PROFUGHI, CITTADINI DI UN’EUROPA CHE VERRA’..FORSE

-1

Rifugiati politici di via Lecco, 23 aprile 2009 – foto di Maurizio Sartori

Si sta consumando a Milano il terzo atto di una tragedia annunciata dalle oltre 300 vittime che da ottobre nessuno sa dove piangere. I tristi protagonisti sono le istituzioni italiane, l’Unione europea, le istituzioni eritree, le Nazioni Unite e un popolo che da più di trent’anni vive oltre i confini di un’unica nazione e che si appella invano allo stato di diritto e ai principi costitutivi delle democrazie più evolute, primo tra tutti il diritto ad una vita degna di essere vissuta.

Ed è proprio mossi da questo principio che i profughi eritrei dopo aver attraversato il deserto e il mare, risalgono lo stivale per partire da Milano alla volta del nord Europa. Dati resi noti dal Comune raccontano di oltre 14 mila profughi, di cui solo 35 hanno chiesto asilo nel Belpaese e, mentre nessuno si chiede perché l’Italia abbia smesso di essere attrattiva persino per chi rischia la vita pur di lasciare il proprio paese, una sottile campagna di comunicazione comincia ad operare nelle coscienze meneghine una feroce distinzione tra chi è più o meno meritevole di accoglienza. Tra chi, in attesa di una qualche forma di solidarietà, preferisce furbescamente dormire all’agghiaccio e chi, mite e ragionevole, cerca riparo nell’atrio della stazione centrale della Città.

I profughi eritrei sono giovani, per la gran parte uomini e molti sono minori. Viaggiano mediamente sei mesi prima di raggiungere le coste del nord Africa dove in genere vengono bloccati e rimangono in condizioni prossime alla miseria anche per due anni, vittime di soprusi, violenze e raggiri. E’ comunque durante tutto il viaggio che il loro destino è incerto. Viaggiano soli o in piccoli gruppi, lasciando un paese che, pur incantevole, a causa di uno stato di guerra permanente (dura dal 1998) li ha educati all’arbitrarietà delle scelte e al sospetto, provengono da famiglie povere e per lo più parlano spesso un’unica lingua, comune ai soli eritrei. Queste sono le condizioni che li condannano ad un’estrema vulnerabilità, e queste sono le ragioni che li portano a Milano a concentrarsi in un quartiere, il Lazzaretto, e ad essere una presenza tangibile in quel pezzo di Città in cui la presenza degli eritrei è radicata nel tempo e ha contribuito negli anni a rivitalizzare il quartiere.

Ora. A Milano il paragone è presto fatto ed è quello con i profughi siriani che si concentrano negli spazi chiusi della stazione centrale e stanno fuggendo in massa da una guerra fatta di bombe e massacri, le cui armi chimiche hanno solcato quello stesso mare in cui annegano da anni uomini, donne e bambini.

Perché? Quale necessità rivela questo paragone?

Me lo domando da giorni leggendo soprattutto le pagine milanesi del Corriere della sera che spesso ospita interventi di esponenti della giunta comunale proprio in merito alle due questioni: profughi sirianie profughi eritrei.

Sono giunta alla conclusione che si tratti di un problema di falsa coscienza legata ad un modo discrezionale di vivere il diritto. Mi tornano , infatti, alla mente le domande di un giornalista della rai che nel ‘98 , in occasione dell’annuale celebrazione dell’indipendenza eritrea, chiedeva ragione del perché non venissero mostrate le immagini della guerra, mentre tutti i presenti (quasi tutti eritrei) chiedevano conto del fatto che nessun giornalista parlasse delle violazioni del diritto internazionale di cui la guerra era diretta conseguenza. E oggi con amarezza non posso che pensare anche alla Palestina.

Le responsabilità storiche di rapporti internazionali costruiti sulla dominazione e lo sfruttamento delle risorse naturali e umane dei paesi emergenti e dell’Africa soprattutto e ancora, sembrano non fare capolino neanche nell’orizzonte politico di chi vorrebbe condurre al cambiamento Milano, l’Italia e l’Europa intera. Tutto sembra ridursi al qui e adesso, e l’accoglienza diventa una mera questione di decoro e di ordine pubblico.

Ebbene, io credo che l’economia delle guerre, in qualsiasi forma si manifestino, stia dettando regole nuove e stia costruendo politiche che fanno delle armi e della violenza repressiva il principale strumento di azione contro l’espressione dei bisogni della stragrande maggioranza delle persone dei paesi emergenti, come di quelli a capitalismo avanzato.

In materia d’immigrazione la legge Bossi-Fini, l’Operazione Cirene, Mare Nostrum e la creazione dell’agenzia europea Frontex ne sono validi esempi.

L’immigrazione non è un’emergenza, né tanto meno l’emergenza , è un fenomeno che accompagna da sempre la storia dell’uomo e che anche Milano ha già conosciuto in forme diverse ed egualmente massive. Oggi però la Città non cresce, molti degli ex stabilimenti industriali e dei palazzi sono abbandonati all’incuria e nessuno sa dove ospitare chi nell’arco dei prossimi dieci anni sarà un altro cittadino europeo.

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *