“Ragà se ci venissero a sgomberare glielo faremo sudare questo posto…”

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Fine Marzo, fine assemblea di Zam.
E’ tardi, F. si propone di riaccompagnarmi a casa in motorino, ma in realtà lo so, vuole trovare un momento per parlare da soli, sente che c’è qualcosa che mi inquieta.
Sotto casa mia ci sediamo sul marciapiede e parliamo per un’ora dei miei problemi di cuore.
Poi scende il silenzio, e mi sento piccolissima mentre guardandomi mi dice: “Sa che c’è? Ci sono problemi molto più grandi di un bacio dato alla persona sbagliata”.
Lo so, penso. Ma non rispondo perché sono in attesa.
“Zam è sotto sgombero” mi dice senza guardarmi negli occhi ma fissando lo sguardo sulle sue mani.
Istintivamente gli dico: “No” come se dovessi rispondere ad una domanda.
Poi capiamo che non c’è niente da dire.
Salgo a casa e leggo tutta la notte “L’insurrezione che viene”.

Quando penso al periodo di Zam in via Olgiati 12 mi passano per la mente immagini veloci.
Immagini mute perché qualsiasi parola o frase era troppo scontata, non mi interessava, avevo solo voglia di fare!
Eravamo tristi, ci sentivamo un po’ impotenti, ci abbracciavamo di più e chi era più sensibile ogni tanto faceva cadere qualche lacrima.
Non negherò che ho pianto anche io.
Poi abbiamo iniziato a portar via le cose di valore dal posto ed è scattato qualcosa nel cervello di tutti.
Seduta sul palco nella sala di sotto il giorno in cui doveva essere smontato ho sorriso.
Ed ho sorriso davvero cazzo!
Ci vogliono sgomberare? Bene, qualche mese prima – ancora prima di sapere tutto – eravamo in cinque persone intorno a un computer a guardare su Youtube lo sgombero del Kukutza, un centro sociale di Bilbao.
“Ragà”, fece S. “Se ci venissero a sgomberare glielo faremo sudare questo posto”.
Escono piani malati, idee nuove per difendere il posto, nasce la campagna STAY ZAM, si recuperano robe per le barricate…
Altre immagini senza voci fino alla notte dello sgombero.

Zam è pieno, tutti fanno qualcosa.
Nella via qualcuno allontana a spinta le macchine parcheggiate.
Il rumore del martello che batte o del flessibile riecheggiano costantemente nel posto.
Si sentono diversi accenti. Scendendo le scale che portano al Disagio sento un “Dio can” che mi fa sorridere.
Nel corso della notte, durante la costruzione delle barricate fuori da Zam, sono successe una serie di cose che lì per l’ non mi sono goduta, talmente tanto ero concentrata su me stessa.
Come ad esempio il mini-corteo di evangelisti che è passato esattamente di fianco a via Olgiati mentre improvvisavamo una partita a calcio alle due di notte e che si è preso i peggiori porconi mai sentiti, prima che gli insulti si trasferissero al cretino – chissà chi era – che ha fatto finire la palla oltre il cancello del palazzone di fronte; o le canne fumate di nascosto in bagno come se fossimo alle medie, dopo che alcune compagne avevano ammonito in assemblea chiunque avesse tentato di fare uso di sostanze o avesse provato a bere una birra; o ancora, i feriti che più la notte si faceva giorno, più aumentavano a causa della stanchezza: dita martellate, assi di legno sui piedi…
E nel mentre si faceva avanti e indietro, si sprayavano i ragni sui k-way rossi, si portava fuori tutto ciò che potesse servire per le barricate, si dormiva mezz’oretta, si ripartiva ed ecco arrivare il giorno…

gnj7922Qualcuno aveva ripescato la palla e la partita è ripresa tra due barricate che sono bellissime: alte, resistenti, coreografiche anche.
Qualcuno dorme per terra o forse no. Non si vedono le facce, le maschere di Spider-man sono già calate sugli occhi.
Io sono seduta sulla barricata, ho sonno, sono arrabbiata.
Osservo i miei compagni e li sento tutti vicini perché ridono. Solo per questo.
Davanti a me posso guardare chi parteciperà alla resistenza passiva, che col proprio corpo cercherà di fermare il più possibile la Polizia.
Mi fisso su di loro: qualcuno è seduto per terra e chiacchiera, qualcuno fa yoga, qualcuno ci porta brioches, caffè e sigarette…

Poi, all’improvviso, si alzano tutti.
Ci avvisano che arrivano.
Noi, oltre le barricate non riusciamo a vederli, gli stronzi, ma l’urlo liberatorio di chi ci riesce arriva fino a noi e ci carica di adrenalina.
Liberatorio. Sì.
Finalmente arrivano.
E’ arrivato il momento.

316255_141364349388554_294654181_nIl capo della Digos svolta l’angolo e tutti concordano nel dire che il suo sguardo esprime stupore, sorpresa ed incredulità.
E l’ho visto anche io fissare le barricate, fissare noi, fissare chi continuava a fare yoga come se quelle camionette fossero lì per caso.
E poi, la prima persona che viene trascinata via, i celerini che si buttano sugli studenti incordonati per terra, la Digos che ci prova con le buone e che capisce che le parole se le può mettere nel culo.
Noi mascherati osserviamo in silenzio oltre la barricata.
Poi, giusto perché si è sempre seri, ma non troppo, mentre guardiamo la scena degli studenti trascinati via a forza, vediamo K., un nostro compagno abbastanza impostato che facendo finta di niente cammina tra il delirio di corpi e quando viene avvistato dalla Digos si ferma, li guarda e si butta per terra!
M. di fianco a noi, ci guarda e ridendo dice: “Bene ragazzi, si è buttato a terra K., possiamo stare tranquilli per almeno mezz’ora!”. E tutti a ridere. Ma con un lavoro di squadra riescono a spostarlo di peso e proseguono con gli altri.
Non saprei dire quanto è durato il tutto, io avevo talmente tanta adrenalina in corpo che tremavo, sudavo sotto la maschera, sotto il k-way rosso, le mani piene di roba.
Poi, dal nulla, vedo avvicinarsi una gigantesca ruspa blu.
Tocca a noi mascherati, insomma…

8788209896_944794879b_bAl segnale opportuno è iniziato a volare di tutto: videocassette porno, cd, birre, bottiglie con la vernice.
La ruspa si tinge di rosa mentre prova a buttare giù la barricata che resiste.
Una, due e forse anche tre volte.
Poi, il fuoco divampa sul parabrezza del mezzo.
Qualcuno, dietro di me urla un: “Brucia, merda, brucia!”.
Io mi strappo via la maschera e provo ad andare avanti mentre invece era giunto il segnale di darcela a gambe visto che avevamo i celerini anche in fondo alla via ed eravamo bloccati.
Meglio muoversi insomma.
Invece io vado avanti, non saprei dire precisamente perché, cerco altro da lanciare (la barricata era ancora in piedi…più o meno) , sorrido nel vedere che la seconda barricata, con un fuoco scoppiettante e poi…qualcuno mi prende dal braccio, mi stringe forte prima di tirarmi indietro e darmi un’ulteriore spinta.
E’ G. che mi insulta.
Mi sta chiedendo di allontanarmi da via Olgiati.
E non voglio. Ma devo.

1186804_571589869574641_1373225801_nNon mi dilungherò sulla lunghissima fuga e su quel che abbiam fatto dopo, ma voglio ricordare un altro aneddoto divertente.
Mentre io e G. raggiungiamo gli altri, li troviamo ammassati davanti al cancello del parco da cui avremmo dovuto passare per allontanarci da via Olgiati.
Il cancello era chiuso…
Senza pensarci oltre iniziamo a scavalcarlo (2-3 metri di cancello), io ci provo dal muretto e penso che ancora una volta mi abbia aiutato l’adrenalina.
Ma avevo un pensiero fisso: temevo che D., un altro nostro compagno molto impostato fisicamente, non riuscisse a scavalcare il cancello.
Così, dopo essermi buttata tra i cespugli per attutire la caduta, lo cerco nel gruppo di chi era già dentro al parco. Eravamo ancora tutti mascherati naturalmente, ma riuscivo a riconoscere i miei compagni anche solo dai gesti e dalla camminata.
E ho visto D. nell’istante in cui atterrava nel parco bestemmiando prima di spolverarsi i jeans che tanto erano sporchi di vernice…
Da lì è partita la nostra corsa. Per fortuna che un ragazzo indiano che vendeva i fiori ci ha indicato l’uscita…
Chissà che cosa ha pensato lui e chi ci ha visti in gruppo, tutti rossi, mascherati da Spieder-man…

Grazie Zam 2.0 per avermi scaldato il cuore in quei 2 anni, come fuoco sulle barricate.

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