La grande bufala dell’emergenza sicurezza

Se c’è un tema che è diventato priorità assoluta nell’agenda politica dei principali partiti italiani è quello della sicurezza. Il mantra bipartisan sulle città sicure e sulla necessità di incrementare la spesa pubblica in questa materia vede d’accordo PD, 5Stelle e la coalizione di destra. Non è un caso quindi che l’ultima legge a riguardo sia stata fatta proprio da Marco Minniti, che con l’introduzione del Daspo urbano ha fatto seguire dalle parole ai fatti. A soffiare sul fuoco della paura ci hanno pensato gran parte dei media mainstream in Italia, che ogni giorno condiscono i propri notiziari, le proprie prime pagine di giornale o i propri talk show con spettacolari racconti di omicidi, furti o stupri.

Ma in italia esiste davvero un problema di ”sicurezza”? E soprattutto che cosa significa sicurezza? La sicurezza si calcola in base alla percentuale di reati commessi nel nostro paese, oppure si fonda sulla percezione che i cittadini hanno della propria condizione. La sicurezza si può misurare in maniera oggettiva oppure dipende dalla mera sensazione che un soggetta prova? Nel primo caso è semplice, basta controllare le statistiche sui principali reati violenti commessi negli ultimi anni per capire se le nostre strade sono davvero diventate così insicure. Dopo aver capito se esistono dei fondamenti statistici che provano un aumento di questo fenomeno, si potrà ragionare se la sensazione soggettiva di insicurezza che molti denunciano ha delle fondamenta reali o si tratta solamente di ”ipocondria securitaria”. Se la soluzione al malessere di un ipocondriaco non è quella di prescrivere più farmaci, è altrettanto discutibile che la soluzione all’ipocondria securitaria sia di dare corda a questa presunta condizione di insicurezza. La paranoia securitaria è un pozzo senza fondo che si autoalimenta, e a un incremento dei controlli non seguirà più sicurezza percepita ma al contrario un continuo richiamo all’ulteriore militarizzazione delle strade.

Analizzando i dati del Ministero degli Interni in merito, e partendo da un caso esemplare come quello degli omicidi e delle rapine a mano armata, ci troviamo di fronte a una realtà completamente opposta rispetto a quella che ci viene presentata in televisione. Gli omicidi in Italia sono diminuiti di circa il 75%, passando da 1.442 casi del 1992, ai 343 casi dello scorso 2017. In generale da 20 anni a questa parte stiamo vivendo una progressiva decrescita di più o meno tutti i reati. Mentre il trend delle vittime della criminalità organizzata o della microcriminalità sono letteralmente crollate, più lenta è stata la decrescita del femminicidio, che continua ad essere tra le principali cause di morte violenta sotto la voce di ”delitto passionale”. Se da un lato l’Italia è uno dei paesi in Europa con il minor numero di omicidi, continua ad essere uno dei paesi con il più alto livello di femminicidio, commessi per la maggior parte all’interno delle mura domestiche tra coniugi.

Ma se il nostro paese non è mai stato così ”sicuro” da dove deriva questa grande sensazione di insicurezza che denunciano i media e i politici? Se già i dati lasciano stupito chiunque non abbia mai approfondito la questione, l’ISTAT dà una stoccata finale mostrando l’ultima ricerca sulla percezione dell’insicurezza in Italia. “Anche sul fronte delle percezioni della popolazione emerge una situazione complessivamente positiva, si segnala una minore preoccupazione di subire una violenza sessuale, un più basso livello di degrado e una sostanziale stabilità delle persone che si sentono sicure”, E ancora; “una netta diminuzione riguarda l’indicatore sulla preoccupazione di subire una violenza sessuale: nell’arco di sei anni la preoccupazione, per sé o per qualcuno della propria famiglia, è diminuita, passando dal 42,7 per cento del 2009 al 28,7 per cento del 2016”. Insomma, approfondendo la questione sembra chiaro che sia dal punto di vista oggettivo, che da quella soggettivo della percezione quanto presente nel dibattito pubblico sia ben differente dalla realtà

Forse non è poi cosi saggio continuare a dare per scontato che l’iper-realtà mediatica sia una fedele ricostruzione del mondo che viviamo. Purtroppo realtà e audience non vanno spesso d’accordo, e una presentazione di dati seri in materia non è appetibile quanto l’usuale terrorismo psicologico fornito dal Del Debbio di turno. Per combattere l’insicurezza basterebbe fornire una visione più fedele di ciò che ci circonda, ma il vero problema è che l’insicurezza, presunta o reale che sia, fa comodo un po’ a tutti. Fa comodo ai giornalisti per avere più ascolti, fa comodo a molti politici per trovare un semplice capro espiatorio su cui puntare il dito in campagna elettorale. Ed è così facendo che nascono i mostri che affrontiamo tutti i giorni, e anche grazie a una industria mediatica che ha lasciato nel cassetto il buon vecchio rituale dell’obiettività, stiamo sempre più accettando leggi liberticide e dispositivi di controllo invasivi che rendono sempre più reale la possibilità di dover vivere in un futuro che speravamo fosse relegato alla narrativa orweliana.

Ma il problema è davvero la sicurezza? Il tema della sicurezza non viene mai posto da solo e va sempre a braccetto con le diverse forme di alterità presenti nella nostra società. Non si parla mai di sicurezza se non si parla anche di immigrazione o di soggetti emarginati. La sicurezza diventa quindi la scure con cui si possono giustificare politiche repressive e di segregazione nei confronti di chi è più esposto a fenomeni discriminatori: la povertà estrema e gli immigrati. Non è quindi più di tanto la sicurezza il problema, ma il voler trovare una scusante per giustificare tutti quei sentimenti xenofobi o classisti che oggi, almeno ufficialmente, non sarebbero più tollerati. Nel discorso securitario c’è sempre un out-group ”loro”, volto a mettere in pericolo un in-group ”noi”, italiani e ”razza bianca”, dalla celebre frase del candidato alle regionali leghista Fontana. Perciò al posto di un approccio razionale al fenomeno dei reati violenti, che vedrebbe sicuramente tra le priorità la violenza di genere e il femminicidio, troviamo invece l’ennesimo giro di vite nei confronti dei soggetti discriminati. Non a caso i due pacchetti di legge proposti da Minniti vedono come obiettivo principale l’espulsione degli immigrati irregolari dal territorio italiano e il Daspo urbano per tutti coloro che ledono al decoro delle città, in primis senza tetto e chi vive condizioni di povertà estrema.

Tornando nel mondo reale e lasciando un attimo da parte ciò che media e politici dicono, siamo comunque sicuri che più controlli e più potere repressivo abbiano come conseguenza la diminuzione della violenza nelle strade? Basta guardare al modello USA per mettere in dubbio questa visione dei fatti. Gli Stati Uniti d’America, nonostante le retoriche liberali, sono uno dei paesi con leggi più severe e dispositivi di controllo più invasivi. Raggiungendo in momenti di picco come nel 2006 una popolazione carceraria di 7.6 milioni di persone (1 americano su 32, inclusi gli arresti domiciliari). Ciononostante gli USA rimangono tra le nazioni occidentali più violente in assoluto, con città come Chicago che in un anno registrano il doppio degli omicidi che in tutta Italia. Forse più che operazioni di facciata, sarebbe più giusto chiedersi quali siano i fattori scatenanti di questi fenomeni. Negli USA in primis il culto della violenza e la segregazione degli strati di popolazione più povera. Liberalizzazione delle armi ed esclusione sociale non possono che essere tra le principali cause del fallimento del modello americano. Ma più che indagare sulle origini abbiamo sempre assistito a operazioni muscolari, a retoriche poliziesche e alla costante promessa di militarizzare le strade.

In generale in Italia possiamo dire che un allarme sicurezza non esiste e non è neanche percepito come in molti sostengono, forse sarebbe anche giunto il caso di parlare finalmente di altro, mettendo la parola fine a questo circo mediatico che non fa altro che generare mostri.

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