“Questi giorni sono per Alexis”
La prima cosiderazione che ci viene da fare è sullo Stato: in Grecia sicuramente ha fallito.
È un dato di fatto, non un’opinione. Ha fallito essenzialmente nella fiducia dei propri cittadini.
È una sensazione comune, che chiunque, chiaccherando, può confermare. E nessuno si sottrae al parlare di politica, tale è la rabbia e la frustrazione dei cittadini “comuni”. E lo si capisce dal come linguaggi, culture, esperienze politiche profondamente anti-sistema, altrove minoritari e numericamente insignificanti, qui non solo prosperino, ma siano parte massiccia, probabilmente la più combattiva e variegata, dell’opposizione sociale. Lo si capisce anche da come il perimetro circoscritto dalla legalità oramai sia un colabrodo. sono cronaca quotidiana le notizie di espropri organizzati e pubblicamente rivendicati di supermercati, la crescita del rifiuto di pagare mezzi pubblici, musei, cinema, partite allo stadio..
Il movimento delle occupazioni.
L’autogestione popolare di spazi pubblici, del mutuo soccorso.
La sottrazione al controllo dello stato di quartieri, vie, piazze.
Il livello dello scontro di piazza.
Il conflitto sociale.
L’anarchia.
Vogliamo vederla da vicino.
Nel conoscere una città ci si può approcciare in molti modi, attraverso una lente d’ingrandimento, una chiave d’accesso, un punto d’osservazione.
A noi è capitato, grazie ad amicizie personali, di attraversare atene in compagnia di alcuni tifosi dell’AEK. Gente di stadio, con cui l’affinità passa per una maniera di vedere le cose non filtrata da troppe sovrastrutture politiche.
Gente onesta, diretta, immediata. Fuorilegge.
Gente intrinsecamente legata al quartiere simbolo della rivolta anarchica, quella sorta di Tortuga degli indomiti che è Exarchia. Un gomitolo di strade innervate da saperi, esperienze e culture antiautoritarie.
È grazie a loro che conosciamo molti compagni, militanti di generazioni diverse, che raccontano come tutto è precipitato in seguito a quel 6 dicembre di tre anni fa. dal bassista di un gruppo punk che per primo ha cercato di prestare soccorso ad Alexis, ognuno racconta il suo momento. A tutti si illuminano ancora gli occhi nel pensare a quella settimana di fuoco, a quei giorni fuori controllo. In quei giorni un popolo si è sollevato, alla ventata di freschezza che ha scosso un paese che sembrava assopito.
Poi però le storie si intrecciano con la tragedia quotidiana di un paese dilaniato dalla macelleria sociale imposta dalla trojka. E le biografie si fanno cupe, il lavoro che manca, i soldi che non ci sono. Ogni persona incontrata in questi giorni porta ad esempio il proprio vissuto, i propri amici, la propria famiglia.
La rabbia furiosa per questa situazione dona a tutte le persone che abbiamo incontrato, non solo i militanti, la lucidità per costruire discorsi chiari, eliminare i fronzoli, individuare i nemici e farne i nomi. Quasi come se il lessico della rivoluzione fosse diventato lingua comune.
I nostri amici ci accompagnano per le strade del quartiere con l’ospitalità degna di un’antica fratellanza. Si muovono come pesci nel mare. Taverne, caffè, centri sociali, clubs, facoltà occupate. Un magma tumultuante e complesso, non semplice da afferrare. I rapporti tra le varie anime del quartiere, il politecnico, l’eroina e la polizia. Quest’ultima, assente e minoritaria dopo il 6 dicembre 2008, ora ritorna a farsi viva.
Ci raccontano che la disoccupazione dilagante e le ingenti risorse investite nel corpo di polizia portano molti ragazzi giovanissimi dei paesi a diventare celerini, a diventare MAT. Tutti i soldi sono per la polizia e a noi torna in mente un ritornello italiano “La disoccupazione, ti ha dato un bel mestiere…”.
Il livello di conflitto è elevatissimo comunque, piazza Syntagma (la piazza davanti al Parlamento) ne porta tutti i segni: gli angoli di marmo divelti per ottenere pietre da lanciare, le rampe con le macchie nere delle molotov, la polizia sempre schierata davanti.
Qui ogni corteo ingaggia battaglia davanti al parlamento, ogni corteo vuole entrare.
Il 6 dicembre la rabbia è tanta, si vede, si sente anche senza capire le parole dei cori, si avverte nell’aria.
La rabbia per un ragazzo di 15 anni freddato da un poliziotto. La polizia reagisce ad ogni colpo e insegue il corteo fino alle “porte” di Exarchia, qua la battaglia è per il quartiere di Alexis. Strada per strada, piazza per piazza nuclei di ragazzi rispondono alle cariche con sassi e molotov, cercando di difendere quello che ad Atene è il quartiere simbolo della rivolta.
A pagarne il prezzo purtroppo è lo stesso quartiere che subisce danni continui per le devastazioni. Ogni marciapiede, scalino, semaforo, diventa arma da lancio. Lasciando il giorno successivo un surreale panorama fatto di selciati smembrati, vetri sfondati e nubi nere su muri e strade.
Non tutto, ovviamente, sembra il paradiso dei teppisti rivoluzionari. E questo livello di conflittualità porta con sé contraddizioni difficili da interpretare in un periodo così breve, ma che riecheggiano tra le pieghe dei racconti.
E le domande sul domani, su cosa succederà, rimangono aperte.
Nel frattempo rispondiamo alle curiosità sull’Italia, sentita come molto vicina, sul nuovo governo Monti e riceviamo le pacche sulle spalle dai nostri amici greci che con un sorriso amaro ci danno un consiglio: guardatevi attorno e cominciate a farci l’abitudine.
Tag:
6 dicembre alexis Exarchia grecia riot