità fondamentale, e cioè mente.
L’accordo è stato concluso nel 2010 senza il consenso delle istituzioni rappresentative dei territori sui quali avrebbe inciso, concretamente, la TAV. Di conseguenza, lo stesso non ha mai ottenuto il placet dei Comuni contro-interessati, ma solo l’avallo di soggetti pubblici locali non sacrificati nei loro diritti: praticamente, facevano numero.

“La legalità è un valore primario per ogni società libera”, dice il sottosegretario Ciacca. Noi vogliamo aggiungere, alla sua espressione poetica, che la legalità, in quanto valore, coincide (anche) con la sua sostanza, con il suo contenuto. E questo si esprime nella necessità di una valutazione seria del progetto, su basi scientifiche e tecniche, e soprattutto dialogando nel merito con gli enti locali.
Opporre patti internazionali siglati in un contesto economico distante, sulla base di studi di fattibilità smentiti negli anni da un crollo verticale dei numeri sul transito delle merci tra Italia e Francia, millantando il futuro quanto incerto sviluppo di una linea ferroviaria più veloce di quella che già esiste, ed è sottoutilizzata, è, prima di tutto, non pertinente con i doveri delle istituzioni nei confronti dei cittadini italiani, i cui gravi sacrifici economici vengono giustificati dalla imponenza del debito pubblico.

Per tutte queste ragioni, siamo dell’idea che l’audizione da parte del Governo del gruppo dei 360, tra esperti e professori, che hanno evidenziato criticità economiche, ambientali, energetiche e sociali della TAV sia un atto necessario.
Questo, sia dal punto di vista sia della coesione sociale; sia della tenuta sostanziale del sistema democratico, che, per natura, trova il suo centro nella partecipazione dei cittadini alla vita politica, partecipazione per decenni subdolamente soffocata nella becera rincorsa individualistica all’accaparramento della estemporaneità.

Clicca per sostenere l’appello dei 360 professori a essere ricevuti da Mario Monti e ridiscutere, con trasparenza e oggettività, il progetto TAV

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