Riempire vuoti e come difenderli

Ri-Make sugli spazi della metropoli, le politiche di sgombero e il mutualismo.

Guardando la fotografia del cinema Maestoso oggi in piazzale Lodi si vede uno spazio ripulito, imbiancato di fresco, con le saracinesche aggiustate e tante telecamere a proteggere… il vuoto.

Perché quello spazio, occupato nel 2013 dal collettivo che si chiamerà Ri-Make (anche per quello) e sgomberato dopo un mese e mezzo perché, come disse un rappresentante della proprietà, “con la vostra occupazione illegale impedite i nostri progetti”. Quella fotografia ci pare simbolica di quanto troppo spesso avviene in questa città.

Cogliamo molto volentieri l’apertura di questo dibattito sulla metropoli e la disponibilità di Milano in Movimento per fare anche noi qualche considerazione sul tema.

Ci sembra che sia stato molto corretto partire dal cosiddetto “decreto sicurezza” e dalla circolare sugli sgomberi, perché rappresentano uno dei due corni del problema che ci troviamo di fronte, quello di una realtà e un progetto politico che vuole fare i conti definitivamente con gli spazi sociali, non certo perché illegali, ma perché spazi di aggregazione politica, alternativa solidale, conflitto sociale. Lo diciamo senza particolare enfasi, ma la dimostrazione che sia il conflitto sociale il vero avversario del governo giallobruno lo mostrano altri provvedimenti contro i blocchi stradali, il salire sui tetti e così via.

L’altro corno del problema è rappresentato da un governo della metropoli quantomeno incapace di confrontarsi con esperienze autogestite, irregolari, antagoniste. O semplicemente innovative su un piano di autonomia e non di derivazione istituzionale. Come scrivono le/i compagne/i di MiM, si tratta della “incapacità di vedere i pieni della città, problematizzando solo i vuoti “.

La giunta cittadina, e le sue propaggine metropolitana, non si è mai posta decisamente contro le esperienze antagoniste e gli spazi sociali autonomi; in alcuni casi ne ha persino lodato pubblicamente valori e alcune pratiche. Ma questo non ha portato ad alcun tentativo serio di trovare percorsi amministrativi e politici che dessero respiro a queste realtà.

In alcuni casi ha decisamente responsabilità dirette, come nel caso di sgomberi di spazi del demanio comunale, oppure nel non aver difeso spazi diventati una realtà vitale per decine di famiglie impoverite (pensiamo ad Aldo dice 26×1).

Andrea Fumagalli, nel suo intervento, mostra con dati molto interessanti quale sia il livello di povertà nella città e nella metropoli. Gli spazi sociali, in diversa misura e con progetti differenti, hanno cercato negli ultimi anni di affrontare questa povertà, sia attraverso l’organizzazione dei settori precari che attraverso esperienze mutualistiche.

Dobbiamo però ammettere che questo è ancora troppo poco, e che riappropriazione sociale, autogestione, pratiche sindacali e vertenziali dal basso e forme di mutualismo devono diventare la cifra della sempre maggiore apertura degli spazi autogestiti al territorio, ai quartieri della periferia, alle donne e agli uomini che vivono sulla loro pelle la crisi economica e sociale.

Dobbiamo mettere in campo ancora più sperimentazioni di alternative concrete, che agiscano sulle condizioni materiali dei soggetti che ne sono attori, che non si sottraggono dalle relazioni sociali, ma cercano di praticare il conflitto sociale attraverso sia la costruzione di relazioni solidali altre che attraverso lo scontro e la sfida alle istituzioni affinché affrontino le questioni da cui nascono queste realtà e quello che propongono quotidianamente.

E’ nell’essere sempre più strumenti comunitari di mutuo soccorso, di risposta dei bisogni sociali e di difesa e autodifesa di chi non ha diritti, garanzie, tutele, che gli spazi sociali di questa città possono costruire una forza materiale da mettere in campo per respingere le minacce e gli attacchi espliciti di chi vuole spazzare via queste esperienze. La sfida alle istituzioni non deve essere per noi obiettivo dell’agire, ma resta un momento importante della nostra azione politica. Non perché abbiamo soverchie illusioni sulla permeabilità di questa o altre amministrazioni, ma perché i temi che noi poniamo non crediamo siano affrontabili semplicemente attraverso un maggiore assistenzialismo, ma con una maggiore e più consapevole partecipazione.

Gli spazi di autogestione possono e devono essere esperienze esemplari che dimostrano che qui ed ora è possibile costruire, lavorare, vivere una città diversa, e su questo terreno sfidare le istituzioni pubbliche. E non vogliamo lasciare che queste stesse istituzioni possano far finta che non esistano queste esperienze o comunque possano evitare di confrontarsi con esse.

E’ per noi certo che dobbiamo fare tutto quello che è in nostro potere per difendere l’esistenza di questi spazi, non perché “nostri”, ma perché rappresentano luoghi aperti, spazi comuni nei quali sperimentare relazioni sociali sottratte al mercato e contro questo. Difenderli nella consapevolezza comune che nessuno spazio deve essere abbandonato a sé stesso, che nessuna esperienza deve trovarsi sola.

Allo stesso tempo pensiamo che queste esperienze devono darsi e raggiungere maggiori garanzie di stabilità e prospettive di sviluppo – senza sperare di vivere grazie a sostegni istituzionali o comunque esterni. Non è più possibile sopravvivere senza una politica di autofinanziamento, di produzioni e scambio che possano garantire reddito e nuove forme di lavoro cooperativo e autogestito.
Difendersi significa dunque anche scommettere e lavorare sull’effettivo sviluppo di questi spazi, di dare gambe effettive (politiche, sociali, economiche) per proseguire il cammino, e avere lo slancio per saltare gli ostacoli che vengono posti.

Costruire nella metropoli queste reti di autodifesa mutualistica, di scambio di produzioni (materiali e immateriali), di sostegno reciproco diventa il compito che ci troviamo oggi di fronte.

Questo ci potrebbe rendere più forti per affrontare il contraccolpo delle politiche reazionarie del governo giallobruno – perché non crediamo questa resistenza possa venire dall’attuale amministrazione milanese.

E questa mutuale autodifesa vedrà in prima fila il movimento femminista Non Una di Meno così come le lotte delle donne e degli uomini migranti, perché sono quelle/i che più di tutti, quotidianamente, sono obbligate/i a scontrarsi con le politiche del governo per sopravvivere nell’immediato e per conquistare una vita dignitosa prima possibile.

SPECIALE “DIBATTITO SULLA METROPOLI”

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