Confindustria e le riaperture – Quando dagli errori non si impara nulla

Pressanti richieste dagli industriali di Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte e Veneto.

139.422 infettati, 17.669 morti di cui 542 nella giornata di ieri.

Non bastano questi tragici dati, che tra l’altro probabilmente non rispecchiano neppure i numeri reali quasi certamente più alti, a far desistere le varie organizzazioni datoriali dal pressing costante sul Governo per un piano di riaperture.

Nella giornata di ieri la Confindustria delle quattro grandi regioni industriali e produttive del nord, ha emesso l’ennesima nota, prontamente ripresa dai vari media e di cui vi riportiamo i passaggi fondamentali, in cui chiede alle istituzioni un’agenda di riaperture.

“Se le quattro principali regioni del Nord che rappresentano il 45% del PIL italiano non riusciranno a ripartire nel breve periodo il Paese rischia di spegnere definitivamente il proprio motore e ogni giorno che passa rappresenta un rischio in più di non riuscire più a rimetterlo in marcia. Prolungare il lockdown significa continuare a non produrre, perdere clienti e relazioni internazionali, non fatturare con l’effetto che molte imprese finiranno per non essere in grado di pagare gli stipendi del prossimo mese”.

Il tema di fondo che sembra emergere è che la salute è importante, ma gli affari altrettanto.

Anche il chiedere le riaperture garantendo la sicurezza dei lavoratori (sottolineandolo addirittura in grassetto nel comunicato) stride abbastanza con la realtà quando qualsiasi lavoratore e lavoratrice sa bene come ci siano interi settori produttivi dove la sicurezza sia un miraggio, in primis il mondo della logistica e dei corrieri dove proliferano le cooperative e come, spesso e volentieri, per obbligare le aziende a introdurre le misure di sicurezza sia dovuto esplodere il conflitto sindacale. Ci siamo già dimenticati degli scioperi di marzo?

E’ passato ormai più di un mese dall’esplosione dell’epidemia e se, nei primi giorni gli errori erano ammissibili e scusabili perseverare sulla strada delle riaperture è inaccettabile.

Dicevamo in apertura che non bastano i numeri drammatici dei morti come evidentemente non stanno bastando i retroscena che emergono quotidianamente, con tanto di indagini di diverse procure, sulla disastrosa vicenda della gestione dell’epidemia nei focolai di Alzano Lombardo e Nembro, dove a fronte delle fortissime pressioni imprenditoriali a non chiudere Governo e Regione Lombardia si sono rimpallati la responsabilità sull’istituzione della zona rossa mettendola in atto quando i buoi erano già scappati dal recinto e l’infezione stava dilagando rendendo la provincia di Bergamo una delle zone col maggior numero di morti in Italia.

Ed evidentemente non basta neanche la scappatoia alle chiusure di cui parlavamo in un articolo del 23 marzo per cui basta un’autodichiarazione al Prefetto per dichiararsi parte della filiera delle produzioni essenziali e, con il silenzio-assenso delle autorità, l’azienda che si è autocertificata può riprendere la produzione.

Da un articolo di ieri del Corriere della Sera risulta che sono decine di migliaia le aziende già aperte e che hanno chiesto l’autorizzazione alle varie Prefetture per riprendere la produzione. E che i numeri di richieste sono in continua, vorticosa crescita. La provincia capofila del numero di richieste di riapertura è, neanche a farlo apposta, Brescia, un’altro dei luoghi maggiormente colpiti dall’emergenza Covid19.

Guardando al paese che per primo ha dovuto affrontare l’epidemia, ovvero la Cina, vediamo che la data di istituzione della quarantena a Wuhan è stata il 23 gennaio 2020. Il lockdown è terminato nella giornata di ieri 8 aprile. La chiusura, con regole molto più stringenti di quelle italiane, è dunque durata 76 giorni.

In Italia non è ancora passato un mese dall’inizio della chiusura e già si vorrebbe riaprire…

Il mondo medico invita pressantemente alla cautela, ma gli interessi economici sembrano spingere da un’altra parte.

Viene da dire che è proprio vero che dagli errori non si impara nulla se due giorni fa Marco Bonometti di Confindustria Lombardia rivendicava senza vergogna l’opposizione alla costituzione della zona rossa nella bergamasca.

Forse sarebbe il caso di smetterla di avere reazioni isteriche di fronte a chi si fa una passeggiata al parco e iniziare a guardare la Luna invece che il dito…

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Una risposta a “Confindustria e le riaperture – Quando dagli errori non si impara nulla”

  1. Ado ha detto:

    Riaprire in questo preciso momento sarebbe una follia, ma cosa attendersi da questa associazione che hanno solo interessi corporativi. Sappiamo tutti benissimo che che le aziende sono importanti ma la vita vale molto di più, per cui è opportuno graduare assolutamente le riaperture

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