Fanculo la remigrazione!

Il diritto alla cittadinanza non è una questione giuridica o astratta, ma colpisce chi nasce, cresce, vive in questo paese senza averla, continuando a essere escluso strutturalmente.
Non era difficile immaginare l’esito fallimentare del referendum di giugno, che tra i quesiti presentava anche quello sulla riduzione da dieci a cinque anni di residenza storica per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Purtroppo, chi conosce la macchinosa burocrazia che, in maniera pretestuosa, rallenta e complica l’accesso alla cittadinanza anche per chi nasce qui, il 2 e 3 giugno non ha potuto votare. In pochi hanno evidenziato questo problema: è come se al referendum del 1974 per il diritto al divorzio avessero votato solo gli uomini. D’altronde la democrazia oggi mostra fratture ben più profonde della sfiducia nello strumento del voto, e, a ben guardare, la risposta della destra ai deboli sussulti della sinistra istituzionale è nuovamente muscolare nei confronti di chi non ha gli strumenti per rispondere.

Quando Salvini propone un esame di integrazione per richiedere la cittadinanza, sa benissimo che oltre ad alimentare la propaganda che ci vede estranei alle nostre città, sta decidendo di voler aggiungere un ulteriore tassello a complicare la burocrazia per l’ottenimento di ciò che dovrebbe essere un diritto. Ancora più grave è la sua proposta di revoca della cittadinanza: significa portare all’estremo l’uso della burocrazia come strumento di esclusione, sorveglianza, disciplinamento.
Dal momento che il rilascio definitivo della cittadinanza è a discrezione delle prefetture, e quindi del Ministero degli Interni, la vita di una persona che non è cittadina italiana alla nascita è già, di per sé, una vita di continuo e costante ricatto e controllo da parte del governo.

La legge sulla cittadinanza in Italia è rimasta intoccata per quasi 34 anni. Negli ultimi anni, e con particolare intensità nell’ultimo periodo, il governo Meloni e la stampa mainstream hanno lavorato costantemente per la creazione di un diverso da odiare: si tratta di figli e figlie di genitori immigrati da altri paesi; delle Seconde Generazioni, divenute bersaglio costante di narrazioni tossiche e discriminanti.
Non si tratta solo del racconto morboso, a tratti fantasioso e ridicolo, che certa stampa riserva a ciò che loro pensano sia il “maranza“; sono anche le figure politiche, povere di contenuti reali, come Silvia Sardone o Matteo Salvini, che incentrano tutta la loro ricerca di consenso nella paura del mostro-maranza.

Non mi addentrerò nella profonda islamofobia e negli insulti che, come persone che abitano questo paese e subiscono ogni giorno l’attacco costante della destra solo perché provenienti dal Maghreb e dai quartieri popolari, si ricevono quotidianamente.
Il tema realmente preoccupante è che mentre a sinistra pare ci si accontenti di un referendum fallito, e il diritto alla cittadinanza resti percepito come un problema esclusivo di chi non ce l’ha, a destra avanza l’odio alimentato dalla paura del diverso, concretizzandosi non solo nella complicazione delle procedure di regolarizzazione o nel ritiro della cittadinanza, ma soprattutto nella promozione di teorie come quella della remigrazione.

Il 17 maggio 2025 a Gallarate si è tenuto il primo Remigration Summit in Italia, un raduno europeo di gruppi dell’estrema destra che teorizzano il rimpatrio e l’espulsione di tutte le persone di origine straniera, indipendentemente dal documento che hanno in tasca.
Questa normalizzazione di discorsi apertamente suprematisti che legittimano di fatto l’idea di una deportazione di massa di chiunque non abbia la pelle chiara, è possibile oggi grazie alla scorta mediatica che ha criminalizzato una grossa parte della società italiana non per ciò che hanno (abbiamo) fatto, ma per ciò che sono.

Nei periodi più recenti, Corriere della Sera, Repubblica e altri giornali del gruppo GEDI hanno pubblicato quasi quotidianamente articoli in cui si evidenziava un “allarme maranza”, raccontando singoli casi di violenza privata come se fossero parte di un piano di un’associazione a delinquere.
“Generazione maranza a Milano, tra le bande di ragazzini che “scavallano”: la vendetta contro i “ricchi sfigati”, Corriere della Sera.
“Lago di Garda, l’assalto dei maranza e dei tuffi proibiti. Aumentano i controlli”, Corriere del Veneto.
“Dritto e Rovescio, Silvia Sardone mette all’angolo il maranza: ‘Non siete persone per bene’”, Libero quotidiano.

Si potrebbe andare avanti all’infinito, cosi come per le dichiarazioni non solo insultanti, ma anche pericolose, sempre sulla nostra pelle.
Ad esempio, poco meno di un anno fa, Vittorio Feltri (recentemente condannato) ha dichiarato alla Zanzara “Ai musulmani sparerei in bocca, non mi vergogno di considerarli razza inferiore”.
Questa retorica populista e razzista è sempre di più un mirino puntato sulle teste dei giovani di Seconda Generazione. Grazie alla propaganda razzista e a causa del silenzio complice della sinistra istituzionale, la persona di origine migrante è ormai associata, come dato di fatto, al pericolo per la sicurezza e della perdita di identità europea.

Per anni i movimenti sociali hanno contrastato questa retorica, mettendo l’accento sulla pericolosità dei decreti sicurezza, contestando i raduni neofascisti e producendo materiale di informazione alternativa. E chi lavora nel macro mondo delle richieste di permesso di soggiorno, come alcuni sindacati, molti progetti e vari sportelli negli spazi sociali, sa quanto sia incartata e complicata la procedura di regolarizzazione.
È come se per rinnovare la carta d’indentità si dovesse provare di avere un lavoro, una casa agibile, un reddito minimo annuo e una residenza ininterrotta per 10 anni. Se uno di questi requisiti non è completo, non ci può essere rinnovo e quindi si perderanno tutte le altre condizioni minime di diritto e vita dignitosa.

È questa la condizione in cui vivono milioni di persone che risiedono da anni sul territorio italiano, tra cui più di un milione di studenti iscritti nelle scuole italiane.
Il vero cambiamento partirà da chi questa ingiustizia la subisce, e la proliferazione di assemblee, libri e contenuti social che affrontano coscientemente il tema ne è una piccola dimostrazione. Mentre l’autonarrazione, la consapevolezza e la politicizzazione del malessere avanzano, la sfiducia nella politica istituzionale e nella rappresentazione dei media aumenta. Questo dato probabilmente darà spazio a nuovi protagonismi nei luoghi della politica, preferibilmente partendo dalla politica dal basso, quella dei centri sociali dove ci si sperimenta, ci si confronta e si creano progetti collettivamente. Solo con protagonismo e creando reti di alleanze si può sconfiggere il razzismo istituzionale, e solo con obiettivi chiari e concreti si può rispondere a teorie antistoriche come quella della remigrazione.

Nel frattempo abbiamo tutte e tutti una responsabilità: per ogni Remigration Summit che ci sarà nel nostro paese, dovremo rispondere come la storia dell’antifascismo militante ci ha insegnato.
Perchè, anche se ce li abbiamo al governo, sappiamo che l’Italia storicamente schifa i fascisti.

di Nassi LaRage


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