Not all men. Ma la violenza di genere è un problema maschile
Not all men.
Ma la violenza di genere è un problema maschile
È davvero finito il tempo. E anche la pazienza.
È finita anche la voglia di esercitare quella cosa culturalmente tipica delle donne di provare sempre a usare le parole esatte per esprimere un concetto, un pensiero, una realtà.
E la realtà è che è vero che “non sono tutti gli uomini”, ma è anche vero che le 80 donne uccise dall’inizio dell’anno sono state tutte ammazzate da uomini.
Amici, conoscenti, ex, mariti, compagni, fidanzati, parenti. Tutti uomini.
Sì, lo sappiamo e lo abbiamo detto.
Non tutti.
Me se non sono tutti ad agire violenza machista e uccidere, perché questi pochi che “si salvano” non li vediamo incazzati a scendere in piazza e a mettersi a disposizione, alleati della lotta contro il patriarcato?
Perché non si organizzano nel transfemmimismo?
Perché la violenza di genere non è un argomento presente in ogni conversazione maschile come avviene per le donne e le persone LGBTQIAP+? E perché se ne parlano, e di solito con compagne, amiche e sorelle, ne parlano in termini giustizialisti e di mostrificazione senza sentirsi minimamente coinvolti?
Perché non si chiedono se la perenne sessualizzazione del corpo delle donne* non sia ingrediente principale della cultura dello stupro?
Perché quando vedono un loro amico o compagno agire degli abusi (non per forza di violenza fisica, sessuale) non intervengono sull’uomo violento e abusante segnalandogli il comportamento inaccettabile?
Perché non agiscono secondo la realtà per cui la violenza di genere non è un “problema da donne”, ma di tutt*?
Perché non considerano che “la violenza di genere è un problema maschile?”.
Ritornando alla cura sull’uso delle parole, sappiamo che questa definizione farà storcere il naso, ma come dicevamo, il vaso è traboccato da secoli e la rabbia cancella le mediazioni, si radicalizza il linguaggio. E non solo.
Venerdì 8 settembre in tutta Italia Non Una Di Meno ha lanciato una forte chiamata alla mobilitazione.
In tante città, da Nord a Sud, marce transfemministe hanno occupato lo spazio pubblico nelle ore serali portando la rabbia in piazza.
Non è il solito corteo di rito.
Siamo coscienti che come donne e persone LGBTQIAP+ in Italia siamo in pericolo, da Nord a Sud (no ragazzi del Nord, non siete meglio di quello del Sud).
L’Italia è un paese dove le donne e le persone LGBTQIAP+ vengono insultate, inferiorizzate, discriminate, abusate, molestate, violentate, stuprate e uccise.
La passeggiata arrabbiata di venerdì a Milano, partita dai giardini Anna Politowskaya, lo ha ribadito chiaramente.
Da una chiamata con poco preavviso non ci si aspettava che saremmo stat* 2.000.
Urla di dolore e rabbia, fischi, rumore, cori, azioni…una marea fucsia.
Ad aprire la marcia, la lettura del comunicato scritto da tutti i nodi siciliani in modo congiunto e la scrittura collettiva degli 80 nomi (e a volte delle persone uccise non si sa nemmeno il nome) di chi ha perso la vita in questa guerra contro il patriarcato.
Ha attraversato le vie della movida acritica (anch’esse luogo di violenza nella fase primaverile e pre-estiva ) tra gli sguardi de* astanti e delle persone sedute nei ristoranti e nei bar di una Milano sempre più esclusiva ed escludente. Qualche applauso, qualche segno di approvazione, qualche faccia incredula…
… Insomma non si è passat* inosservate.
Unico momento di silenzio in piazza 25 Aprile.
La lettura degli 80 nomi o assenza di nomi (donna, nome sconosciuto) delle sorelle a cui è stata tolta la vita per aver detto “No”.
E poi un’esplosione di rabbia
“Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”.
È stata un’estate tremenda, ma se ci guardiamo indietro anche quella scorsa e se guardiamo bene anche tutti gli autunni, primavere, inverni.
È sempre terribilmente dura.
La violenza degli stupri è una violenza che non si consuma solo nell’atto della costrizione sessuale.
La violenza è anche quella mediatica, dei tribunali, della vittimizzazione secondaria.
Per questo è comparsa durante la mobilitazione la scritta NO È NO all’incrocio tra Moscova è Corso Garibaldi…perché siamo stufe di essere stuprate molteplici volte…
Se ho detto No, se non ho detto SÌ,, è violenza e continuare ad affrontarla perché non vengo creduta, perché sono una “disinvolta” , perché ho il tanga o i jeans, perché sono stata palpata per un tempo troppo breve..perché perché perché…
TI RISSI NO! E se non ti piace, “levati di torno”, perché a noi “piace la notte e pure il giorno” (Dal coro “La notte ci piace, vogliamo uscire in pace! Ci piace pure il giorno, levatevi di torno!”).
La manifestazione si è conclusa al Parco Sempione, dove in questi giorni si tiene l’Abba Cup, un festival in ricordo di Abba, ragazzo ucciso nel 2008 in via Zuretti a Milano, perché nero.
Eh sì, per chi ancora non se ne fosse accort* anche le persone non bianche e non italiane sono in pericolo in Italia.
(Quando poi sei donna o persona LGBTQIAP+ non italiana, la sessualizzazione si unisce al razzismo più bieco).
Ogni 8 del mese, giorno in cui l’osservatorio di femminicidi, transcidi e puttoncidi condivide i dati, Non Una Di Meno segnerà lo spazio pubblico, luoghi di violenza, luoghi di violador, luoghi fisici e virtuali…perché la misura è colma, perché se il patriarcato diventa davvero solo un nostro problema allora come si suol dire non c’è n’è per nessuno, perché ¡ El violador eres tu! che non pensi che ti riguardi, tu che ti giri, tu che sminuisci, tu che ti crogioli dicendo che non puoi farci niente, perché sei un uomo.
Sorella, se domani sono io, se domani non torno, distruggi tutto.
Vale T
* foto in copertina da Non Una di Meno Milano
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