Stato sociale o Stato autoritario? Il futuro è cominciato

I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa. Nel mondo ci sono state, in egual numero, pestilenze e guerre; e tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati” (Albert Camus, La Peste).

Una verità senza tempo, quella di Camus, e in questi giorni di pandemia anche a noi è toccato impararla. E non mi riferisco ai governi e agli Stati, dove la questione si pone in maniera un po’ diversa, ma a noi persone, di questo e di altri paesi. Abbiamo faticato ad accettare la nuova realtà e fatichiamo ancora di più ad immaginarci un futuro diverso dal recente passato, anche se questo forse non era sempre desiderabile.

Le cose non torneranno come prima. Ormai l’abbiamo compreso praticamente tutti e tutte. Ma come sarà allora quel domani, come staranno le cose, o meglio, come potrebbero essere? A fine febbraio, ad emergenza appena iniziata, abbiamo tentato di istruire un ragionamento (vedi Il coronavirus e la società che verrà), partendo dal presupposto che, in ultima analisi, il futuro lo scriviamo noi e non il virus. Ebbene, ora siamo nel bel mezzo dell’emergenza e alcune tendenze iniziano a delinearsi in maniera più nitida, gli attori economici, politici ed istituzionali si stanno posizionando sui possibili scenari futuri e, di conseguenza, dobbiamo fare un salto di qualità nei nostri ragionamenti e nella valutazione delle opzioni.

Le tendenze sono chiare, ma sono anche contraddittorie. Per semplificare le chiamiamo qui Stato sociale e Stato autoritario e, sebbene disegnino in prospettiva opzioni politiche e sociali opposte, nella fase attuale convivono quasi naturalmente. In altre parole, siamo letteralmente immersi in una gigantesca contraddizione, i cui esiti non sono scontati.

 

Il favorito: lo Stato autoritario

Parte sicuramente favorita l’opzione dello Stato autoritario, quella del sorvegliare e punire, che concede poco ai meccanismi partecipativi e rappresentativi, per concentrare poteri e decisioni nella funzione esecutiva. Si tratta di una strada già aperta dalle politiche neoliberiste, le quali in questi anni non hanno perso occasione per ricordarci, con la forza dei fatti, che un regime sociale di forte e crescente disuguaglianza è nel tempo incompatibile con un regime politico democratico e partecipativo. E, in questo senso, la pandemia funge da semplice, ma potente, acceleratore.

In assenza di cure specifiche e di vaccini, le politiche di contenimento del Covid-19 sono necessariamente improntate al distanziamento sociale, che nei momenti più acuti coincide con la quarantena di massa. In un contesto del genere, è del tutto evidente che uno Stato fortemente centralizzato, che può applicare sofisticate strategie di sorveglianza senza preoccuparsi troppo di cose come la privacy e che, in aggiunta, non deve fare i conti con una dialettica pubblica maggioranza-opposizione e centro-periferia, risulti molto più efficiente di chiunque altro nell’organizzazione e nel governo del contenimento. Ce l’ha dimostrato la Cina, che peraltro può contare anche su una concezione della disciplina sociale qui sconosciuta, ma ce lo dimostra anche la situazione italiana ed europea, dove costruire coerenza di intervento e garantire tempi celeri sembra il più delle volte un autentico calvario. E questo a prescindere da ogni altra considerazione.

Non a caso le spinte verso uno Stato più “efficiente” sono diventate più manifeste anche dalle nostre parti: dall’ormai famoso elogio del modello cinese del Corsera alle proposte di “Costituente” post emergenza lanciate da Sala, dall’affidamento di poteri dittatoriali ad Orban, subito lodato da Salvini e Meloni, fino all’uso sempre più esteso dei sistemi di sorveglianza di massa per mezzo dell’intelligenza artificiale. Sono segnali diversi tra di loro, ma che a conti fatti contribuiscono tutti a spingere nella medesima direzione. E solo uno sciocco può pensare che, una volta terminata la fase dell’emergenza, tutto quanto svanisca spontaneamente.

 

Lo sfavorito: lo Stato sociale

Parte decisamente sfavorita, invece, l’opzione dello Stato sociale, quella che redistribuisce e mitiga le disuguaglianze, che mette al primo posto i diritti e la sicurezza sociale e che investe su salute, istruzione, previdenza e sostenibilità. Da decenni ormai, sull’onda di rapporti di forza sociali sempre più deteriorati e squilibrati, riecheggia incessantemente il mantra di un pubblico per definizione brutto, inefficiente e costoso e di un privato per definizione bello, efficiente e poco costoso. E l’egemonia di quella narrazione è stata malapena scalfita dalla recente crisi economica, dall’esplodere delle disuguaglianze sociali e dalla conclamata crisi ambientale.

Ma poi, l’impatto micidiale della pandemia ha cambiato le carte in tavolo, su questo non c’è dubbio. Tutti sono stati costretti a riscoprire l’importanza vitale dell’esistenza di un sistema sanitario pubblico funzionante e a constatare nel contempo gli effetti deleteri di anni di tagli di bilancio, di sacrificio della prevenzione e del presidio del territorio e di drenaggio di risorse pubbliche verso il business della sanità privata. Paola Pedrini, segretaria lombarda della Federazione dei medici di medicina generale, ha parlato senza mezzi termini di “Caporetto della sanità lombarda”. E figuriamoci in altre regioni, con sistemi sanitari anche molto più deboli.

Non molto diversamente si pone la questione sul piano economico e sociale, dov’è evidente che le richieste e le necessità di reddito, di ammortizzatori, di garanzia di sicurezza sui luoghi di lavoro, di limitazione delle attività produttive non essenziali, di riconversioni produttive e, infine, di strategie di fuoriuscita dalla crisi, richiedono un welfare forte e un sistema pubblico in grado di intervenire con decisione sugli interessi privati. Cioè, come hanno ribadito queste ultime settimane, più o meno l’esatto contrario dell’esistente e di quello che fino a ieri è stato predicato dal centrodestra al centrosinistra.

 

Agire nella contraddizione

Insomma, in questo preciso momento storico c’è una spontanea consapevolezza che le iniziative dei singoli e del “sistema delle imprese” non sono in grado di garantire l’interesse pubblico e la sicurezza degli individui e delle famiglie. E c’è una forte, diffusa e caotica richiesta di più pubblico e di più Stato, in tutti i sensi, dall’assistenza sanitaria al poliziotto, dalla garanzia di reddito all’esercito, dalla richiesta di solidarietà internazionale all’esaltazione della comunità nazionale. Oggi è così, ma man mano che usciremo dall’emergenza, che comunque sarà un processo lento, graduale e impegnativo, le contraddizioni, in una maniera o nell’altra, sono destinate a sciogliersi e le opzioni in campo non potranno più convivere come ora.

Non serve, tuttavia, abbandonarsi alla speculazione su come finirà, anche perché questo dipende dall’azione di molti fattori, tra cui anche da quella che riusciremo a mettere in campo noi. Serve, cioè, ragionare e agire.

Questa emergenza globale comporta molti rischi per il futuro, perché potremmo ritrovarci con un sistema più chiuso, che utilizza uno Stato più forte per governare le disuguaglianze sociali con una repressione e un controllo sociale più marcati. Ma potrebbe essere anche un’occasione per un futuro migliore, che invece rivaluti l’interesse pubblico e la solidarietà tra le persone, che anteponga il benessere e i diritti sociali agli interessi del profitto e della rendita e che, infine, colga l’opportunità di ripensare il nostro rapporto con l’ambiente.

In queste settimane molte realtà di movimento e di base si sono attivate, sul piano del mutuo soccorso, della costruzione di sportelli informativi per precari, della rivendicazione di un reddito di quarantena o della garanzia delle misure di sicurezza sui luoghi di lavoro ancora attivi. È un fatto molto positivo, perché non era scontato, perché testimonia vitalità e perché ci dice che forse abbiamo capito la posta in gioco.

Certo, di fronte all’enormità di quanto accade e alla potenza delle forze in campo, siamo poca cosa, ma ricordiamoci sempre che le contraddizioni muovono scenari, aprono spazi e possono perfino farti incontrare nuovi alleati e compagni di viaggio. Per il resto, come sempre, dipende da noi.

Luciano Muhlbauer

Milano, 2 aprile 2020

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