Ecco perché è ancora importante parlare di 25 Aprile nel 2018

Alcune parole rieccheggiano nell’aria ogni anno: “Il 25 Aprile non è una ricorrenza”, ma cosa può voler significare oggi ricordare quelle giornate di Liberazione che trasformarono il Belpaese dopo la Seconda Guerra Mondiale?
Vale la pena soffermarsi su che cosa significhi per noi, ragazzi e ragazze del nuovo millennio, Liberazione. Cosa ci può render oggi partigiani e partigiane?
I nostri nonni e le nostre nonne hanno combattuto per un’idea, preso in mano le armi, sparato, rischiato la vita. Tutti e tutte mossi da un sentimento collettivo di amore, amore per la libertà contro ogni tipo di fascismo e nazismo.
Oggi essere partigiani può assumere diversi ed eterogenei significati ma con la stessa energia vitale di chi, in quei giorni combatté per la libertà.
Liber-azione da un fascismo subdolo che possiamo ritrovare nei gesti quotidiani di chi pratica forme di odio razziale, di chi fomenta la guerra tra poveri, di chi sfrutta sul posto di lavoro, di chi gentrifica i nostri quartieri, nelle università e nelle scuole. Il fascismo di cui parliamo oggi è un fenomeno latente che si manifesta nei diversi aspetti della nostra vita. Dall’avanzata dell’onda nera di estrema-destra che sta calando sulle nostre città da anni, nessuna risposta istituzionale è servita.
I soggetti chiamati in causa siamo noi: giovani universitari, ragazzi precari, studenti delle scuole superiori, neo-laureati in cerca di lavoro, insegnanti, cassintegrati. I protagonisti del nuovo movimento di liberazione devono necessariamente dare una risposta che sia decisa e collettiva; il nostro contributo è un dovere, un obbligo verso chi, prima di noi ha fatto della lotta al fascismo la propria bandiera.
Parliamo di resistenza quando attraversiamo le strade della nostra città in difesa dell’università, urlando a squarcia gola quanto sia profondamente ingiusto e violento lo spostamento del “tempio del sapere” in una landa abbandonata e desolata figlia della speculazione e della smania del grande-evento.
Resistere vuol dire opporsi alle imposizioni dall’alto, vuol dire combattere con tutti i mezzi necessari per evitare che l’università venga distrutta, dilaniata e soggiogata alla volontà di pochi a discapito di tutti.
Resistere vuol dire organizzare un festival sulla Striscia di Gaza, rompere l’isolamento di chi da anni lotta contro la repressione di uno stato fascista che indiscriminatamente nega anche i diritti piu basilari.
Resistere vuol dire parlare, riunirsi, ascoltarsi reciprocamente, vuol dire comprendere le sofferenze dell’altro e organizzarsi collettivamente contro un’esistenza di precarietà individuale e lavorativa.
Vuol dire stare dalla parte di chi viene sottopagato per fare consegne di giorno sotto al sole, di notte, con la nebbia e la pioggia.
Resistere vuol dire portare energia e vita nei quartieri popolari con la musica, l’arte, lo sport, la solidarietà.
Resistere è contrapporsi ad un cambiamento repentino e selvaggio di una città irriconoscibile, di una metropoli plasmata dall’evento, svuotata d’identità che accelera a ritmo di gentrificazione.
Resistere è creare connessioni, da Lambrate a Barona, da Gratosoglio al Turchino, è vivere bene, insieme.
Tutti e tutte combattiamo quotidianamente le nostre battaglie e girando lo sguardo ci accorgeremmo del fatto che insieme, attraverso la solidarietà come arma si può vincere la guerra per un’esistenza dove la parola d’ordine sia dignità. Nella scuola, nell’università, nella didattica, sul lavoro, a casa, con gli amici, con il proprio compagno e la propria compagna, in macchina, in bicicletta e a piedi.
Abbiamo la responsabilità di scrivere una storia, riprendiamoci la città.
Nel 2018 come nel 1945 Milano dev’esser medaglia d’oro della Resistenza, dobbiamo guardarci le spalle l’un l’altra mentre combattiamo la nostra guerra di liberazione.

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