I Moti turchi e l’immobilismo italiano

turkSe ne dicono tante sulla spinta rivoluzionaria nata in seno alla volontà di difendere quello che prima era “solo” un polmone della città e oggi è diventato simbolo di una battaglia all’ultimo respiro.

Turchia. Terra tra i Balcani e l’Asia, tra il liberismo sfrenato di un Europa di cui vuole far parte ma da cui continua ad essere rifiutata, e i sapori di una religione antica e fiera, un ponte che arriva in Medioriente e nord Africa.

In Turchia dilaga la lotta mentre Stati Uniti e Russia si confrontano in un contrasto che ha il sapore della Guerra Fredda nel giudizio sulla guerra civile in Siria e mentre in Iran un candidato “moderato” stravince le elezioni presidenziali, ma non mette in alcun modo in discussione la scelta nucleare.

Oggi una parte della Turchia ha trovato un filo comune. Un minimo comun denominatore verso cui moltissimi tendono: difesa dell’ambiente, no al mercato libero ad ogni costo e al sacrificio del vivere bene in nome del capitale e del reimpiego dello stesso attraverso manovre che vanno a nuocere la vivibilità del paese, no all’islamizzazione di uno stato ma sì al processo di secolarizzazione intrapreso nei periodi precedenti…

ùIn queste ore la popolazione di Gezi, e di tutti i quartieri intorno in cui continuano le lotte e gli scontri, di Smirne, di Izmir, di Ankara e di gran parte della Turchia sta resistendo e lo sta facendo con tutti gli strumenti e le forze a disposizione.

Il governo Erdogan, che ieri ha radunato una folla gigantesca di sostenitori da contrapporre ai ragazzi di Taksim, rispolvera l’antica “tradizione” turca del pugno di ferro.

Come dimenticare la celebre pellicola “Fuga di mezzanotte”, ma anche i tre colpi di stato militari, i Lupi Grigi, la durissima repressione contro i Curdi e così via. Gas lacrimogeni, idranti urticanti, spy urticante in faccia ai fermati, botte, arresti indiscriminati tra avvocati, medici, giornalisti… Queste persone hanno subito ben oltre quanto noi siamo abituati a sopportare, livelli di conflitto altissimi, violenza, umiliazioni … ma chi può persevera e lo fa a testa alta.

Non ci convincono gli ipocriti appelli umanitari di paesi cone gli Stati Uniti e la Germania, nazioni abituate a reprimere il dissenso in modo altrettanto fermo (feroci i primi, scientifici i secondi).

In questi giorni, stando in Italia e seguendo con fervore i compagni italiani ma non solo che si sono recati laggiù, sono frequenti i discorsi in cui viene paragonata la situazione italiana a quella turca e la reazione è quasi sempre la stessa..cosa manca a noi? Cosa manca a noi per avere quel moti di forza, coraggio, entusiasmo e adrenalina per mettere sul piatto della bilancia il nostro futuro contro la rapina legalizzata che l’austerity ha messo in atto, contro i soprusi ambientali, speculativi e di corruzione di cui si macchiano tutte le grandi opere del nostro paese, contro una scuola pubblica ed una sanità sempre meno garantite? Lo sapete che Emergency sta aprendo sul territorio italiano ambulatori per chi non può permettersi di sostenere anche un semplice ticket? Alcuni rispondono che in Italia ci sono troppe differenze di necessità … che le battaglie sono diverse… Vero. Ma anche in Turchia noi vediamo una piazza eterogenea, forse troppo eterogenea.

Ma partiti, Curdi, anarchici musulmani, anarchici atei, studenti, famiglie, comunisti, ultras, giovano non dediti alla politica, medici, avvocati … Sono tutti in piazza e si muovono tutti nella stessa direzione: dimissioni per un governo che non sta tutelando gli interessi del popolo.

In Italia manca la lucidità per vedere il filo comune. In Italia si aspetta la progressiva perdita di diritti e reddito per tutti. In Italia l’orticello che coltiva il singolo è più prezioso di quello che potrà capitare, che sta già capitando. In Italia i più maturi credono che siano solo i giovani a doversi muovere, come se ci fosse un mandato per chi ha massimo 40 anni. In Italia ci perdiamo a parlare di escort e guardiamo storcendo il naso che si sporca le mani per cambiare la realtà. In Italia condanniamo chiunque si copra il volto per salvare il paese. Il fatto è che quello che accade in Turchia, da noi accade da un pezzo. E finchè il paese non si renderà conto che parlare di Tav, di Tem di Grandi Navi o di Expo non significa solo salvare delle comunità singole, ma andare contro ad un sistema di corruzione e collusione con le mafie, modello di tutto quello che si fa in questo paese, finché non si ammetterà che non siamo un paese ancora secolarizzato e che bene o male il cattolicesimo ha un grosso potere sulle decisioni di vita civile, finchè non si vedrà che il disagio sociale provocato dall’assenza di lavoro, di condizioni decenti di lavoro e di dignità sul lavoro, finchè finchè… Non fermeremo questo processo di progressivo degrado e vuoto sociale, civile, culturale e, nel lungo periodo, economico.

Un compagno tornato dalla Turchia mi ha detto che un resistente gli ha insegnato: “nella Rivoluzione, per vincere bisogna essere disposti a tutto, anche a morire”.

Guardando l’Italia, quello che possiamo dire è… “Per cambiare qualcosa devi essere disposto a tutto, inizia da alzarti dal divano.”

Aggiornamenti: http://gezipark.nadir.org/index_ita.html Documentario sulla cementificazione di Istanbul: http://www.youtube.com/watch?v=maEcPKBXV0M

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