23 febbraio 1973, l’omicidio di Roberto Franceschi

Studente universitario ventenne, ferito da colpi d’arma da fuoco sparati dalla Polizia fuori dalla Bocconi la sera del 23, si spense il 30 gennaio senza aver mai ripreso coscienza.

E’ una lista lunga purtroppo, quella di giovani uccisi da Forze dell’Ordine e fascisti a Milano negli anni Settanta. Se il 12 dicembre, oltre alla strage di piazza Fontana che fece 17 morti e 88 feriti sono stati ricordati anche Giuseppe Pinelli e Saverio Saltarelli morti, seppur in modalità differenti, per responsabilità delle forze repressive oggi cade il cinquantesimo anniversario dell’omicidio di Roberto Franceschi la cui figura verrà ricordata questa sera alle 18,30 in via Bocconi proprio nel luogo dove cadde colpito dal piombo sparato dalla Polizia in una delle diverse iniziativa organizzate in questi giorni per il 50° anniversario della sua morte.

Dopo lo sciopero generale studentesco della mattinata era stata indetta dal Movimento Studentesco un’assemblea di valutazione della giornata da tenersi presso l’Università Bocconi. Oggi può sembrare strano, ma l’università fucina del pensiero neoliberista che ha dato all’Italia un Presidente del Consiglio come Mario Monti ricordato per le sue politiche d’austerità lacrime e sangue e che, negli anni dell’austerity degli anni Dieci, è stata più volte “assediata” da cortei studenteschi, aveva, all’epoca, una presenza significativa del movimento studentesco. Per prassi consolidata di quegli anni, le assemblee erano aperte a tutti e ognuno era libero di parteciparvi, che fosse uno studente iscritto, un operaio, un disoccupato o qualsiasi altra cosa poco importava. Quella sera, per una scelta inspiegabile (o meglio, spiegabile con la volontà di “ripristinare l’ordine” in facoltà) l’allora Rettore Giordano Dell’Amore decise che all’assemblea avrebbero potuto partecipare solo studenti e studentesse iscritti alla Bocconi. Per far rispettare quella scelta sciagurata che anche ai giorni nostri sembra molto strana fu chiamata la Polizia. Alle proteste di coloro che volevano partecipare all’assemblea seguì una prima carica da parte degli uomini in divista. Si accese un rapido scontro tra l’università e il parco Ravizza e fu in quel momento che la Polizia aprì il fuoco ad altezza d’uomo contro i manifestanti ferendo Roberto Franceschi in modo gravissimo alla testa e l’operaio Roberto Piacentini alla schiena.

Il primo ricordo è tratto dal libro Perché non sono nata coniglio che, partendo dalle tragiche vicende di quella sera di gennaio alla Bocconi, racconta la storia della vita della madre di Roberto, Lydia:

“‘Dottor Franceschi, mi scusi per l’ora, è meglio se venite al pronto soccorso del Policlinico. Roberto ha avuto un incidente’.
È Mario a rispondere al telefono quel martedì sera. Lui, sua moglie Lydia Buticchi e la figlia Cristina sono appena tornati da teatro. Il telefono ha già squillato una volta ma, ancora fuori dalla porta, non sono riusciti a trovare le chiavi di casa in tempo. È il 23 gennaio del 1973, al Quirinale siede Giovanni Leone, al governo da pochi mesi è tornato Giulio Andreotti. A Milano fa freddo: il ricordo della strage di piazza Fontana è ancora vivo, quello dell’attentato alla Questura non è ancora scritto nelle pagine nere della città. Quella sera i cosiddetti ‘Anni di piombo’ bussano alla porta di casa Franceschi”.

Questa invece la testimonianza di Massimo, presente quella sera:

“La sera del 23 gennaio 1973 doveva tenersi un’assemblea all’università Bocconi.
Non si prevedevano problemi, l’autorizzazione era stata richiesta al Rettore, quindi ero abbastanza tranquillo.
L’assemblea, dopo lo sciopero generale studentesco della giornata, doveva fare il punto sulla situazione delle lotte studentesche ed era aperta a tutti, come del resto lo erano tutte le assemblee di quel periodo.
Arrivato in Bocconi, con altri compagni, trovai l’ingresso sbarrato dalla Polizia. Per entrate era richiesto il libretto universitario, si doveva dimostrare di essere iscritti alla Bocconi. Alle prime pressioni sui cordoni di Polizia, partì immediatamente una violenta carica da due lati. Scappammo in strada, provammo a difenderci ma era impossibile. Io saltai sul lato della strada che da verso il parco Ravizza, proprio sul lato opposto del monumento attuale. Oltre alle esplosioni dei lacrimogeni, sentii chiaramente dei colpi di arma da fuoco, mi nascosi dietro un albero del parco Ravizza. La Polizia indietreggiò e tornai in università dove seppi che erano stati feriti due compagni, poco dopo seppi anche i nomi, Roberto Franceschi (era stato proprio lui a chiedere il permesso al Rettore) e Roberto Piacentini”.

Dalla prima pagina de La Stampa del 25 gennaio 1973.

 

Pagina interna de La Stampa del 25 gennaio 1973.

Appena dopo gli spari, secondo una prassi diffusa all’epoca, ma ancora di moda, iniziò l’opera di insabbiamento e depistaggio da parte delle varie autorità. La prima tesi, sempre molto cara alle Forze dell’Ordine, fu che Franceschi fosse stato colpito da un sasso (do you remember Genova G8?). Non potendo reggere ed essendo chiaro che la Polizia aveva sparato iniziò un’operazione tesa a diluire le responsabilità rendendo di fatto difficilmente chiaro chi aveva dato gli ordini e chi veramente avesse sparato. Tutta la vicenda è magistralmente narrata nel libro di Daniele Biacchessi Roberto Franceschi, processo di Polizia. L’opera di insabbiamento andò a buon fine. Infatti nel processo iniziato nel 1979 i due poliziotti accusati dell’omicidio furono assolti e vi fu solo una lieve condanna a un ufficiale e a uno degli agenti accusati dell’omicidio per la falsificazione delle prove. Il giudizio fu mandato definitivo dalla Cassazione.

Articolo in prima pagina del 27 gennaio 1973.

 

La Stampa, 3 febbraio 1973.

La vita di Roberto Franceschi si spegnerà definitivamente in una camera del Policlinico nel pomeriggio del 30 gennaio.

L’annuncio della morte di Roberto, il 31 gennaio.

I funerali di Roberto si tennero il 3 febbraio 1973 e videro una partecipazione straordinaria. Presenti in piazza circa 100.000 persone. Il corteo funebre, mossosi dalla Bocconi in un silenzio impressionante raggiunse piazza Santo Stefano, di fianco alla Statale. I funerali proseguirono successivamente in forma privata.

L’eccezionalità della giornata traspare anche nella cronaca commossa di Massimo Nava, oggi famosa penna del Corriere della Sera e all’epoca giovanissimo cronista dell’Avvenire:

“In corso Italia la folla immensa, stretta fra le case, ha chiuso ogni spazio, occupato ogni spiraglio. È stato uno dei momenti più toccanti: una distesa di volti tesi, di labbra serrate come per ricacciare un grido. Solo i drappi rossi, i cappotti e i pantaloni multicolori, indossati come in una qualsiasi mattinata di scuola, i libri sottobraccio, hanno reso meno cupa, meno indefinita l’immagine ovunque avvertibile delle ferite aperte dalla violenza.  Anche la città, la gente nelle case, gli automobilisti bloccati nelle macchine, i passanti stretti sui marciapiedi hanno capito il senso di una cerimonia funebre così diversa, così venata di sfumature politiche, ma sentita dai partecipanti. Nessuno ha commentato, nessuno ha parlato, nessuno si è intromesso nella commozione di migliaia di giovani”.

Articolo del 4 febbraio 1973 sui funerali di Roberto Franceschi.

Purtroppo per il movimento e per Milano quelli non saranno gli ultimi funerali di giovani uccisi nelle strade della città. Già nell’aprile del 1975 altre esequie ricorderanno le figure di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi.

Per celebrare la figura di Roberto fu composta una canzone, all’epoca molto famosa e cantata e che, tramandata oralmente di generazione in generazione, capita ancora di sentir canticchiare il 25 aprile o il 23 gennaio in occasione delle commemorazioni in via Bocconi. Si tratta di Compagno Franceschi. Oltre a questo, nel 1977 fu creato un monumento posato proprio nel luogo dell’uccisione dello studente la cui storia viene raccontata dettagliatamente sulle pagine della Fondazione Roberto Franceschi Onlus animata da una figura eccezionale, quella di Lydia Franceschi, ex staffetta partigiana solo recentemente scomparsa.

Ci sembra giusto chiudere questo pezzo di memoria milanese con la locandina dell’iniziativa “50 anni: pochi e tanti” organizzata dalla Fondazione Franceschi questa sera alle 20 alla Bocconi nel quadro delle commemorazioni dei 50 anni dalla morte di Roberto. L’ingresso è gratuito su prenotazione.

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