Coronavirus – Quello che dice il Rapporto GIMBE sulla sanità italiana

In questi giorni di emergenza coronavirus sta venendo citato da più parti il rapporto GIMBE 2019 sullo stato della comparto salute in Italia. Presentato nel giugno 2019, lanciava un grido d’allarme sui massicci tagli che avevano colpito negli anni il nostro sistema sanitario evidenziando anche altre problematicità. Un vero e proprio S.O.S. in difesa della sanità pubblica. La Fondazione GIMBE, come chiarito all’inizio del rapporto, è un’associazione no-profit che svolge attività di ricerca nel campo della salute. Ma cosa dice il rapporto? Siamo andati a leggerlo.

“Abbiamo da poco ricordato i 40 anni del Servizio sanitario nazionale. È stato – ed è – un grande motore di giustizia, un vanto del sistema Italia. Che ha consentito di aumentare le aspettative di vita degli italiani, ai più alti livelli mondiali. Non mancano difetti e disparità da colmare. Ma si tratta di un patrimonio da preservare e da potenziare”.

Il rapporto si apre con queste parole in qualche modo profetiche pronunciate dal Presidente della Repubblica Mattarella durante il sui discorso di fine anno il 31 dicembre 2018.

Prima di approfondire alcuni dei temi trattati dalla ricerca però serve fare un rapido excursus storico sul SSN, Sistema Sanitario Nazionale e sulla sua gestione negli ultimi decenni.

Il Sistema Sanitario Nazionale che, per anni è stato vanto dell’Italia guardato con interesse e invidia da molti paesi, nasce nel 1978 quando viene messo da parte il sistema delle mutue private che garantiva prestazioni diversificate a seconda della professione e del reddito. Veniva messo in piedi il tentativo di garantire una tutela della salute universale per tutti i cittadini a prescindere dallo stipendio.

Il primo momento di rottura con l’imperativo di difendere la salute di tutti avviene nel 1989 con l’introduzione dei ticket da parte del governo De Mita (con la benedizione di Craxi). I ticket, il cui ammontare è cambiato più volte nei decenni, costituiscono una sorta di tassa/contributo del cittadino per le prestazioni sanitarie.

Da quel momento, in preda all’ubriacatura neo-liberista, nessun governo si è discostato dall’imperativo di tagliare fondi alla sanità pubblica e procedere a una progressiva privatizzazione del comparto salute.

L’aver delegato alle Regioni la gestione della sanità è stato un elemento deteriore che ha frazionato la gestione unitaria e univoca un tempo nelle mani dello Stato e ha trasformato l’intero comparto in un crocevia di interessi economici e clientele politiche. Qualcuno potrebbe dire: “Ma anche prima dell’autonomia regionale c’erano interessi e clientelismo!”. Vero. Ma adesso il problema è stato moltiplicato per venti…ovvero il numero delle Regioni in Italia!

Altro tasto dolente è la progressiva esternalizzazione di interi servizi con il sistema degli appalti e dei subappalti così che per una serie attività non è più chiaro chi debba rendere conto a chi e chi sia responsabile di cosa per non parlare degli stipendi più bassi e dello scadere della qualità del lavoro. Del resto, quando si associa la parola profitto a quella salute, gli esiti non possono che essere disastrosi.

Un’intero capitolo andrebbe dedicato alla sanità privata e al sistema delle convenzioni, ma in questi giorni se n’è già parlato molto e non vogliamo infierire ulteriormente…

Altro elemento da tenere in considerazione è il diffondersi del sistema delle assicurazioni private (come nei vituperati Stati Uniti) così che la qualità e la velocità delle prestazioni si diversifica a seconda del lavoro svolto dal paziente con una vera e propria fuga dalle prestazioni sanitarie da parte dei più poveri.

Ma ora vediamo cosa dice il rapporto.

Già all’undicesima pagina è evidente che c’è qualcosa che non va e abbiamo deciso di riportare per intero il paragrafo.

Dal 2010 al 2019 sono stati sottratti al Sistema Sanitario Nazionale circa 37 miliardi di euro. La spesa sanitaria dell’Italia, del cui sistema siamo sempre stati fieri, ci avvicina ai paesi dell’Europa orientale. Siamo fanalino di coda con Spagna e Irlanda in Occidente.

Critiche abbastanza impietose vengono rivolte anche a quello che viene chiamato il “secondo pilastro” ovvero quello dei fondi sanitari che coprono ormai più di 10 milioni di persone. I fondi sono gestiti all’85% da assicurazioni private e il sistema legislativo italiano con la sua poca chiarezza e le sue mille scappatoie rende il sistema dei fondi un elemento escludente per grandi fasce di popolazione e di business per alcuni “soliti noti” con un’aumento di prestazioni inappropriate e spesso inutili. Insomma, invece che sostegno alla sanità pubblica, i fondi favoriscono il processo tipicamente italiano di privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite.

Dopo un’accurata e dettagliata analisi della spesa per la salute in Italia, nel terzo capitolo il rapporto affonda le mani nella piaga con il titolo eloquente “Determinanti della crisi di sostenibilità”.

Per lo studio il primo elemento di crisi della sanità italiane è il costante e massiccio definanziamento degli ultimi anni iniziato con la crisi del 2008 ed esploso con le misure di austerità volute dal Governo Monti nel 2012. Qui appare evidente come i dogmi neo-liberisti abbiano una responsabilità grave nell’attuale stato di crisi del sistema.

Viene poi affrontato il tema dei LEA, i livelli essenziali di assistenza. Si tratta dell’elenco di tutte le prestazioni sanitarie che i cittadini hanno diritto di ricevere dal Sistema Sanitario Nazionale. Si tratta di un tema ostico per tutti quelli che non sono addetti ai lavori.

Introdotti per la prima volta nel 1992, sono stati aggiornati, con grande risalto mediatico, nel 2017. I nuovi LEA del 2017, sulla carta, offrivano al pubblico un’offerta di servizi completa e diversificata.

Secondo il rapporto, l’aggiornamento di tre anni fa, che ha dato la sensazione ai cittadini italiani di avere un paniere di offerta sanitaria ricco e all’avanguardia, a fronte del costante definanziamento del comparto sanità, ha prodotto effetti perversi come l’allungamento delle liste d’attesa, la fuga verso il privato e la rinuncia alle cure.

Il rapporto di 174 si conclude con un ambizioso piano di salvataggio del Sistema Sanitario Nazionale (#SalviamoSSN) con cinque punti fondamentali che vengono poi articolati in una serie di ulteriore proposte. Eccoli:

-Rilanciare il finanziamento pubblico per la sanità ed evitare continue revisioni al ribasso.

-Aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel rispetto delle loro autonomie.

-Ridisegnare il perimetro dei LEA secondo evidenze scientifiche e principi di costo-efficacia.

-Lanciare un piano nazionale per ridurre sprechi e inefficienze e reinvestire le risorse recuperate in servizi essenziali e innovazioni.

-Avviare un riordino legislativo della sanità integrativa per evitare derive consumistiche e di privatizzazione.

Questa ricerca è stata presentata nel giugno 2019. Sei mesi prima dell’esplosione dell’emergenza coronavirus. Si può affermare che sia stato in qualche modo profetico.

Per concludere bisogna riconoscere che, nonostante l’opera di costante smantellamento voluto dalla politica e dai grandi interessi privati, la sanità pubblica sta gestendo l’emergenza con grande professionalità ed abnegazione, facendo fronte a un’emergenza che sta mettendo in evidenza tutti i danni provocati negli ultimi decenni dai dogmi liberisti.

A nostro parere si parla ancora troppo poco del presente e del futuro della sanità in Italia.

Si spera che questa drammatica vicenda renda maggiormente consapevoli tutti di quanto sia fondamentale avere un sistema sanitario pubblico efficiente e all’avanguardia. E che, non succeda, come quasi sempre nel nostro paese, che una volta passata l’emergenza, tutto torna ad essere come prima come se nulla fosse successo.

Sarebbe un errore imperdonabile.


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