Coniugare la lotta con il nostro tempo

La sveglia suona sempre presto in via Edolo 10, sede operativa della Brigata Lena-Modotti. Qui viviamo in una quindicina di persone, tutti dediti a gestire le diverse attività che ormai da quattro mesi portiamo avanti con frenesia e una buona dose di stanchezza. Tanti e tante di noi hanno lasciato la propria casa per scampare il pericolo del contagio, allontanandoci così dai nostri affetti più cari. Tutto quello che facciamo implica delle conseguenze, ma nessuno di noi in questi mesi ha mai pensato di tirarsi indietro e anteporre la propria soggettività al bisogno della collettività e delle persone che quotidianamente incontriamo grazie ai diversi progetti che animano le nostre vite. La nostra avventura è iniziata l’8 marzo, con la notizia del lockdown abbiamo sentito il bisogno di inserirci in qualche modo nel tessuto frammentato del capoluogo meneghino, cercando di comprendere i bisogni e le esigenze delle persone. La nostra zona di azione è quella parte della città che da sempre conosciamo meglio: il Municipio 2 e 3, i quartieri della città che collettivamente attraversiamo da anni, infatti il Lambretta dal 2012 è sempre stato di casa in zona 3, tante e tanti di noi hanno frequentato licei e università qui, la nostra prima sede si trovava in Piazza Ferravilla, nel cuore del quartiere. Conosciamo a memoria ogni angolo, ogni strada. Nel nome dell’antifascismo e antisessismo abbiamo sempre cercato di coniugare la lotta con il nostro territorio. E’ sempre stata questa la sfida più difficile, creare comunità con lo spazio che ti circonda. Ad oggi posso affermare con orgoglio e forza che questa sfida è stata vinta, da marzo a luglio siamo entrati in contatto con 15.000 famiglie e molte altre incroceranno il nostro cammino.

Io e Fabrizio, il mio compagno di stanza siamo sempre tra i primi a scendere le scale la mattina presto, senza fiatare, ma leggendoci nel pensiero a vicenda. Io lavo i piatti della sera prima e lui mette su il caffè. A mano a mano, grazie all’odore di caffè che inebria tutto lo stabile, iniziano ad apparire i diversi volti assonnati, tutti rigorosamente silenziosi, una squadra di zombie pronti a incominciare una nuova giornata. Marco come da tradizione ormai consolidata cambia i sacchetti della pattumiera, alzando gli occhi al cielo.  Finita la colazione si inizia a lavorare, apriamo il cancello d’ingresso del magazzino e iniziamo a smistare le spese solidali della sera prima.

L’organizzazione della Brigata ha raggiunto un livello di perfezione non solito ai centri sociali. E’ sorprendente come grazie a questa emergenza siamo riusciti in modo preciso ed organizzato ad attivarci pensando ad ogni minimo dettaglio, tirando su un’efficiente macchina organizzativa. Per perseguire l’obiettivo settimanale di consegnare almeno 1.000 pacchi alimentari e’ imprescindibile riuscire a mantenere concentrazione e lucidità. La nostra catena di solidarietà e’ composta da diversi anelli: il centralino, realizzato da Kevan, il nostro compagno informatico dotato di capacità invidiabili, prende le chiamate delle persone in difficoltà che richiedono un pacco alimentare, la comanda viene trasferita ai responsabili delle consegne che si occupano di trovare volontari per consegnare il cibo. Una volta stampate le comande vengono consegnate alle magazziniere Laila, Emma, Irene e Jasmine. Le nostre compagne stakanoviste preparano i pacchi con precisione maniacale e fordista. Una volta pronti i pacchi, altri compagni si occupano di consegnare alle famiglie. Tutto il cibo stipato in magazzino arriva dalle donazioni fatte davanti ai supermercati, le cosiddette “spese solidali”. Centinaia di ragazzi e ragazze presidiano quotidianamente diversi punti vendita di diversi supermercati, armati di volantini e sorrisi, cercano di raccontare la nostra storia ad ogni passante, le persone incontrate in questi mesi di Brigata, i loro bisogni e le loro difficoltà. Il nostro è un lavoro necessario, nonostante la fatica e la stanchezza in tutto questo tempo non abbiamo mai pensato di tirarci indietro. L’impegno è totalizzante, sai quando inizi ma non sai quando finisci. Non c’è sabato o domenica. Le nostre attività non si limitano alla consegna dei pacchi alimentari, la Brigata ha attivato anche un progetto di sostegno alle persone senza fissa dimora, “Operazione Drago Verde”, decine di volontari che ogni settimana escono muniti di kit composti da igienizzati,vestiti e pasti caldi. I draghi verdi sono le fontanelle pubbliche dove le persone senza fissa di dimora sono solite lavarsi, punti di riferimento fondamentali all’interno della metropoli. Dall’inizio dell’emergenza sono 8000 i pasti cucinati grazie anche al preziosissimo contributo di Rob de Matt,un ristorante e bistrò nel cuore del quartiere Dergano, ma anche un’associazione di promozione sociale, che si basa su un progetto di inclusione sociale e lavorativa rivolto a persone con storie di marginalità e svantaggio. Il giovedì e la domenica sera ci si vede in magazzino, si caricano le macchine e ci si dirige nei punti nevralgici della città, dalla Stazione Centrale a Garibaldi, passando per Lambrate e San Babila. Migliaia di persone che vivono in strada, ognuno con la sua storia, gli invisibili della ricca Milano, della capitale economica del Paese. Uomini e donne giovani e anziani, rifugiati, italiani e stranieri. In strada non esiste discriminazione, tutti vivono la stessa condizione: la solitudine. I diversi contesti che abbiamo attraversato, dalle case popolari alla strada, sono legati da un fil rouge comune, abbandonati dalle istituzioni, vivono nell’indifferenza, dimenticati e soli. E’ nelle pieghe di questa situazione che abbiamo cercato di insinuarci, non solo con il lavoro pratico e operativo della Brigata, ma anche tentando di raccontare questa incredibile storia, i volti delle persone e le loro condizioni. L’obiettivo principale di tutto quello che facciamo è restituire dignità. Tessere una trama di solidarietà dove nessuno viene lasciato indietro. Tra noi e le persone che ricevono i pacchi non esiste distanza, siamo un corpo solo. Ogni sabato, durante il settimanale giro nelle case di Zona 2, Maria, Mami, Teresa, Sabino e Khadija non ci lasciano mai a stomaco vuoto. Il rito del pranzo insieme è ormai pratica consolidata, uscire dal cortile di via Arquà 10 è un’impresa, l’accoglienza che ci viene riservata mi ricorda sempre la mia amata Palestina e il mio magnifico Sud Italia. Quelle case e quei cortili sono anche i nostri, condividiamo le stesse preoccupazioni per il futuro, la stessa precarietà e le stesse fragilità, ma lo facciamo insieme. Giacomo e André sono gli aficionados di via Arquà, sono di casa.

Attraverso gli obiettivi delle loro camere raccontano la nostra storia, il tentativo di costruire una memoria storica di quello che siamo stati e di quello che saremo, ma soprattutto delle persone che abbiamo conosciuto. Una di loro è Maria, la portinaia 65enne del cortile è un’istituzione consolidata nel quartiere, con un passato difficile ma caratterizzata dalla tenacia e della forza di chi in via Arquà ci vive da sempre e negli anni ha visto una città e un quartiere trasformarsi. I pomeriggi volano, ormai la consegna è  un elemento secondario dei nostri sabati. In quel luogo speciale che è via Arquà 10 abbiamo riscoperto la vita. Vale lo stesso per i nostri compagni di Brigata in zona 3, nel complesso di case popolari in Via Porpora, qui ogni venerdì vengono consegnati i pacchi alimentari, la squadra composta da Mauro, Sergio (perennemente in ritardo), i due Matteo, Ilaria, Mirko e Elena e tanti altri, si ritrovano in magazzino e iniziano a caricare le macchine con tutto il necessario per preparare i pacchi. Kati, abita in Porpora 47 e ogni venerdì mattina al nostro arrivo ci accoglie sempre con un thermos di caffè che accompagna la preparazione dei pacchi. Provare a ripensare alle nostre vite prima di questa esperienza è un esercizio difficile, quasi impossibile. La Brigata ci ha dato l’opportunità di vivere in modo differente, le emozioni provate sono un vortice che ti prende testa e stomaco. La nostra è una storia complessa, un’utopia possibile, mossi dal desiderio di cambiare paradigma, ripensare alle nostre vite e a quelle di tutte le persone che ci circondano, in direzione ostinata e contraria. In questi mesi le nostre vite sono state radicalmente stravolte e nessuno è spinto dal desiderio di ritornare a ciò che eravamo prima, alle vite vuote, svuotate di senso e di prospettiva. Tutto quello che facciamo ha un preciso significato politico, lavorare con le compagne e i compagni della Brigata significa per noi organizzarsi collettivamente perseguendo l’obiettivo il sogno di un mondo diverso e giusto.

Questa è la nostra storia, fatta di fatica e desiderio. E’ possibile sostenere questa avventura partecipando al crowdfunding sulla piattaforma go fund me.

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Laila Sit Aboha, 24 anni, italopalestinese, militante e mediattivista per il sito di controinformazione MilanoinMovimento

da il Manifesto del 6 luglio 2020

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