Lo spazio sociale
La persistenza nel paesaggio urbano.
“l’urbano, questa virtualità in cammino, questa potenzialità già in via di attuazione, costituisce un campo cieco per coloro che si attengono a una razionalità già tramontata , ed è per questo che essi rischiano di consolidare proprio ciò che si oppone alla società urbana, ciò che la nega e la distrugge nel corso stesso del processo che la crea, cioè la segregazione generalizzata, la separazione sul terreno di tutti gli elementi e gli aspetti della pratica sociale, separati gli uni dagli altri e riuniti per decisione politica all’interno di uno spazio omogeneo”
(Lefebvre, “Spazio e politica” 1974)
Questa lettura del modello urbano arriva a noi come un processo in continuo cambiamento.
Le basi teoriche delle trasformazioni urbane sono le stesse, la condizione delle interazioni sociali all’interno di questo contesto sono drammaticamente peggiorate.
Città
La spartizione economica, lo sfruttamento del territorio, la speculazione, la sussunzione delle cittadinanza attiva sono solo alcuni degli strumenti che la Milano 3.0 utilizza per proseguire la sua malcelata erosione del diritto.
La metropoli smart, esempio di innovazione e buon governo, cela sotto il vestito pulito, la strategia di disgregazione della società urbana.
Non è una banalità affermare che la frammentazione dei soggetti e l’inaccessibilità delle risorse stanno escludendo dalla dimensione urbana i gruppi, le classi e gli individui.
L’attacco a tutto ciò che non è omogeneo si intensifica giorno dopo giorno attraverso sgomberi soft (e non), l’intolleranza, l’esclusione e via discorrendo.
La nuova capitale “europea” continua a essere un ottimo laboratorio per il neo-liberismo urbanistico, a esclusivo vantaggio delle prospettive economico-finanziarie.
Oltre alla spartizione economica, una delle problematiche più rilevanti è l’impossibilità di decidere quale sarà il futuro dei territori in cui viviamo.
Ci riferiamo a infrastrutture, partecipazione attiva nella decisione e governo del territorio.
Come descritto nel paragrafo introduttivo, l’omogeneizzazione dell’urbano costruisce muri utili solo al governo politico della città.
Se a questi muri aggiungiamo la povertà, l’inaccessibilità ai servizi e la drammatica condizione del welfare, l’esclusione è garantita.
Le persone, i gruppi e le persistenze non sono immuni a tale separazione politica, di conseguenza abbiamo la necessità di re-introdurre l’aspetto della decisione nella società urbana.
In questo contesto la rilettura dello spazio sociale è un esercizio fondamentale.
Lo spazio sociale
Vogliamo intendere due tipi di spazio sociale; il primo riguarda il luogo fisico in cui ci troviamo, con l’identificazione del suo mutamento.
Il secondo parla dello spazio sociale inteso come eterogeneità dei soggetti degni che compongono la società urbana.
Entrambi i significati dovrebbero vivere e coesistere in simbiosi.
L’occupazione, l’autogestione e la contro-cultura sono alcune delle eredità che ci hanno lasciato le battaglie politiche dei nostri predecessori.
Negli anni ’80 ’90 ci fu l’esplosione dei centri sociali in tutta Italia in un crescere di esperienze che riportavano in auge l’orizzontalità e la messa in discussione del potere. Potremmo affermare che il suo culmine, per come veniva inteso, arrivò a luglio del 2001 con tutto ciò che accadde e con i suoi inevitabili strascichi causati tanto dalla repressione quanto dal duro scontro che ci fu in seno al movimento stesso. Da quel momento la forma del centro sociale e la sua funzione sono lentamente mutate.
Si è passati da luoghi riconducibili a fucina del dissenso, dove nelle assemblee dei collettivi la priorità era la pianificazione della “protesta” contro il potere, alla polivalenza che rappresentano oggi.
Giusto per esser chiari, anche oggi gli spazi sociali occupati rappresentano una sorta di “agenzia del conflitto” (Alex Foti) ma evoluti, emancipati, “rivoluzionati”.
In questo non vi è un giudizio rispetto al confronto presente-passato ma solo una considerazione oggettiva.
In seguito alla “vittoria” neo-liberista (2001) e la crisi dei bonus sub-prime (2008) molte delle conquiste fatte dalle lavoratrici e dai lavoratori negli anni tra la fine dei ’60 e metà degli anni ’80 vennero a mancare, fino a giungere ai giorni nostri, in cui si può osservare una vera ripresa della reazione rispetto alla questione dei diritti civili e dei diritti dei lavoratori. È proprio questa crisi che muta la funzione dello spazio sociale occupato.
Non più solo fucina di dissenso, ma anche e soprattutto un luogo dove ricostruire il welfare degno, un luogo dove dotarsi di nuovi strumenti per garantirsi la sopravvivenza.
Ad esempio, si moltiplicano le palestre popolari, nate dall’esigenza di autodifesa dalle aggressioni fasciste ma anche e soprattutto per imparare a intendere lo sport (in particolare le discipline da combattimento) in maniera differente ed economicamente accessibile a tutte e tutti. Negli spazi nascono le scuole di italiano per stranieri e non solo, si sviluppano le mense popolari autogestite per cercare di arginare la fame e la miseria, nascono esperienze diverse in ogni centro sociale. Il fatto che lo stato non sia in grado di garantire alcuni servizi di base e non, sommato alla crisi che di fatto toglie la possibilità economica ai cittadini e le cittadine, rende sempre più fertile il terreno della sperimentazione dell’autogestione. Dal corso di yoga alla mensa popolare tutto viene autogestito orizzontalmente, le proprie competenze vengono messe a disposizione di tutte e tutti in un contesto dove l’accrescimento collettivo è prioritario rispetto alle sole esigenze del singolo, ma dove ogni singolarità trova lo spazio per potersi esprimere e portare il proprio contributo nella società che vogliamo cambiare.
Ecco noi crediamo che il nostro spazio sociale, in questo momento, provi a fare questo.
Il nostro territorio è uno spazio urbano in cui tentiamo di costruire una comunità solidale e persistente che consideri la capacità decisionale, le pratiche antifasciste e antisessiste e la formazione di una consapevolezza ambientale come alcune delle pratiche necessarie per “auto-organizzare” il territorio, in maniera ecologicamente sostenibile, e per riprenderci il diritto di decidere.
La marginalità del nostro quartiere diventa la casa degli ultimi, ma il fiorire delle comunità trasforma il paesaggio urbano, lo riempie di passioni nuove.
In questo contesto, la persistenza* non è prerogativa unica dei centri sociali.
Lo spazio sociale quindi, non inteso come luogo fisico o sinonimo di centro sociale, è articolato e prezioso.
Chi vive nei territori, chi affronta le difficili lotte di questi ultimi tempi in cui il nemico è ben più forte e tangibile, si rende conto che la costruzione di ponti, la coalizione e l’unione con l’eterogeneità delle forze in campo è più che necessaria.
Crediamo sia possibile e necessario riconoscere il valore delle diverse esperienze che animano il dissenso senza doverci né screditare né porre su un piedistallo.
Senza avanguardismi, con tutta l’umiltà e la disponibilità che dovrebbe contraddistinguere una comunità politica giusta.
Costruiamo uno spazio sociale (luogo e territorio) come solido baluardo di giustizia sociale, senza presunzione alcuna, pronto a creare comunità, con tutto ciò che di degno vive, persiste e resiste nel nostro paesaggio urbano.
*persistenza: capacità di mantenersi fermi in un atteggiamento con caparbietà. Insistere e perseverare nel tempo. Resistere.
SPECIALE “DIBATTITO SULLA METROPOLI”
Tag:
metropoli periferie persistenza spazi sociali territori zam