6 agosto 1945 – La bomba atomica su Hiroshima

“Enola Gay, you should have stayed at home yesterday
Oho words can’t describe the feeling and the way you lied
These games you play, they’re gonna end it all in tears someday
Oho Enola Gay, it shouldn’t ever have to end this way
It’s 8.15, and that’s the time that it’s always been
We got your message on the radio, conditions normal and you’re coming home”.
(“Enola Gay” – Orchestral Manoeuvres in the Dark, 1980)

6 agosto 1945.
Molto tempo è passato dal proditorio attacco giapponese di Pearl Habour contro la flotta americana del dicembre 1941.
I tempi in cui il dilagare dei giapponesi nel Pacifico sembrava inarrestabile sembrano un lontano ricordo.
Il Giappone è rimasto solo.
L’ultimo paese dell’Asse rimasto in guerra contro gli Alleati.
La prima nazione a crollare è stata l’Italia che il 25 luglio ‘43 ha defenestrato Mussolini arrendendosi l’8 settembre. Una resa che non risparmierà al paese la feroce occupazione tedesca e la Guerra di Liberazione,
Il Terzo Reich si è invece arreso ai primi di maggio ’45, sventolando bandiera bianca dopo il suicidio di Hitler.

Il Sol Levante è quindi rimasto da solo.
Quasi completamente colata a picco la sua grande flotta da guerra.
Quasi completamente cancellate tutte le sue conquiste territoriali.
Seppur spettacolare abbastanza inutile dal punto di vista militare la sanguinosa strategia dei kamikaze.
Rase al suolo molte città.

Questo lo scenario precedente al bombardamento atomico di Hiroshima e di Nagasaki.

La conquista dell’isola giapponese di Okinawa, trampolino per l’attacco del Giappone, era costata spaventose perdite sia ai giapponesi che agli americani.
I generali yankee temevano che l’invasione del Giappone avrebbe avuto costi umani spaventosi sia per il feroce nazionalismo giapponese del governo militare di estrema-destra al potere a Tokyo che per l’attaccamento fanatico dei giapponesi alla figura divina dell’Imperatore che per la storia di un paese che non aveva mai subito una sconfitta militare nella sua esistenza.

Se questo è vero è altrettanto vero che il governo di Tokyo stava sondato la possibilità di arrendersi attraverso contatti con l’Unione Sovietica.
Il paese era in ginocchio e i sostenitori della guerra a oltranza sempre più in difficoltà.

Gli studi storici spiegano come, in diverse riunioni, la dirigenza politico-militare americana decise che la bomba, col suo incredibile potenziale, non doveva essere indirizzata solo contro un bersaglio militare, ma coinvolgere anche i civili. Questo per creare un trauma psicologico e per far parlare il mondo della nuova terribile “arma definitiva”.

Da qui l’idea di bombardare delle città.
Del resto il bombardamento indiscriminato delle città nemiche non era una pratica nuova per gli americani.
Nel febbraio 1945 il bombardamento di Dresda aveva provocato circa 35.000 morti.
Quello incendiario di marzo a Tokyo la cifra mostruosa di 100.000 morti.

Inutile dire come, il 16 luglio, la riuscita del primo test nucleare (nome in codice “Trinity”) ad Alamogordo, nel Nuovo Messico, non fece che accelerare la scelta, più politica che militare, di lanciare le bombe atomiche sul Giappone.

La scelta di dare il via all’operazione avvenne il 25 luglio 1945.

Da lì si mise in moto il complesso e segretissimo meccanismo per portare all’assembleamento del primo ordigno atomico chiamato con sinistra ironia “Little Boy”.

Furono solo tre i bombardieri B-29, le cosiddette “fortezze volanti”, che effettuarono la missione: “Enola Gay” che portava la bomba, “The Great Arstiste” che rilevava le condizioni meteorologiche e “Necessary Evil” decollato con lo scopo di documentare gli effetti del bombardamento.

La difesa aerea giapponese rilevò l’avvicinamento dei bombardieri, ma visto il loro scarso numero e visto lo stato pietoso in cui versava l’aeronautica militare del Sol Levante, non si ritenne di far alzare in volo dei caccia, con connesso consumo di benzina, per contrastare solo tre aerei nemici.

Alle 8.14’45’’ “Enola Gay” sganciò in tutta tranquillità “Little Boy” su Hiroshima.
Subito dopo prese velocità con una picchiata e effettuò una brusca inversione di quasi 180° allontanandosi a massima velocità.

L’esplosione, col suo bagliore accecante, avvenne a quasi 600 metri dal suolo uccidendo sul colpo tra i 70.000 e gli 80.000 esseri umani.

Il 9 agosto avvenne il secondo bombardamento atomico sulla città di Nagasaki che causò una cifra indefinita di morti probabilmente variabile attorno alle 50.000 vittime.

I due bombardamenti fecero pendere il rapporto di forza a favore di chi, a Tokyo, si batteva per la fine della guerra. E il Giappone si arrese a metà mese.

Il dibattito sull’utilizzo della bomba atomica, un’arma capace di tracciare un prima e un dopo nella storia umana, rimane tuttora aperto.

Molti pensavano, anche nell’establishment americano, che l’uso dell’atomica non avesse motivazioni militari e che probabilmente, il Giappone si sarebbe comunque arreso.

Tra gli scienziati protagonisti del progetto molti furono sconvolti dalle capacità distruttive dell’arma che avevano contribuito a creare. Qualcuno sostenne che sarebbe bastata un’esplosione dimostrativa in una zona disabitata del Giappone per convincere i giapponesi alla resa.

Molti pensano che il messaggio lanciato col doppio bombardamento nucleare non era rivolto tanto ai giapponesi, quanto al nuovo nemico strategico ovvero l’Unione Sovietica di Stalin con la quale i rapporti si stavano rapidamente deteriorando. I russi non furono né colti di sorpresa né sconvolti dal bombardamento e in poco tempo, grazia a un’efficientissima rete di spie, riuscirono a produrre la loro bomba atomica ponendo fine alla superiorità strategica americana.

Quel che si può dire con certezza è che il Giappone, prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, si riempì d’infamia con massacri inauditi venati da una forte componente razzista. Cosa altrettanto certa è che gli americani usarono per primi e per la prima e ultima volta nella storia quest’arma terribile. Nata originariamente per anticipare i nazisti nella corsa alla conquista dell’atomo, essa fu utilizzata, alla fine, non nel cuore dell’Europa, ma in Asia.

Chiudiamo questo articolo con l’amara considerazione di Leo Szilard, fisico ungherese di origine ebraica, che ebbe un ruolo fondamentale nella scoperta della “reazione a catena” e nel Progetto Manatthan (quello della bomba), ma che sarà un acerrimo nemico dell’uso dell’atomica:

“Se i tedeschi avessero gettato bombe atomiche sulle città al posto nostro, avremmo definito lo sgancio di bombe atomiche sulle città come un crimine di guerra e avremmo condannato a morte i tedeschi colpevoli di questo crimine a Norimberga e li avremmo impiccati”.

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