23 Febbraio 1986 – L’omicidio di Luca Rossi

 

luca2Il 23 Febbraio 1986 viene ucciso dalla Polizia a Milano Luca Rossi. Pubblichiamo qui sotto un testo tratto da http://www.ecn.org/lucarossi/ relativo a quella tragica vicenda ed al clima di ormai quasi 30 anni fa nella “Milano da bere” del rampantismo craxiano o nella “Milano da pere” delle periferie annegate nell’eroina:

Umberto Gay, Radio Popolare –  “Buon giorno ai nostri ascoltatori, le 7 e 2 minuti, le notizie in breve di Radio Popolare. Abbiamo appreso poco fa che un ragazzo è stato ucciso questa notte da un poliziotto in borghese. Si chiamava Luca Rossi, aveva vent’anni ed era militante di DP. Le notizie sono ora confuse, vi daremo maggiori particolari nei prossimi notiziari”.

E’ toccato a me e ancora oggi, a mesi di distanza, ricordo minuto per minuto l’accavallarsi dei fatti, delle notizie, delle ricostruzioni di quel lunedì mattina 24 febbraio. Pochi istanti prima di entrare in studio aveva chiamato Sergio, un amico di Luca. Avevo tentato di farmi richiamare dopo le notizie: ma lui, di solito così conciliante, aveva usato un tono duro nel dirmi: “E’ successo un fatto grave, hanno ucciso un compagno”. Subito dopo il notiziario in breve aveva chiamato Vittorio: altri particolari, il numero di telefono di casa Rossi, dove c’era Dario che era insieme a Luca al momento della sparatoria.

Intanto c’era il giornale radio da preparare. Ero agitato, scosso: ma in grado di continuare a lavorare. Non sapevo ancora di conoscere Luca. Lo avevo visto solo due giorni prima, mi aveva salutato con il suo sorriso un po’ speciale.
Chiamo Dario, mi descrive quello che è accaduto come se stesse raccontando un film; singhiozza, quando ricorda le ultime parole di Luca: “Aiutami Dario, aiutami”. Poi al telefono Adele, la mamma di Luca, fra le lacrime: “Me l’hanno ucciso, hanno ucciso Luca. E stata la Polizia… cara Radio Popolare”. Cara Radio Popolare, perché era quella di Luca, dov’era venuto tante volte, e a quel punto la voglia di piangere non era più solo da un capo del filo. Poco dopo arriva Vittorio. Al registratore parla più veloce del solito, lucidissimo nonostante la notte passata al capezzale di Luca. Riesce a comporre un perfetto quadro clinico che spiega cos’è successo, di come è morto Luca. Lo conosco da anni, Vittorio, quella mattina ho capito che sarà un buon medico.

Alle 8.30 gli ascoltatori di Radio Popolare sanno già tutto: chi era il ragazzo ucciso, come è potuto capitare, il dolore degli amici e dei familiari, la tragica inutilità di quel proiettile. Subito le telefonate, tante, a decine: per chiedere altri particolari, per sapere se c’è in programma una manifestazione, delle assemblee. La conferenza stampa in Questura fornisce solo la versione del poliziotto omicida (anonima, naturalmente. Vuoi mai che qualcuno gli possa fare qualche brutto scherzo…).

Le manifestazioni dei giorni seguenti, le trasmissioni serali a RP con Daniela, la sorella di Luca, gli amici, le conferenze stampa di denuncia di DP.
Una settimana terribile, un’emotività fortissima per tutta la città, il viso di Luca che guardava da mille muri, una settimana che si conclude con i funerali. Tanta gente, tanti fiori, tante lacrime. C’era anche tanta neve, ma solo in pochi sapevano che Luca sarebbe stato felicissimo di tutta quella roba bianca che scendeva dal cielo.

I quotidiani, i media in genere, parlano tanto di Luca Rossi. Anche i fogli meno sensibili e lontani dai problemi di Milano e dei giovani milanesi riescono solo in parte a manovrare l’episodio. La risposta degli studenti, la figura di Luca, le modalità dell’accaduto, le palesi responsabilità del poliziotto vengono riportate con discreta correttezza. Certo: a molti giornalisti non par vero di potersi un po’ sfogare quando un vetro della Prefettura viene rotto durante un corteo, ferendo una ragazza; così come in Questura i giornalisti della sala stampa, non tutti comunque, lavorano alla ricerca di una possibile giustificazione al gesto dell’agente della Digos che aveva sparato. Di Luca, si è parlato tanto, anche abbastanza bene.

Faceva notizia per tanti motivi. “Luca deve essere l’ultimo” aveva detto la mamma ai funerali. Non è stato così, ed era prevedibile. Quasi un mese dopo è stato ucciso dalla Polizia Agrippino Parolisi, ladruncolo perché tossicodipendente, e i giornali ne hanno scritto per un paio di giorni. Due mesi dopo un ragazzo arrestato nei pressi di Linate è volato giù dall’auto in corsa della Polizia lungo il Viale Forlanini sfracellandosi le gambe: sui giornali la notizia non viene riportata.

Ogni giorno a Milano, ma nell’hinterland e in provincia è ancora peggio, i giovani fanno le spese di una politica di ordine pubblico tesa unicamente a salvaguardare la superficie, a proteggere il grande/luminoso/ricco centro della metropoli da chi è giudicato diverso, da chi non è controllabile, da chi può infastidire il cittadino che scrive ai giornali o alle autorità per lamentarsi del chiasso, del tossicomane che scippa per sopravvivere, delle puttane e dei sexy-shop. Stampa e autorità, lavorano di concerto e si condizionano a vicenda creando nuovi mostri, continui pericoli sociali ed emergenze.

Così di volta in volta, “wanted” diventa il punk con la cresta colorata e vestito di nero, il tossicodipendente che anche l’ultimo poliziotto sa che ruba per estremo bisogno, il gruppo di “randa” adolescenti del quartiere dormitorio che in mancanza d’altro sfascia la cabina della SIP. Un elenco che potrebbe durare a lungo con un comune denominatore: i figli stessi della metropoli, certo i meno protetti e garantiti, criminalizzati e “usati” per mantenere ad un determinato livello il clima di tensione nella città. Accade così che persino un quotidiano come “La Repubblica” nelle sue pagine milanesi abbracci la logica dell’allarme spesso, fra l’altro, scadendo in ovvietà come quella volta in cui scoprì che l’ambiente della Stazione Centrale era particolarmente ostico.

D’altronde i giornali devono vendere e così lanciarsi sui titoli scandalistici e grandguignoleschi oppure sulle inchieste fatte sempre e solo con l’occhio di chi le spalle ce l’ha ben coperte, diventa obbligatorio e complice.
Certo è proprio complicità. Complicità con le forze dell’ordine che storicamente hanno ruolo di repressione e solo raramente di prevenzione. La soluzione dei problemi, le riforme, le attività preventive spettano ad altri, non certo al celerino di leva o all’agente della volante indurito da anni e anni di turni faticosi e rischiosi.

Detto questo, pero, c’è modo e modo di amministrare l’ordine pubblico. Ogni giorno a Milano e nell’hinterland si ripetono fatti sconcertanti che, al di là dei sorrisi e delle promesse, mostrano il volto di una Polizia (ma i CC non sono problema da poco dato che il loro operato è ancora meno verificabile) che sta acquisendo sempre più una mentalità da grande metropoli made in USA: si fa quel che si può sul grande crimine e ci si muove al limite della stessa legge per quanto riguarda la piccola delinquenza e i piccoli reati. Così può succedere di essere fermati davanti ad un bar, oppure per una piccola infrazione di guida, malmenati e ingiuriati e solo alla fine gli aggressori si qualificano. Oppure si spara anche quando è chiaro che chi sta fuggendo è un piccolo pesciolino.

E’ una cultura generale che si diffonde sempre più soprattutto sulle giovani leve. Persino i vigili urbani non ne sono immuni. La figura del vecchio ghisa tende a scomparire per far posto a comportamenti autoritari, violenti, poco inclini al rapporto con il cittadino, coperti e obbligati a muoversi in certo modo dalla qualifica di pubblico ufficiale.

Intanto a Milano ogni giorno entrano, escono, vengono consumati decine di chili di droga pesante; le bische, quelle all’aperto e quelle al chiuso, funzionano quotidianamente; i racket taglieggiano e le banche custodiscono forzieri zeppi di capitali mafiosi. Qui è stridente la contraddizione. Per i giovani, invece, c’è sempre la possibilità di organizzare una bella retata o qualche posto di blocco che li dissuada dall’idea del gironzolare più del necessario. Poi, ogni tanto, ci scappa il morto. Sono cose che possono accadere. L’hanno anche detto, in fondo: “La morte di Luca Rossi è stata una tragica fatalità”.

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