Gaza, due pesi e due misure

BBC: gli israeliani “assassinati” dai missili, i palestinesi “rimasti uccisi” in attacchi aerei.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Giovedì a Milano, alle 18.30 in piaza San Babila, Presidio “Stop Bombing Gaza”.

 

 

Da quasi una settimana piovono incessanti le bombe su Gaza.

Ieri, domenica 18 novembre 2012, un missile ha disintegrato un palazzo uccidendo ben 11 persone delle stessa famiglia.

Gli attivisti internazionali, tra cui l’italiana Rosa Schiano, hanno immediatamente documentato gli avvenimenti diffondendo in rete le foto dei corpi senza vita di quattro bimbi piccoli: dopo qualche ora la foto è stata segnalata a Facebook come “inappropriata” e il profilo di Rosa Schiano è stato bloccato.

Per fortuna esiste Twitter, e gli attivisti in loco sono molti, per cui non è certo questo episodio a far scendere il silenzio sulle atrocità commesse in questi giorni in Palestina: a questa opera di censura ci pensano già bene i media italiani.

 

La storia dell’immagine di Israele in Italia è una storia basata su strizzate d’occhio e amicizia.

Il nostro paese, come già visto in altri frangenti, non fa che piegarsi perennemente in ossequi, dichiarazioni di amicizia e di appoggio incondizionato verso una delle maggiori potenze mondiali a livello politico, economico e militare.

Non bastava Nichi Vendola, che un anno fa si tirava addosso critiche a pioggia per alcune dichiarazioni sull’esemplarità di Israele come stato “di democrazia, che ha fatto fiorire il deserto” (..senza chiedersi a quale prezzo e con l’acqua di chi).

Non bastava nemmeno Piombo Fuso, e l’attacco di Israele contro il Libano nel 2006 (dove, tra l’altro, l’Italia ha preso poi il comando della “missione di pace”), nel quale tutti i mezzi di informazione italiani (Rai Tre a parte) si sono dimostrati inadeguati sia nel raccontare ciò che stava succedendo (dando sempre poco spazio e risalto alle notizie) sia nel veicolare un’immagine “di parte” dei conflitti.

 

La “parte” è sempre stata quella di Israele, la versione è sempre stata quella dell’auto difesa: il mondo dell’informazione italiano ha sempre, di fatto, assunto come veritiere le giustificazione date da Israele nei confronti del proprio operato militare, facendole proprie.

E così, invece che mostrare i villaggi distrutti e le case in frammenti, con sotto corpi, vite e storie di migliaia di palestinesi, si è sempre dato più spazio ai danni strutturali (ridotti) subiti da qualche muro israeliano, oppure alle “scene di vita” nei bunker, sottolineando il disagio vissuto da una popolazione costretta a rifugiarvisi, omettendo che, dall’altra parte, bunker di protezione per salvarsi la vita nemmeno ci siano.

Non si è mai parlato dell’uso delle cluster bombs e delle armi chimiche (illegali) durante Piombo Fuso, testimoniate e analizzate da molteplici media internazionali , preferendo, invece, mostrare i nostri giornalisti in prima linea con i giovani soldati israeliani, magari, come nel caso di un servizio di La 7 nel 2006, mentre mangiano insieme, dandosi pacche sulle spalle con tanto di risate per “mostrare che i soldati israeliani sono solo dei bravi ragazzi”.

Durante l’attuale operazione di pulizia etnica in atto a Gaza, nessuno dei nostri media si è ancora sognato di dire che la motivazione dell’attacco è puramente elettorale, che le popolazioni (sia israeliane che palestinesi) sono vittime della propaganda politica israeliana, basata su un’idea di stato di guerra, la cui potenza militare e la supremazia bellica sono uno dei principi chiave. E che non si vedranno speranze di pace, convivenza e dunque di vita migliore per entrambi fino a quando le priorità rimarranno tali.

Quasi mai i media italiani mostrano l’opinione pubblica israeliana che si oppone al conflitto e che, seppur minoritaria, esiste e andrebbe valorizzata: anche quella delle stesse colonie a sud di Israele, minacciate dai razzi di Hamas ma comunque contrarie al conflitto (http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20121116/manip2pg/01/manip2pz/331779/)

Lo spazio e il tempo dedicato a Gaza e all’immensa tragedia che sta vivendo è infine ridotto, schiacciato dal peso delle primarie del centro sinistra, dai gossip quotidiani o dalla cronaca nera di “Chi l’ha visto”: persino i servizi di repertorio di un TG (sull’invidia: il perché di un sentimento) sembrano avere più spazio della politica estera e della guerra in corso.

 

Concludendo, è importante considerare che siamo tutti vittime della disinformazione, che, a sua volta, è una delle maggiori responsabili dei massacri di migliaia di persone (palestinesi, e non solo): sarebbe ora che la popolazione italiana decidesse di uscire dalla “bolla” in cui si trova, affacciandosi sul mondo e su ciò che succede e che ci riguarda tutti.

I modi per farlo sono molteplici: non solo cercare informazioni in rete o su media più credibili dei nostri (quelli arabi e quelli indipendenti, per primi), ma anche iniziare a pretendere che chi si fa chiamare “giornalista” nel nostro paese inizi davvero a fare il suo lavoro.

 

 

Per approfondire: http://www.globalist.it/Detail_News_Display?ID=36126

 

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