Imparare a resistere: il valore formativo di uno spazio sociale studentesco

La Rete Studenti Milano, partendo da una riflessione sul progressivo svuotamento della capacità formativa del mondo dell’istruzione pubblica propone un modello alternativo e autogestito di veicolazione dei saperi.

Già un’analisi etimologica dell’evoluzione del termine “scuola” rende evidente la prospettiva che i movimenti studenteschi storicamente tentano, attraverso la lotta, di proporre, con lo scopo di rendere quello che dovrebbe essere uno dei principali centri di parificazione delle differenze sociali, un luogo di formazione attiva, confronto, valorizzazione della critica e dell’analisi, “indipendentemente da ogni bisogno o scopo pratico” (Treccani).
Parallelamente alla rivendicazione di tale prospettiva, richiesta a gran voce nel corso di anni attraverso mobilitazioni sociali raramente prese in considerazione, si è rivelata invece essere fin troppo evidente la voluta ignoranza del ruolo prioritario che l’istituzione scolastica deve necessariamente assumere all’interno della società.
Voluta e consapevole ignoranza che ha lasciato ampio spazio a reinterpretazioni del suddetto ruolo, sostituendolo con obiettivi volti unicamente ad un’impostazione dell’istruzione pubblica interessata ad un sapere nozionistico (si veda la proposta di tagliare il ciclo d’istruzione superiore a 4 anni, sacrificando l’approfondimento e la completezza dei programmi) e ad una deriva aziendalista.

Dalla cosiddetta “riforma Moratti”, del 28 marzo 2003, viene introdotta infatti nel sistema scolastico l’alternanza scuola – lavoro, per la quale l’obbligatorietà entra in vigore con “La Buona Scuola” (Legge 107/2015), con il fine teorico di “incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti” e l’obiettivo pratico della normalizzazione della gratuità del lavoro e di un’univoca introduzione, senza possibilità di dissenso, al sempre più precario mondo del lavoro. La funzione di una scuola che si interessi alla formazione di un individuo sociale, e conseguentemente di una società attiva, attraverso l’acquisizione di un sapere disinteressato e conseguentemente slegato da qualsiasi logica di profitto, è dunque definitivamente traslata verso un orizzonte in cui l’importanza delle inclinazioni e delle passioni del singolo sono deliberatamente categorizzate come non utili, utilizzabili, sfruttabili secondo i canoni della società capitalista e quindi sacrificate senza troppi rimpianti.
Il risultato voluto, e da noi fermamente rifiutato, comporta la neutralizzazione di un luogo di cultura, di un ambiente che dovrebbe una stimolante officina di idee, pulsioni, iniziative.

La risposta, che un modello repressivo, frenante e quindi passivo, inscritto in una logica individualista e competitiva, non può fornire, necessita di essere sviluppata altrove: partendo dai collettivi presenti all’interno degli istituti e dai coordinamenti che attivamente si muovono animando le strade delle città in primo luogo, ma anche e forse soprattutto, avendo la possibilità e il dovere di creare luoghi fisici di resistenza, unendo la situazione oggettiva di abbandono in cui versano molti edifici e l’esigenza soggettiva da parte della componente studentesca di avere, in mancanza di quello designato (in questo caso la scuola), uno spazio dove poter sviluppare forme creative di partecipazione, promuovere spirito di iniziativa autonoma e di resistenza ad un sistema sempre più autoritario e gerarchico (vedi il “preside sceriffo” della Legge 107).

L’esperimento di ZIP – Zona Indipendente Politica, primo spazio occupato da studenti e studentesse dell’istruzione superiore di secondo grado, nasce proprio dalla necessità di sopperire alle ormai troppo evidenti lacune dell’istruzione pubblica: appurato che l’istituzione scolastica non è in grado di prendersi la responsabilità di formare individui consapevoli, tale responsabilità è compito nostro, non solo assumerla, ma soprattutto metterla a disposizione di chiunque voglia essere partecipe dell’impegno all’azione diretta che quotidianamente ci vede partecipi.

L’occupazione, come atto di denuncia e modo per ottenere attraverso processo autonomo e autogestito ciò che è negato, trova, rispetto alla sfera studentesca, una tentata risoluzione in ZIP – Zona Indipendente Politica. Laddove gli spazi di confronto sono soppressi, laddove la partecipazione politica è considerata come elemento negativo, laddove le istanze di studenti e studentesse vengono ignorate a favore di una frenetica e ossessiva produttività, subentra il valore di ZIP – Zona Indipendenza Politica in quanto spazio sociale liberato: il tentativo di cambiare un sistema rigido, proponendo un’alternativa pratica attraversabile da tutti e da tutte.

Rete Studenti Milano

SPECIALE “DIBATTITO SULLA METROPOLI”

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